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La morte di Sauron

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Sauron visto nella trilogia cinematografica di Peter Jackson

– Frodo, ti sei svegliato!
– Gandalf, che è successo?
– Oh, ragazzo mio, ci sei riuscito. Hai gettato l’anello nel vulcano e con esso hai distrutto Sauron.
– Ce l’ho fatta…
– Hai salvato la Terra di Mezzo.
– Oh Gandalf, non vedo l’ora di rivedere tutti quanti.
– Li vedrai presto, Frodo. Ti stanno aspettando.
– Dove?
– Ai funerali di Sauron.
– Non ho inteso.
– I funerali di Sauron, è importante. È un evento. Lutto nazionale. Ci sono tutti i popoli della Terra di Mezzo.
– Perché?
– Come perché, per rendergli omaggio, per commemorarlo e celebrarne la vita straordinaria.
– Sauron.
– Sì.
– Ma Sauron è…
– Che?
– No, dico Sauron era un… un…
– Un?
– Un despota. Uno stregone malvagio. Ha devastato metà continente.
– Un po’ di rispetto, Frodo! Stai parlando di un morto, per la miseria!
– Ho capito, ma c’abbiamo combattuto per tre libri e tre film…
– Esatto. Non si può negare che abbia avuto un certo impatto.
– Un impatto di merda.
– Intanto ti devi sciacquare la bocca quando parli dell’Oscuro Signore. Lui non era malvagio.
– L’hai appena chiamato Oscuro Signore.
– Ma no, lui era… come dire… ecco, sì! Era un uomo: un desiderio di vita, un desiderio di amore, un desiderio di gioia.
– Un desiderio di gioia?
– Sì. Come ti sembra? Sai, mi hanno chiesto di dire due parole alle esequie.
– Sauron, il Crudele. Sauron, l’Oscuro Signore di Mordor era un desiderio di amore?
– Guarda che le cose che ha fatto lui tu te le sogni.
– Gandalf, ma che cose? Cosa stai dicendo?
– Tirala su te Barad-dûr. Dai, prova. Tirala su te una torre di millequattrocento metri su suolo vulcanico!
– Ho capito, ma era una fortezza di pura malvagità!
– Che dava lavoro a migliaia di persone.
– Orchi Gandalf! Orchi! Mostri! Nazgul! Te li ricordi, sì? Ti ricordi il fuoco, la lava, gli eserciti incazzati, le battaglie, l’ombra cupa che scende.
– Ha segnato la Storia di questo paese.
– In peggio!
– Ha dato a tutti la possibilità di essere suoi servi, senza chiedere niente in cambio.
– Voleva conquistare il mondo.
– Ma amava i cani.
– Gandalf, ti sei rincoglionito? È per via della tinta? Questo era uno stregone oscuro, non ha mai nascosto la cosa e si è comportato di conseguenza per tutta la sua vita.
– Bella gratitudine.
– Eh?
– Guarda che te senza Sauron non eri nessuno. Senza sta cosa dell’anello tu te ne stavi ancora lì in Contea a farti i drummini. Altro che eroe. Tu la carriera la devi a Sauron.
– Ma a me m’ha rovinato la vita Sauron. E pure a tanti altri.
– Quanto odio, Frodo. Che persona piccola. Da te proprio non me l’aspettavo. Sauron era uno di noi.
– Uno di noi? Io sono un postadolescente coi piedi pelosi e lui era un cristo di dio re malvagio che ha forgiato un anello per dominare tutti gli altri. Scusami eh, ma com’è passata sta narrazione che era uno di noi? Noi chi?
– Ascolta, era una persona coi suoi pregi e i suoi difetti. E magari sì, ha dedicato la sua vita all’accumulo di potere per rendere questo Paese un posto peggiore e ci è pure riuscito, ma tu dimentichi una cosa importante.
– Cosa?
– Era un grandissimo comunicatore.
– Gandalf, porcoddue…
– Di Sauron si può dire tutto ma non che non sapesse comunicare.
– Ho capito, c’hai centocinquant’anni, hai cambiato colore e mo non capisci più un cazzo e hai paura di morire e questo è un pezzo della tua vita che se ne va e tu guardi tutto attraverso un vetro spesso così di nostalgia, ma sticazzi! Proviamo a essere un attimo obbiettivi, vuoi?
– E proviamo.
– Questo c’ha fatto passare l’inferno a tutti e ha lasciato il mondo peggio di come l’ha trovato.
– Diciamo che era una figura unica nel suo genere.
– Diciamo che era letteralmente un essere spregevole. L’incarnazione di almeno cinque dei sette vizi capitali.
– Che brutta bestia l’invidia.
– Perché a Boromir non gli abbiamo fatto i funerali così?
– Boromir era divisivo.
– Théoden.
– Comunista col Rolex.
– E Sauron invece?
– Sauron, nel bene e nel male rappresenta la Terra di Mezzo.
– Ma proprio per un cazzo io mi son sentito rappresentato da questo.
– Tu non capisci, Frodo.
– Cosa?
– La Terra di Mezzo è un Paese fondato sul condono. E dopo la morte condoniamo tutto a tutti. Però recitando frasi fondamentali come “nel bene e nel male” oppure “ha fatto anche cose buone” non neghiamo che sia stato un figlio di puttana, anzi lo rimarchiamo. Perché ne abbiamo bisogno.
– In che senso?
– Abbiamo bisogno di santificare le merde. E più uno è merda, più lo dobbiamo celebrare. Sauron va santificato, è per il bene di tutti. Così i nostri egoismi, i nostri piccoli squallori, le ipocrisie quotidiane, smettono di farci star male, di metterci in crisi. Se pure Sauron incontra Dio, se pure Sauron va in paradiso, se alla fin fine riusciamo a raccontarci che anche Sauron era una brava persona, allora lo siamo tutti. E nessuno deve pagare i propri conti con la vita e con la Storia.
– Va be’, ma con questo ragionamento non finiamo per circondarci ciclicamente solo di gente che “ha fatto anche cose buone”?
– Certo.
– E quindi altri Sauron?
– Siamo un fantasy, Frodo. Noi adoriamo le saghe.

