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Febbraio 2011
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Superstizione

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La superstizione è in grado d’ingigantire le cose, di far galoppare la mente, avvolgendo storie, luoghi, personaggi di un’aura capace d’intimore e impaurire.
Ma che cos’è la superstizione?
E’ qualcosa d’indefinito, d’irrazionale.
E’ paura. E’ mistero.
Soprattutto, ha potere sulla gente: condiziona le sue azioni, il suo modo di pensare, di vivere. E’ capace di cambiarla.
E’ grazie a questo fattore che molte società hanno condizionato e controllato le popolazioni. Una strategia possibile solo in presenza dell’ignoranza; perché ciò che spaventa di più è l’ignoto, il non conoscere la natura di qualcosa.

Ariarn e i compagni si guardarono attorno: dovevano trovare la nave che li avrebbe condotti a destinazione. Un mercantile avrebbe fatto al caso loro.
Fu allora che s’accorsero del problema.
Nessuno voleva trasportarli sull’isola: ottenevano senza esitazione un diniego, nemmeno con un buon pagamento riuscivano ad ammorbidire la posizione dei capitani. Con il passare dei colloqui cominciarono a notare che trattare l’argomento metteva a disagio; nessuno spiegava il motivo del rifiuto, mandandoli via senza sentir ragioni. Alcuni arrivarono a scacciarli in malo modo, minacciando di chiamare le guardie se avessero continuato a infastidirli.
Continuarono nei tentativi, passando da una nave all’altra, da un rifiuto all’altro. Il sole calò all’orizzonte, trovandoli ancora privi di trasporto.
Rammaricati e incupiti s’apprestarono a ricercare una locanda per la notte. Una risata attirò la loro attenzione.
«E così siete quelli che vanno in giro a infastidire tutte le navi. Vi siete messi d’impegno a divenire famosi in un solo pomeriggio.» Gracchiò divertito un vecchio marinaio dalla pelle abbronzata, tenendo tra i denti una pipa consumata.
«Non stiamo dando fastidio a nessuno.» Disse garbatamente Ghendor.
«Se chiedete alla gente di parlare di qualcosa che vuole evitare, sì.» Rimbrottò il marinaio tirando una boccata dalla pipa.
«Perché dà tanto fastidio la richiesta di essere condotti a Reoxkro?» Intervenne Ariarn.
«Perché la gente ha paura di quello che non capisce e detesta ammettere di avere paura e chi gliela ricorda.» Il vecchio fece un sorriso sdentato, privo di ironia e carico di sarcasmo.
«Di cosa ha paura?» Continuò Ariarn.
«Si vede che siete stranieri.» Borbottò il vecchio. «Tutti qua lo sanno.»
«Sanno che cosa?» Lo incalzò l’altro.
Il marinaio lo squadrò, perdendo ogni forma di divertimento. «Da mesi nessuna nave va all’isola, né da Reoxkro ne perviene alcuna. Qualunque nave vi si sia recata non ha più fatto ritorno. E da quando sono cominciate le sparizioni, non si hanno più notizie di quanto accade laggiù.» Sentenziò il vecchio picchiando una mano sul ginocchio.
«Com’è possibile?» Domandò Lerida.
Il vecchio si sporse in avanti. «Malocchio.» Sussurrò, sputando subito per terra, come se il pronunciare la parola portasse sventura. «Quella terra è stata stregata, è un luogo maledetto che porta solo sventura. I marinai sono superstiziosi, direte voi.» Puntò di scatto il dito verso di loro. «Ma li fa restare in vita! Per questo se ne stanno lontano dall’isola: porta solo guai! Non vogliono fare la fine degli altri.»
«Che fine hanno fatto gli altri?» Chiese Reinor.
Il vecchio alzò le spalle. «Divorati da mostri marini, risucchiati dalla terra: non ha importanza. Chi vi è andato non ha fatto ritorno. Ora è una terra maledetta.» Sbottò. «Non troverete un passaggio. Parola. La gente da queste parti è attaccata alla vita.»