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Wild Cards

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Diversi sono stati gli scrittori che dai giochi di ruolo hanno dato vita a romanzi poi divenuti famosi. Ne sono un esempio Margaret Weis e Tracy Hickman che ispirandosi alle sedute di D&D hanno poi creato il mondo di Dragonlance o Steven Erikson che partendo dall’idea di creare un gioco di ruolo ha poi dato vita alla saga conosciuta in Italia con il nome La Caduta di Malazan (come spesso succede nel nostro paese, traduzione che travisa il titolo originale, dato che il suo reale significato è Il Libro dei Caduti di Malazan).
Naturalmente fare delle sedute avvincenti e coinvolgenti in un gioco non è sufficiente per creare delle storie che vadano bene per un romanzo: la mentalità e il lavoro che occorrono sono completamente diversi. Chi è scrittore o vuole esserlo, partendo con una simile base alle spalle, ne deve essere ben consapevole, pena lo scrivere una storia banale e ridicola.
George R.R. Martin ne era ben conscio quando, dopo due anni passati a giocare a Superworld, decise di trarre una serie di libri ispirati a quell’esperienza, dato tutto il materiale che aveva accumulato in quel lasso di tempo: personaggi, storie che sentiva avevano il potenziale per coinvolgere i lettori e cosa che non era male, fargli anche guadagnare dei soldi, visto che mutuo e tasse dovevano essere pagati.
Coinvolgendo i compagni di sedute (anche loro scrittori) e altri collaboratori, nel 1984 ha dato vita alla prolifica serie Wild Cards, mostrando come sarebbe potuta essere la Terra se una razza aliena, molto simile a quella umana (anche come codice genetico), avesse deciso di testare sulla popolazione un virus capace di modificare il dna e conferire straordinarie capacità a chi era alleato e distruggere o indebolire chi era nemico. Già, testare, perché l’agente patogeno non era ancora stato del tutto messo a punto ed era del tutto instabile e imprevedibile. E’ così che non sopportando la mutazione decine di migliaia di persone persero la vita, mentre altre subirono trasformazioni che le resero deformi, dei veri e propri mostri, costretti a nascondersi e a essere perseguitati dai nat (le persone normali). Tuttavia ci fu chi da questo strano mazzo pescò l’asso, acquisendo straordinari poteri quali la capacità di leggere la mente, volare, passare attraverso i muri, avere una forza straordinaria.
Naturalmente anche per gli Assi, così venivano chiamate le persone con superpoteri, non era tutto rose e fiori: c’era il disprezzo del diverso, la volontà dei governi di usarli per i propri fini. Attraverso il primo libro della serie viene mostrato il clima che si viveva subito dopo la Seconda Guerra Mondiale: le Commissioni, i rapporti tesi con la Russia, i gruppi di giovani che si ribellavano al sistema e alla tradizione, la politica che cercava di controllare e imporre leggi restrittive alle etnie diverse. Il tutto condito con un tocco di fantascienza e supereroismo.
Non è difficile trovare analogie con i fumetti che hanno reso tanto famosi i supereroi: il Dottor Tachyon (l’alieno che ha cercato di fermare la diffusione del virus sulla Terra) che crea una clinica per aiutare chi è stato colpito dal virus, proprio come fa il Dottor Xavier negli X-Men; Jennifer che ha la stessa capacità di Kitty Pryde, tanto per fare alcuni esempi.
Ma se ci si aspetta l’etica, la morale di Spiderman o Superman, si può rimanere delusi: i protagonisti non sono così puri, altruisti come si è visto nei fumetti classici, sono molto umani, vicini alla realtà, con tutte le luci e ombre che fanno parte dell’esistenza. I poteri acquisiti non sempre sono usati per il bene della collettività, ci sono intrighi politici, sotterfugi, furti; quello che soprattutto si vede, specie nel primo volume, è il timore, il disprezzo per il diverso, con leggi restrittive e discriminanti, dove i diversi come lo sono i Joker sono costretti a vivere in uno specifico quartiere riservato solo a loro.
Agli Assi va meglio ma di poco, vista che la loro vita è condizionata, porta degli handicap, come a esempio non avere figli, pena l’alta possibilità di far nascere altri joker, invece di trasmettere le loro capacità. E non sempre i loro poteri si attivano seguendo la loro volontà: alle volte ci sono blocchi mentali da superare oppure hanno bisogno di un tramite per attivarsi, come a esempio fare sesso, fare uso di droghe o uccidere delle persone.
Una trilogia avvincente, con il primo romanzo (L’origine) molto più d’impatto rispetto ai due successivi (L’invasione e L’assalto) che ricalcano copioni già conosciuti (come l’invasore alieno da combattere, un gruppo segreto che lavora per ottenere il dominio della società o una vendetta da perpetrare per un piano mandato in fumo). Martin, curatore di questa saga basata su un mondo condiviso, dà buona prova delle sue qualità di scrittore nei racconti con cui partecipa. Opere queste che andrebbero maggiormente conosciute, forse più della saga di Le Cronache del ghiaccio e del fuoco che tanto l’ha reso famoso: benché di quest’ultima serie la qualità della scrittura sia innegabile, ben fatte siano le caratterizzazioni dei personaggi, portando un pubblico ampio ad apprezzare tale lavoro, si è di fronte a un’opera con qualche elemento fantastico, ma che più che altro narra di intrighi politici e intrallazzi di vario genere, per le quali basterebbe guardare uno dei tanti telegiornali che parlano della situazione politica attuale. Se a questo si aggiunge che Martin ha perso le redini delle trame che ha creato e non sa dove sbattere il capo perché ha messo troppo carne al fuoco, portando a tempi d’attesa sempre più lunghi nella realizzazione di ogni nuovo volume e non avendo idea di quando ci sarà una fine, ci si accorge del decadimento avuto in questo ambito dallo scrittore statunitense: un comportamento che a molti lettori non è piaciuto e che ha portato a criticare la sua professionalità, dato che è evidente che ha fatto il passo più lungo della gamba e ha sopravvalutato il lavoro in cui si è imbarcato scrivendo una saga così lunga. Da questo punto di vista, ma anche dell’uso di elementi fantastici, avrebbe molto da imparare da Sanderson ed Erikson.