Il testo qui riportato appartiene a Non è successo niente e merita di essere diffuso perché fa riflettere sulla percezione che si hanno di certe cose in Italia, soprattutto di come si fa in fretta a dimenticare la realtà e la verità.

Ombre nella pietra

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Ombre nella pietraIl mondo di Ombre nella pietra di Alex Coman è ambientato in un futuro in cui le persone vivono in caverne dove sono stati ricavati degli alloggi; il clima è freddo, ostile per la vita umana: anche se non viene spiegato, qualcosa è successo al pianeta, sconvolto da una qualche catastrofe, forse causata dall’uomo, che rende dura vivere al di fuori dei rifugi.
Il clima però non è l’unico elemento negativo con cui avere a che fare: il mondo sembra aver perso molto della sua civiltà, con le persone che cercano di approfittare, spesso con la forza, degli altri per ottenere le fialette contenenti la preziosa medicina che permette di continuare a vivere. Mina e Robi Colletti, due fratelli che hanno perso i genitori in giovane età (la madre per la malattia che colpisce tutti quanti, il padre ucciso mentre tornava a casa), devono affrontare ogni giorno questa realtà, tra vicine strozzine e lavori all’interno della bolla alle volte umilianti, ma continuano ad andare avanti perché hanno un sogno da realizzare: potersi comprare l’accesso a una grotta migliore, dove la vita è più sicura e a misura d’uomo. E Robi, per mantenere la richiesta fatta dalla madre in punto di morte, è pronto a tutto.
La caratterizzazione dei due protagonisti è ben fatta, con Mina che incarna l’essere non ancora del tutto contaminato dalle brutture del mondo e Robi il fratello maggiore che protegge la sorella più piccola e vuole darle una vita migliore, nascondendole una realtà più dura di quella che lei crede; un compito non facile, dato che tutto, persino i pensieri, i sogni e i ricordi, è collegato alla rete e può essere visionato da chiunque ne faccia richiesta; un po’ come succede nella nostra realtà, solo in maniera molto più invasiva e intima, il che fa riflettere fin dove ci si può spingere con la tecnologia e qual è il prezzo da pagare per essere parte di un sistema. L’uomo, con lo sviluppo della tecnologia è davvero progredito oppure questa è soltanto un’illusione il cui prezzo da pagare è la perdita della libertà? Una libertà che è per pochi, per chi sta in alto, mentre per chi sta in basso c’è solo lo spazio per servire ed essere sfruttati, sperando un giorno di poter salire di un gradino e avere un’esistenza leggermente migliore?
La vita mostrata da Ombre nella pietra non è per niente rosea, dove ognuno cerca solamente di tirare avanti e sopravvivere, dove la consolazione si può trovare solo quando si passa a un’altra vita, come spesso le varie religioni hanno fatto credere. E in un certo senso, in Ombre della Pietra è proprio così, anche se sta al lettore scoprire questa verità.
Il testo è ben scritto, scorrevole, a tratti magari un po’ nebuloso perché non vengono date molte informazioni sul mondo in cui ci si trova, lasciando chi legge con delle domande che non trovano risposta, ma questo non inficia su quello che il testo vuole trasmettere. Può piacere o meno, ma questa è una tecnica narrativa usata da diversi autori, dove non viene data la pappa pronta al lettore, ma tocca lui spingersi a cercare, o immaginare, quello che vuole conoscere.
Nel file avuto in lettura c’è qualche refuso e la punteggiatura è da migliorare nelle prime pagine, ma questo è un qualcosa che nella versione finale di Ombre nella pietra sarà stato sistemato.
Per chi ama mondi distopici che facciano anche riflettere, Ombre nella pietra è una lettura consigliata.

