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La fine di ogni cosa

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Foglie rosse e accartocciate rotolarono sullo sfondo del cielo limpido, trasportate da una gelida brezza pungente.
«Il cambiamento è in arrivo» garrì la rondine sfrecciando sul campo dove non cresceva più nulla.
Il corvo aprì il becco, buttando la lingua in fuori come se stesse soffocando. «E’ la fine. La fine del mondo.»
«Da dove arriverà?» cinguettò l’usignolo con una malinconica nota risuonante di cose perdute.
«Dal mare» sentenziò l’airone scacciando con il becco le mosche che si posavano sull’ala ferita e spezzata.
«Dal cielo» stridette il falco con un occhio sfregiato volgendo lo sguardo alla volta celeste.
Tra le fronde dei rami, gli occhi spaventati del variegato stormo di uccelli sopravvissuti si posarono all’interno dell’ombra della grande quercia.
«Dall’uomo» risuonò il verso profondo del gufo. «La fine viene dall’uomo.»
Occhi grandi, occhi saggi abbracciarono il deserto cosparso di rocce e lamiere arrugginite, solcato da torrenti lenti, gorgoglianti di liquami bituminosi. Sulla linea dell’orizzonte, come cobra incantatori, si levavano le colonne nere dei fumi degli incendi che andavano sempre più a infittire il cerchio oscurante i raggi solari.
“Senza luce si può sopravvivere, ma senza calore si va incontro a un solo destino.” Il gufo spiegò un’ala per avvicinare al proprio corpo il piccolo di cinciallegra tremante. “Ma in un modo o nell’altro, il finale sarà lo stesso per tutti. Anche per loro.”
Posò lo sguardo sul fumo azzurrognolo che da più parti saliva dal pendio della collina, accompagnato da un rombo ringhioso. Presto non sarebbe rimasto più un albero dove posarsi, non avrebbero più avuto una casa: il boschetto assediato dalle macchine sarebbe caduto, lasciandoli esuli migranti verso il calare della notte del mondo che mai avrebbe più rivisto l’alba.
«A volere troppo, si perde sempre tutto.» Arruffò le penne per scrollarsi di dosso i fiocchi di cenere che avevano cominciato a cadere.

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