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L'arte come insegnamento

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La saggezza degli antichi ha sempre saputo, per chi sapeva ascoltare, dare insegnamenti e regole per vivere al meglio l’esistenza, consci che un cattivo rapporto con le cose e con se stessi creava squilibri interiori: ossessioni, compulsioni, depressioni, patologie della psiche. Per questo in tutte le culture del passato la saggezza era volta a mirare a creare l’equilibrio nell’uomo, a fargli raggiungere la centralità dell’essere: ogni mito, leggenda, favola, aveva il compito di dare un insegnamento su un particolare lato della vita. Compito che spettava allo stesso modo all’arte: musica, scultura, pittura, rappresentazioni teatrali. Tali elementi dovevano certo esaltare la bellezza, ma questa era un mezzo per riuscire a toccare le corde più intime dell’uomo, a far arrivare più in profondità l’insegnamento di cui erano depositari.
Nell’epoca in cui viviamo l’arte in ogni sua forma è stata svilita, banalizzata, messa da parte, ritenuta superflua, inutile. Un grave errore e non è la prima volta che avviene: quando in un’epoca si verifica questo fatto, l’umanità subisce un grave impoverimento, che va a colpire l’esistenza in ogni sua epoca.

La comparsa di uno squadrato pezzo di marmo in mezzo all’erba, seguito dopo pochi passi da un altro, li colse di sorpresa. Qualche metro ancora e si ritrovarono a camminare su un lastricato bianco, che si snodava sinuoso costeggiando i verdi boschetti della vallata. Piedistalli diroccati sorgevano in prossimità delle svolte del sentiero, appoggio di statue scomparse o distrutte, di cui non rimaneva più traccia.
Il viale lastricato, accompagnato dal profumo di fiori di campo, arrivò a una scalinata: i resti di bianche mura mostravano il perimetro di ciò che era stato un ampio e vasto complesso architettonico. Della grandiosità di un tempo rimaneva solo macerie coperte da edere.
Era un luogo abbandonato, ma vi aleggiava un’atmosfera di pace, come se la presenza di quanto era stato non se ne fosse andato, continuando a permearlo.
La curiosità e il fascino del luogo fecero salire gli scalini scheggiati e sbucciati; i pilastri, un tempo sostegno ai cancelli d’ingresso, splendevano nel loro candore. I resti dell’arco che univa le due colonne erano sparsi nello spiazzo che si estendeva davanti ai cinque.
Guardandosi intorno come bambini in una casa nuova, arrivarono di fronte a un piedistallo alto due metri, dalla ampia base, l’attenzione attirata dalla placca metallica posta sulla sua facciata: i rampicanti non erano saliti sulla sua superficie, risparmiata dalla ruggine e dal trascorrere delle stagioni; solo una leggera patina oscurava la brillantezza della lastra, lasciando leggibili i simboli che vi erano incisi.
Ghendor lasciò scivolare le dita sulle linee elaborate, osservandole attentamente.
«Riesci a capire cosa c’è scritto?» Chiese Reinor.
Il Messaggero continuò a fissare le lettere. «E’ una lingua antica, di cui sono rimaste poche tracce: proverò a tradurla, ma ho bisogno di qualche minuto per farlo.»
Mentre il Messaggero era intento a tradurre l’antico testo, i restanti quattro si guardarono attorno.
«Cosa sarà mai sorto in questo luogo sperduto?» Domandò Periin passando accanto ad Ariarn.
«Un santuario.» Giunse la voce di Ghendor alle loro spalle. «Lo rivela la scritta sulla placca: era un luogo di culto e preghiera.»
«Apparteneva all’Ordine?» Chiese Ariarn.
Il Messaggero si fece meditabondo. «Non lo so. Non ci sono riferimenti all’Ordine, anche se in quanto scritto s’avverte la presenza dello spirito della Rivelazione. O forse si tratta di una mia interpretazione: non ci sono segni o riferimenti che confutino la mia sensazione.»
«Cosa dice l’iscrizione?» Lerida gli si fece vicina.
«La mia non è una traduzione precisa, ma il significato è questo:

Benvenuto amico in questo sacro terreno
Qui troverai per il corpo riposo e per il cuore ristoro
Lascia ogni preoccupazione e fardello sulla strada percorsa
A nulla giovano allo spirito
Lascia che sia libero e leggero di andare a cercare se stesso
E una volta trovatolo vivrai in pienezza
E’ quanto troverai una volta qui giunto

Un posto per quietare le tue ansie e quelle del mondo
Perché nel silenzio tu possa percorrere il varco che è la tua anima, l’immagine del tuo essere
E vedendola tu l’ami e la desideri maggiormente
Perché tu possa crescere ed essere quello che sei e puoi essere
Nella serenità di questo luogo tu possa rispecchiarti in essa
Come uno specchio che rimanda la sua immagine riflessa
E capire che è un tutt’uno con te
E che è più grande di te perché non viene dal luogo del tuo corpo
Comprenderai che anche tu sei più grande di ciò che sei

Ti è donato gratuitamente, senza pegno
Per farti guardare dove stai andando e scegliere meglio la via
Non essere turbato dai turbamenti interiori avviso di cambiamento.
Sono come diluvio che spazza via l’inutile e fa emergere l’importante
Per farti essere un uomo nuovo migliore del vecchio

Qui amico non troverai maestri, ma fratelli, esseri come te
Con gli stessi intenti, la stessa spinta, disposti a fare il tuo stesso percorso
Non troverai avversari da superare né nemici da combattere
Non esistono qui, dimorano solo nel tuo cuore
Sei tu l’unico avversario da superare, sei tu il nemico da sconfiggere
Armato inutilmente di vecchi e logori atteggiamenti e abitudini
Cammina leggero, privo di pesi

