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Un racconto per augurare Buon Natale: Famiglia

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Candidi fiocchi di neve scendevano lenti dal cielo grigio, andando a posarsi sui cespugli di pungitopo carichi di bacche rosse. Anche se era vecchio, gli piaceva ancora vederli come li descriveva sua nonna: gli alianti dei folletti, il loro ultimo divertimento prima di rintanarsi nelle case sotterranee, dove avrebbero trascorso l’inverno a sorseggiare decotti di radici accanto a un fuoco.
Si sistemò le cinghie che assicuravano le fascine alle sue spalle. Anche nella sua piccola baita c’era un fuoco scoppiettante che attendeva il suo ritorno: aveva sempre trovato un che di rassicurante nel moto delle fiamme, nel veder guizzare le lingue rosse contro il nero della fuliggine posata sulle pietre del camino: erano compagne silenziose che gli tenevano compagnia nelle sere invernali, mentre intagliava le statue per il presepe.
Salendo il sentiero costeggiante il bosco, arrivò alla legnaia dove posò il carico prima di entrare nella baita. Il calore e l’odore di mandarini gli solleticarono le narici mentre si sfilava il cappotto e lo appendeva all’attaccapanni. Passando davanti al tavolo dove ormai le focacce si erano raffreddate, prese la sedia sulla quale si sedeva sempre, andò dinanzi al camino e sedendosi impugnò un piccolo cesello: ancora pochi ritocchi e l’ultima statua sarebbe stata pronta. Poi avrebbe potuto riposarsi un poco e preparare il sacco con tutta la roba che doveva portare all’orfanotrofio; verso sera, avrebbe ripreso il sentiero e sarebbe sceso al villaggio.
Si accarezzò la barba bianca. Alla sua età sarebbe stato meglio restarsene a casa, al calduccio sotto le coperte, non sotto la neve cadente. Ma la felicità di quei bimbi quando lo vedevano arrivare era qualcosa a cui non sapeva rinunciare. «Babbo! Babbo!» Lo chiamavano correndogli incontro, cercando di sbirciare all’interno del sacco, gridando di gioia e ridendo.
Per un vecchio come lui, che non aveva mai avuto figli né si era mai sposato, non c’era modo migliore per trascorrere il Natale: un giorno da passare con chi voleva, con chi lo faceva sentire bene, lo faceva sentire a casa, dandogli quel calore e quell’affetto che rendevano tutto ricolmo di una luce e un’atmosfera particolare. Era come essere permeati, posseduti da una fiamma che riscaldava senza bruciare.
Il sorriso sotto la barba fece arricciare le rughe del suo volto. I piccoli non facevano che salterellare eccitati quando posava il sacco e lo apriva, i loro occhi che s’illuminavano quando scoprivano cosa gli aveva portato: si stupivano ed erano sempre colmi di meraviglia. Non finivano mai di ringraziarlo.
Nella loro semplicità, non capivano che era lui che doveva ringraziarli, perché erano loro che gli facevano il dono più grande, quello che niente poteva comprare, ma che si poteva semplicemente donare: lo facevano sentire in famiglia. Quella famiglia cui spesso i vecchi solitari potevano soltanto rimpiangere o desiderare, ma che lui invece aveva la fortuna di avere.
Posò il cesello e alzò la statuina davanti al naso, girandola su se stessa e osservandola da ogni lato. Soddisfatto, la posò accanto alle altre sul tavolo. Annuì compiaciuto: adesso il presepe era al completo. Lo guardò con occhio critico, poi si alzò e andò a sedersi sulla poltrona poco più in là, lasciandosi andare contro il morbido schienale. Di nuovo guardò il presepe, ma questa volta in maniera meno artistica. Una grande, variegata famiglia, di cui tutti potevano essere membri: ecco che cos’era.
Distese le gambe, in pace con se stesso. Era bello essere parte di una famiglia.

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