I figli del tempo

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I figli del tempoI figli del tempo è un’opera di fantascienza di Adrian Tchaikovsky. In un futuro prossimo, la scienziata Avrana Kern ha trovato il modo di far sviluppare nelle scimmie un’intelligenza pari a quella degli umani: grazie a un particolare virus, nel giro di qualche secolo una nuova specie sarà in grado di essere al livello di quella umana. Con la tecnologia sviluppata, Avrana è riuscita a terraformare un pianeta che permetta di replicare le stesse condizioni di vita della Terra e ora è in procinto di dare il via al suo progetto più ambizioso, donando il nuovo mondo alle scimmie, cui il virus permetterà di sviluppare una nuova intelligenza. Certo ci vorrà del tempo, ma per lei che ha creato il gene di vivere in eterno, l’attesa non è nulla, anche se non sarà lei a sorvegliare la nuova specie, dato che vorrà occuparsi di altri progetti. Le cose però non andranno nel modo da lei programmato: il collaboratore scelto per questo compito si rivela essere membro di Non Ultra Natura, un gruppo che sostiene la superiorità dell’essere umano ed è contrario che ci siano altre specie intelligenti come gli umani, convinti che non bisogna superare i limiti imposti dalla natura. I suprematisti umani fanno così un attentato all’astronave che sta per dare via al progetto, distruggendo tutto l’equipaggio e le scimmie che dovevano popolare il nuovo mondo; solo Avrana, la sua consapevolezza caricata nel computer e l’intelligenza artificiale da lei creata si salvano, restando in orbita attorno al pianeta terraformato in attesa che giunga qualcuno a salvarla mentre lei scivola nel sonno artificiale. Le cose però non vanno nel modo previsto: sulla Terra scoppia un conflitto fra la fazione di Avrana e i Non Ultra Natura che distrugge il pianeta e riduce la società umana a un’ombra di quella che era, costringendo i sopravvissuti a mettere insieme quel che resta della tecnologia umana e fuggire nello spazio alla ricerca di una nuova casa. Sul pianeta terraformato però il virus trova un’altra forma di vita da far evolvere: i ragni.
Ci si trova così a seguire due percorsi: quello dei ragni che evolvono sempre di più, creando prima una sorta di società, poi sviluppando una tecnologia sempre più evoluta che permetterà loro di comunicare con la dormiente Avrana che orbita attorno al pianeta. E quello della Gilgamesh, una delle poche astronavi che è riuscita a lasciare la Terra e arrivare nei pressi di un pianeta abitabile, proprio quello creato da Avrana. Purtroppo dovranno scontrarsi con l’ostilità della scienziata, dato che non permetterà in nessun modo agli umani di accedere al mondo che tanto ha voluto. Gli umani, guidati prima dall’autoritario Guyen, che cerca di caricare la sua coscienza nelle macchine come ha fatto Avrana, e poi dal classicista Holsten e dall’ingegnere Lain, vagano per secoli, tra un sonno artificiale e l’altro, alla ricerca di un luogo dove sbarcare, prima di ritornare di nuovo al pianeta dei ragni, pronti a combattere contro di loro per avere di nuovo una casa. L’esito finale sarà totalmente inaspettato.
Adrian Tchaikovsky crea con I figli del tempo una sci-fi inaspettata molto ben fatta, coinvolgente e davvero riuscita. Non è facile per uno scrittore far appassionare alle vicende di un popolo di ragni, ma Tchaikovsky ci riesce: con una grande attenzione ai particolari e alle motivazioni degli insetti, una trama coinvolgente, lo sviluppo di una società dalla sua preistoria all’era industriale, passando dalle credenze superstiziose alla religione e poi alla ragione della scienza, lo scrittore mostra la crescita di una civiltà fino all’incontro con un’altra civiltà completamente diversa dalla sua. Ed è molto interessante vedere il confronto tra una civiltà che si sta sviluppando (quella dei ragni) con una decandente (quella umana) che da tempo ha superato il suo apice e sta scivolando sempre più in basso, perdendo sempre più di quello che ha avuto. Il finale poi non è scontato come può sembrare e di certo dà una lezione su cose che si dovrebbero essere imparate da tempo. Non si può quindi che consigliare la lettura di I figli del tempo.