Segui il tuo cuore, le tue intuizioni
Non credere che siano le cose o gli altri a poterti dare quello che cerchi
Questo non è in loro potere
Non possono darti quello che hai già e che devi solo scoprire
Sii saggio con quanto donato, usalo nel modo giusto
Desidera, ma non bramare, perché una fiamma peggiore del fuoco non ti consumi
Moderazione ed equilibrio siano il tuo motto e anche compassione
Mai il tuo pugno per punire e la tua bocca per sentenziare
Lascia queste cose del mondo a chi non ricerca la vita

Presta attenzione a quanto ti è attorno
Impara dalla natura, dagli animali, dalle stelle, dalla luna e dal sole
Dal vento, dall’acqua, dal fuoco e da quanto esiste
Ascolta la voce che ti sussurrano, ascolta il loro spirito
Perché porti seme fertile in te
Comprendi la parola che più che sentire percepisci e diventalo tu stesso
Per te e per gli altri, perché così il mondo diventi armonia

«Questo è quanto.» Concluse Ghendor
«E’ stupendo.» Concluse Lerida assorta dalle parole.
«Sì, è molto bello.» Convenne il Messaggero.
Periin sbuffò. «Ora che vi siete trovati d’accordo sulla sua bellezza, possiamo andare? Avremmo fretta e molta strada ancora da fare.»
Ripresero a inoltrarsi nei ruderi, passando accanto ai resti di muri e giardini, dove panche e tavole scolpite erano ricoperte da muschio.
Superati i gruppetti d’alberi che affiancavano l’ingresso, si ritrovarono in una vera e propria cittadella; la natura si stava riappropriando di quanto era proprio, ma l’impronta di chi era vissuto in quei luoghi era ancora evidente.
«Dev’essere stato splendido quando la gente viveva qui.» Disse Lerida. «Sarei curiosa di sapere com’era questo luogo quando era intatto.»
«Sarebbe bello avere il tempo di studiare questi reperti. Dall’antichità si rivelano cose sorprendenti, pezzi mancanti della storia che permettono di capire meglio il presente.» Disse Ghendor camminandole accanto. «Secondo gli studi archeologici, le zone dei santuari avevano una disposizione predefinita. Vicino ai cancelli si trovavano le sale per dare accoglienza ai pellegrini. Accanto erano situati gli edifici del personale che si occupava dei servizi per persone e strutture.» Si voltò a guardare indietro. «Il grande spiazzo appena superato era la piazza dove la gente s’incontrava per discutere e rilassarsi all’ombra delle piante.
Nei nostri tempi non si usa quasi più, ma nell’antichità non c’era solo la parola e la scrittura per dare insegnamenti, far comprendere la morale, l’etica o altro: erano usate rappresentazioni visive e sonore. Quadri, statue, melodie, rappresentazioni teatrali. I piedistalli che abbiamo incontrato erano supporti di statue: aiutavano le persone a riflettere e a capire meglio quello che erano venuti a cercare in questo luogo. Non so se sei stata a Nhal: nel tempio della città c’è un antico dipinto che ha la stessa funzione.
Questa metodologia non è stata portata avanti e si può affermare che rispetto al passato abbiamo fatto un passo indietro. Quel periodo può essere ritenuto un’età dell’oro, una fonte immensa di saggezza, dove da tutto si poteva imparare qualcosa; gli artisti in quell’epoca avevano gran rinomanza e un certo peso anche nell’insegnare. Ora tutto è sulle spalle dell’Ordine, con qualche sporadico aiuto degli atenei.» Fece cenno davanti a sé. «Qui sorgevano le biblioteche, a cui ognuno poteva accedere.»
Seguendo il lastricato passarono accanto a un bosco che s’insinuava in profondità nell’area delle rovine. Superata la massa verde, lo spettacolo che li accolse tolse il fiato.
Baciata dai raggi del tramonto la struttura che si stagliava contro il cielo pareva prendere fuoco: il tempio più grande che avessero visto. Persino nella rovina mostrava la sua magnificenza.
Possenti e slanciate colonne salivano alla volta azzurra, lo slancio interrotto o dalla natura che le aveva spezzate o dal tetto che sostenevano. Il frontone riccamente abbellito da bassorilievi di vita silvestre, mostrava una suggestiva rappresentazione dell’esistenza al tempio: cavalieri, portatori d’acqua e offerte, fanciulle intente in danze e canti, saggi anziani con libri aperti nelle palme delle mani, bambini che giocavano con animali. Il momento di vita raffigurato sembrava essere un rituale d’avvicinamento dell’uomo a qualcosa di superiore.
Seguendo il sentiero alberato arrivarono a inerpicarsi sulla scalinata del muraglione che faceva da base al tempio, procedendo in uno stretto passaggio tra muri, che portò a un piccolo ingresso a colonne, quasi un tempio minore che annunciava l’arrivo in quello più grande. Superatolo, si trovarono davanti ai resti del recinto del tempio: le delicate e aggraziate aste di metallo, assieme al cancello, erano a terra contorte e corrose dalla ruggine.
Ammirati dalla bellezza decadente, superarono l’ingresso non più chiuso da portoni, camminando sul pavimento pieno di sottili crepe. Lungo la superficie erano disseminati i ruderi dei muri e del tetto; sprazzi di colore sulle pietre erano fantasmi di mosaici e dipinti.
Statue, panche, candelabri, accessori per il culto: tutto era svanito. Sul fondo restava il basamento dell’altare e alle sue spalle l’unico muro ancora in piedi.
Gli ultimi strali di luce filtrarono attraverso gli spazi liberi del santuario prima di smorzarsi e lasciare il passo all’incedere della notte.
Una pace silenziosa pervadeva tutto quanto.