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L'ultimo lupo

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L'ultimo lupoL’ultimo lupo è un film del 2015 di Jean-Jacques Annaud, basato sul romanzo Il totem del lupo di Jiang Rong. La storia è ambientata nel 1967, durante la Grande rivoluzione culturale, e vede come protagonista Chen Zhen che, assieme a un altro studente come lui, viene mandato dal governo cinese nelle zone interne della Mongolia per insegnare a una tribù nomade a leggere e a scrivere in cinese. Il giovane rimane affascinato dal saggio capo della tribù Bilig, dal modo di vivere dei suoi membri, dalla libertà dei grandi spazi aperti, ma soprattutto dai lupi, queste fiere e selvagge creature, nonché astute, dalle quali, secondo i mongoli, Gengis Khan ha imparato l’arte della guerra. La tribù vive in armonia con loro, temendoli e rispettandoli allo stesso tempo, ma presto tale equilibrio viene rotto dall’uomo civilizzato e dal suo progresso, dal desiderio incontrollato di arraffare e prendere più di quanto è necessario. Privati delle gazzelle di cui si cibano, ai lupi per sopravvivere non resta che attaccare gli allevamenti umani.
Gli uomini che dirigono la provincia non capiscono che sono stati proprio loro con la loro ingordigia, con il desiderio di arricchirsi, a causare questi attacchi, ma reputano come unici responsabili i lupi, decidendo così di sopprimere le loro cucciolate per farne diminuire il numero. Il capo tribù si oppone, perché sa che i lupi mantengono l’equilibrio, dato che senza di loro crescerebbe troppo il numero degli erbivori che andrebbero a indebolire e danneggiare la steppa, ma a nulla vale la sua protesta. La caccia è spietata, come è spietato il modo in cui i piccoli vengono uccisi: questo non fa che inasprire la rabbia dei lupi e li renderà ancora più feroci e risoluti. Dinanzi alla brutalità e all’insensibilità della gente che governa la provincia, Chen Zhen salva un cucciolo di lupo, decidendo di allevarlo in segreto. Quando verrà scoperto, la tribù nomade non la prenderà bene (il capo lo accuserà di aver reso schiavo un dio, facendogli capire come lui non ha capito nulla dell’animale e come con il suo modo di fare stia calpestando la sua dignità); incredibilmente troverà un alleato nel responsabile della produzione della provincia, che nella spiegazione del giovane (studiare il nemico se si vuole sconfiggerlo, il miglioramento della specie) vedrà le teorie che insegnava all’università e darà il suo consenso a portare avanti quello che viene considerato un esperimento.
Chen Zhen, nonostante le buone intenzioni, continua a non capire il piccolo lupo e come quello che sta facendo sia contro la sua natura, portando avanti un rapporto conflittuale, dove ben si vede la possessività dell’uomo civilizzato e il suo voler imporre il proprio modo di fare, reputandolo l’unico corretto. Lentamente però il ragazzo si accorge come il progresso, la cosiddetta civilizzazione sta distruggendo il paradiso terrestre in cui per secoli hanno vissuto i mongoli seguendo poche ma sagge regole. La caccia ai lupi prosegue spietata, fino a quando l’intero branco non viene tutto abbattuto; toccante è la scena in cui il capobranco, ultimo rimasto, dopo essere fuggito ai cacciatori, ormai in punto di morte per la stanchezza, si volta a fronteggiare per l’ultima volta gli uomini, mostrando la sua fierezza e la sua dignità mai dome.
Scosso dall’episodio, ma anche dal massacro perpetrato dagli uomini, Chen Zhen ritorna alla tribù, dove racconta al morente capo tribù che tutti i lupi sono morti; prima di spirare, il vecchio Bilig gli dice che ne rimane ancora uno, il suo. Chen Zhen sa che deve liberare il lupo, ma ancora non riesce a staccarsene perché gli manca il coraggio. Sarà la donna di cui è innamorato a farlo per lui.
È nel loro ultimo incontro che il giovane finalmente capisce quanto gli ha insegnato Bilig e soprattutto riesce a capire il lupo.
Film dalla bella fotografia, che si può dire anche di formazione, è senza dubbio di stampo ecologista, promuovendo il rispetto della natura e riscoprire un modo più sano ed equilibrato di vivere con essa. L’ultimo lupo è un film per chi è affascinato da questi stupendi e fieri animali, troppo spesso cacciati nei secoli, e troppo spesso diffamati da dicerie che di vero non hanno assolutamente nulla, ma che dimostrano solo la paura e l’ignoranza dell’uomo verso ciò che non conosce. Una paura e un’ignoranza che spesso supera la deficienza totale.

Parlando di deficienza, è di poco tempo fa il primo sì del governo italiano al Piano Lupo, un piano che prevede l’abbattimento selettivo di tali animali (al momento rinviata). Per chi non avesse seguito negli anni la questione dei lupi, questa specie è stata sull’orlo dell’estinzione nel nostro paese, rimanendone poco meno di un centinaio di esemplari. Dopo tante lotte e sforzi,  il numero dei lupi è tornato a crescere, ma non a prosperare: in tutta Italia, al momento, ce ne saranno circa 1500. Ora, perché si ritorna ad additare il lupo come sterminatore di animali d’allevamento, come distruttore dell’economia di contadini e allevatori, si vuole riprendere la caccia. Una caccia che sarà uno sterminio, perché è così che andrà, dato che in Italia le cose sfuggono di mano e si reputa di fare tutto quello che si vuole perché tanto nessuno controlla. A nessuno però è venuto in mente che a uccidere le bestie da allevamento potrebbero non essere i lupi, bensì cani inselvatichiti? Quei cani che vengono abbandonati d’estate da gente che vuole andare in ferie e che per poter sopravvivere devono risvegliare l’istinto del predatore? Il danno come è sempre è l’uomo a farlo, è lui la causa dei mali, ma a farne le spese sono altri, in questo caso i lupi. E se si vuol guardare a chi fa veramente danno, si vada a cercare un altro tipo di lupo. Tradotto: i cacciatori.
A chi prende certe decisioni, sarebbe da far vedere L’ultimo lupo e se non capisce il messaggio che ha da dare, spiegare chiaramente e brutalmente che la causa dei mali e dei danni è solo e soltanto l’uomo.