Notte dei coltelli

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Notte dei coltelliNotte dei coltelli è il primo romanzo realizzato da Ian C.Esslemont legato al mondo Malazan. Ambientato diversi anni prima delle vicende narrate nell’ampia saga Il Libro Malazan dei Caduti di Steven Erikson, racconta, nell’arco di un giorno, le vicende ambientate nell’isola di Malaz dove, in una particolare congiunzione di poteri, sfocia una resa dei conti che ha atteso a lungo. Assassini contro sicari, il vecchio imperatore Kellanved contro Surly, colei che vuole prendere il suo posto, il tutto alla luce della spaventosa Luna d’Ombra, portatrice di sciagure e creature che sarebbe meglio non incontrare.
Mentre gli abitanti dell’isola si rinchiudono in casa per non avere a che fare con chi si muove nelle buie strade, c’è chi si aggira sull’isola perseguendo i suoi obiettivi o si ritrova coinvolto in qualcosa di più grande di lui; è così per Temper, veterano un tempo al seguito della Prima Spada dell’Impero, per Kiska, una giovane in cerca di emozioni e una vita avventurosa, e per Tayschrenn, Alto Mago Imperiale.
Con loro si viene a scoprire ciò che è stato letto nella saga Malazan di Erikson, ovvero di come Surly è divenuta Imperatrice e di come Kellanved, in apparenza da lei sconfitto, abbia invece raggiunto il suo vero scopo, ovvero sedere sul Trono d’Ombra e così Ascendere. Ma c’è altro oltre alla realizzazione della profezia del ritorno di Kellanved e della conquista del regno dell’Ombra: ci sono gli attacchi di strani cavalieri che cavalcando sul mare cercano di conquistare l’isola.
In una notte di sangue, scontri di poteri, Dimore Fanstasma che vengono risvegliate, Jaghut per niente benigni, Kiska scoprirà che non è così in gamba come crede, che ha ancora molto da imparare, e Temper avrà modo di pareggiare i conti con chi ha portato tradimento nei confronti di chi ha servito a lungo.
Adrenalinico, scorrevole, Notte dei Coltelli è una storia aggiunge un altro tassello al mondo Malazan, perché, come dice Erikson, c’è tanto da raccontare e un solo scrittore non può farlo. Non si può non notare come il titolo del romanzo faccia il verso al fatto storico la Notte dei Lunghi Coltelli, la notte in cui tanti membri delle SA del partito nazista furono assassinati dalle SS, da Berlino a Monaco. Considerazione personale: il fatto che sia tutto spiegato lascia un poco spiazzati, visto che si è abituati allo stile di Erikson dove le informazioni necessarie per capire la storia sono centellinate e il lettore se le deve andare a cercare. C’è da dire che un poco mancano i dialoghi in puro stile Erikson e pure quella complessità che tanto ha caratterizzato lo scrittore canadese. Ciò non toglie che Notte dei coltelli sia un buon libro e aggiunga un ulteriore tassello a quel grande mosaico che è il mondo Malazan.

