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Non è più questione di sport

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E questo lo si sapeva da tempo: lo sport è diventato business, palcoscenico per ottenere notorietà.
Lo sport non è più tale, quanto solo una questione di soldi, d’introiti e il calcio è il perfetto emblema di questo modo di fare, vivere, pensare: tutto ruota attorno ai diritti tv, alla pubblicità, ai contratti con gli sponsor, all’uso dei marchi e dell’immagine dei calciatori. Tutto perché si vogliono più soldi, presidenti in primis, che hanno fatto delle squadre delle vere e proprie imprese.
Ormai il calcio è questo: imprenditoria. Non bisogna credere che sia altro, bisogna prendere atto che non è più questione di sport, ma non solo per l’ambito economico: basta osservare i fatti di queste ultime settimane dove le tifoserie organizzate non fanno che alzare proteste, innalzando la bandiera della libertà d’espressione, quando invece tutto quello a cui stanno inneggiando è il caos, a voler fare tutto quello che vogliono senza avere alcuna regola.
Ormai si è andati ben oltre il limite: non si possono esortare le tifoserie a unirsi insieme nell’insulto discriminante. E non vale attaccarsi al cliché del “si è sempre fatto così, pertanto va bene”, perché non va bene affatto: è sempre stato sbagliato. Ora ci si meraviglia se ci sono delle sanzioni, quando invece ci si deve meravigliare del perché non è stato fatto tanto tempo fa: uno sbaglio è stato il permettere che s’insultasse liberamente senza fare mai nulla. E un altro sbaglio è stato il non capire che allo stadio ci si va per sostenere la squadra per cui si tifa, non per insultare quella avversaria e i suoi tifosi: il tifo non è, come spesso hanno fatto e fanno in tanti, un modo per sfogare le proprie frustrazioni e rabbie personali, trovando negli altri un catalizzatore dove scaricarle. Il risultato ora è che gli stadi sono divenuti dei veri e propri campi di battaglia dove ci sono armi, scontri, feriti: non è più un divertimento.
Questa è violenza becera allo stato puro.