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Arbeit macht frei

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Il lavoro rende liberi.
Questo era scritto all’ingresso di uno dei campi di concentramento nazisti più famoso.
Una scritta che chissà, forse presto comparirà all’ingresso delle ditte e delle fabbriche.
Una scritta a indicare la realtà che sarà il mondo del lavoro: una schiavitù.
Perché questo è ciò che si prospetta in un paese come l’Italia dove si hanno i costi di parcheggi, assicurazioni, tariffe e carburanti più cari d’Europa e gli stipendi più bassi dell’Eurozona (si parla di lavoratori dipendenti che guadagnano la metà dei tedeschi, non di ministri, dove quello che percepisce meno ha un reddito sui 200000 euro annui: gente, quest’ultima che parla molto, ma alla resa dei conti non fa nulla perché un posto sicuro ce l’ha ed è capace solo di pretendere che la gente comune già al limite faccia ancora più sacrifici e di fronte alle critiche dei lauti compensi che riceve sa rispondere semplicemente che sono solamente meritati). Considerando che si ha tra i più alti tassi d’indebitamento, la prospettiva di lavorare in schiavitù (e magari pure sotto tortura, se non fisica almeno psicologia, come accadeva a ebrei e nemici dei tedeschi nei campi di concentramento) non è poi tanto fantascienza o fantasia.
In fondo, se ci si pensa, sembra qualcosa di premeditato, un piano studiato a tavolino per arrivare a costringere i lavoratori ad accettare qualsiasi condizione di lavoro, piegarli ai propri voleri: una persona indebitata, con l’acqua alla gola, non può avanzare pretese, non può protestare: deve stare zitta e abbassare la testa, subendo indiscriminatamente se vuole portare a casa quello che comunque non gli basterà per vivere e nemmeno per sopravvivere (e quando questo avviene, sempre più persone ricorrono al suicidio: da inizio anno sono già una decina i casi verificatesi).
Lo scenario appare esagerato?
Se si considera che le uniche idee del governo sono quelle di potenziare ancora di più l’apprendistato (come se non avesse abbastanza libertà quello già esistente) per far lavorare i giovani, di voler eliminare l’articolo 18 perché di ostacolo agli investimenti, continuando a puntare sull’interinale e su quella “flessibilità” che ha visto dove ha portato (e che non è stata una risorsa, ma una rimessa, anche se l’intento iniziale era quello di aiuto per arrivare al posto fisso: ma senza controlli e regolamentazione è divenuto un far west, l’eccezione è divenuta regola, ciò che ha distrutto stabilità e solidità) le prospettive non sono affatto rosee, dato che si bruciano tutte le generazioni dai trenta anni in su, perché l’esperienza è soltanto un costo e quindi un danno, quando invece un tempo era ricercata perché con essa si creava qualità e la qualità generava guadagno; ora si pensa che per ottenere ricavi occorra semplicemente abbattere le spese, ma così facendo si distrugge il prodotto e con essa il ricavo. Chi troppo vuole nulla stringe e tutto distrugge.
Questa non è miopia o cecità: è follia allo stato puro.