Il richiamo di Cthulhu (di Gou Tanabe)

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Il richiamo di Cthulhu disegnato da Gou TanabeIl richiamo di Cthulhu non ha bisogno di tante presentazioni: si può dire tranquillamente che è l’opera più conosciuta di Lovecraft. Talmente conosciuta che ha non solo influenzato musica, film, giochi da tavolo, videogiochi, serie tv e animate, ma ha segnato anche l’immaginario collettivo. Lovecraft con Cthulhu (ma non solo con esso) ha saputo creare qualcosa che si è radicato a fondo nell’immaginario umano, insediandosi nella psiche, scavando nei meandri inconsci della mente e solleticando paure e timori atavici anche se si tratta tutto di un’invenzione. Perché l’uomo è sempre attratto dal mistero, dalle conoscenze occulte e dimenticate: proprio questa è la forza delle opere di Lovecraft, andare a creare qualcosa di cui si sa poco e di cui si rivela altrettanto poco, lasciando alla mente del lettore il vagare alla ricerca di risposte che non si troveranno. Proprio come succede a Francis Wayland Thurston che, dopo aver ereditato i diari del defunto prozio George Gammell Angell, viene a conoscenza di una realtà che sarebbe meglio fosse rimasta celata. Il parente, esperto linguista, morto apparentemente perché il suo cuore aveva ceduto dopo un fortuito scontro con un marinaio, aveva cominciato a interessarsi di uno strano bassorilievo portatogli da un giovane scultore, Wilcox, e dei sogni inquietanti che faceva.
Inizia così Il richiamo di Cthulhu, gettando sin dalle prime pagine ombre cariche di mistero. Ed è molto bravo Gou Tanabe con il suo adattamento e i suoi disegni a rendere simili atmosfere: sin dalle prime tavole, così scure perché ambientate di notte, fa capire in che razze di tenebre è precipitato Thurston, alla paura che lo pervade perché sa che fine andrà a fare per il sapere che ora possiede.
Attraverso gli scritti del prozio, scopre che quelli che inizialmente erano considerati i deliri di una mente alterata in realtà sono qualcosa di molto di più, sono indizi che portano a una civiltà, se così si può chiamarla, più antica di quelle umane; una civiltà aliena, fatta di creature che solo gli incubi possono generare ma che sono reali e stanno aspettando di risvegliarsi e portare il caos. Lo studioso, inizialmente scettico riguardo il racconto di Wilcox, ricorda che molti anni prima aveva avuto a che fare con una statuetta molto simile al bassorilievo mostratogli dallo scultore, legata a un culto presso una palude che rapiva persone e le sacrificava a una misteriosa entità chiamta Cthulu. La situazione sprofonda ancora di più quando Thurston trova un vecchio foglio di giornale in cui si parla dell’unico superstite di un naufragio e di una statua uguale alle due precedenti; letti i diari del marinaio norvegese, Gustaf Johansen, il superstite, viene a scoprire di un’isola inesplorata e di R’lyeh, la città che vi sorge sopra: essa è dove dimora Cthulu, il sacerdote degli Antichi.
Thurston, ora conoscitore della segreta verità dell’universo, sa di essere condannato e lascia al suo esecutore testamentario la testimonianza di quanto scoperto, pregando che nessuno ne venga a conoscenza.
Gou Tanabe crea una rappresentazione molto fedele di Il richiamo di Cthulu, andando con le sue tavole a creare scene che nello scritto di Lovecraft sono accennate, rendendo la storia, se possibile, più completa. Con grande cura dei dettagli, il mangaka riesce perfettamente a rendere lo spirito dell’opera lovecraftiana, facendo percepire nella loro pienezza orrore, incredulità, sconcerto; Cthulu, R’lyeh sono rese davvero magnificamente, è come ritrovarsi in un incubo dei più cupi. Per gli appassionati di Lovecraft, Il richiamo di Cthulhu di Gou Tanabe è una lettura che non può mancare.