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Derive pericolose

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Da tempo si sta dicendo che in Italia ci sono derive pericolose, ma fin troppe persone fanno finta di niente o minimizzano quello che accade.
Un caso è quello di Mario Balotelli, bersaglio di cori razzisti durante Verona-Brescia, con allenatore e presidente della squadra di calcio Verona e del sindaco di Verona che negano quanto avvenuto, nonostante i video che dimostrino quanto avvenuto. Non bastasse il negare la realtà e gli ulteriori insulti del capo ultrà di Verona che asserisce che Balotelli non sarà mai italiano per il colore della pelle, ecco che parte la denuncia del sindaco che questo è un attacco all’immagine della città di Verona, cui si aggiungono i quattro consiglieri comunali che hanno fatto richiesta di denunciare Balotelli per diffamazione. Va ricordato che già a settembre, sempre a Verona, successe la stessa cosa al giocatore del Milan Kessie e anche in quel caso la società negò tutto. A margine di questa vicenda, va ricordato come Salvini, in perenne campagna elettorale, non abbia perso occasione di strumentalizzare la vicenda per i suoi fini, asserendo che dieci Balotelli non valgono un operaio dell’Ilva.
Quest’anno ci sono già stati altri cori razzisti su cui si è soprasseduto, come nel caso di Lukaku e Dalbert. Come dice Lilian Thuram, ex giocatore di Juventus e Parma, campione del mondo con la Francia, “Non bisogna accettare come una cosa naturale il razzismo e bisogna denunciare” e “il discorso razzista storicamente è portato dai politici. Perché se tu ripeti ogni giorno una cosa, dopo ci sono tante persone che pensano che sia vera.”
Ma il calcio è solo una delle tante derive che ci sono in Italia.
Una è quella degli attacchi antisemiti a Liliana Segre. Dopo che la destra ha rifiutato di votare per la commissione contro l’odio e l’antisemitismo, una parte della classe politica non ha mancato di fare la sua parte. Di nuovo protagonista Salvini, che si lamenta di ricevere costantemente minacce di morte e di non piangere per aver ricevuto un proiettile; ma anche Giorgia Meloni, che, come ha spiegato a Segre, i 98 senatori e senatrici del centro-destra si sono astenuti dal votare la commissione perché loro difendono la famiglia (e come, ha risposto la Segre, ci si domanda cosa c’entri tutto questo con la commissione contro l’odio).
Continuiamo con le derive pericolose, con il sindaco di Predappio (terra di nascita di Benito Musolini e meta ogni anno di suoi nostalgici) che ha negato il contributo del comune al viaggio ad Auschwits perché non si danno soldi a chi ha una visione solo parziale della storia e perché il Treno della Memoria è di parte. Fa pensare come si sia presa posizione in questo caso, mentre si è lasciata correre una manifestazione illegale come il corteo che ha celebrato l’anniversario della marcia su Roma che portò nel 1922 il fascismo al potere; fa pensare come si chiudano gli occhi di fronte a tanti saluti fascisti e a inni al Duce quando dovrebbero essere invece perseguiti per legge. Troppe volte ormai si sta assistendo a come la giustizia italiana assolva questi casi, come successo a Imperia, a Milano per militanti di Lealtà Azione e di Casa Pound, solo per citarne alcuni.
Si sta tornando indietro di decine di anni, come successo ad Alessandria, con un’azione che ricorda quanto accadeva a metà degli anni ’50, quando in America le persone di colore venivano trattate come appestate: una donna ha impedito a una bambina di sedersi accanto a lei perché nera. Caso analogo era successo a Trento l’anno scorso.
Per non parlare di due locali dati alle fiamme a Roma, La Pecora Elettrica, libreria antifascista, e il Baraka Bistrot, che aveva espresso solidarietà al primo.
Questi sono solo alcuni esempi di ciò che sta accadendo in Italia (per non parlare di persone aggredite per il colore della loro pelle); esempi che vengono negati, cui non si vuole far caso, ma che sono un campanello d’allarme di un clima d’odio e intolleranza che sta portando derive sempre più gravi e deliranti.

Dio ama, l’uomo uccide

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Dio ama, l'uomo uccideDio ama, l’uomo uccide è una graphic novel di Chris Claremont disegnata da Brent Anderson; realizzata nel 1982, è ancora oggi di grande attualità, anzi, lo è forse più di allora. La storia, che ha ispirato il film X-men 2, vede il famoso gruppo di mutanti alle prese con il predicatore William Striker e i suoi Purificatori; ex militare, quando scopre che il figlio nato è un mutante, lo vede come un mostro e lo uccide, facendo seguire alla moglie la stessa sorte. Trovando conforto nella religione, si vede come un prescelto per portare avanti la crociata contro questi mostri. Dopo essersi assicurato potere economico e influenza mediatica, decide di colpire gli X-men, rapendo Charles Xavier, il potente telepate a capo del gruppo, e soggiogandolo con i suoi macchinari perché usi il suo potere mentale per uccidere tutti i mutanti. Non ha fatto però i conti con Magneto, un tempo nemico del gruppo, che ora si fa alleato degli allievi di Xavier.
Dio ama, l’uomo uccide è una storia in pieno stile X-men (quello degli anni d’oro di questa testata fumettistica), ma è anche una storia che denuncia l’intolleranza, l’odio per il diverso, il traviare gli insegnamenti religiosi piegandoli ai propri scopi.
Dio ama, l’uomo uccide mostra come certi personaggi in posizione di potere utilizzano i media per influenzare le masse con i loro messaggi distorti e pericolosi, generando odi, conflitti, proprio come sta succedendo nel nostro presente. Appellandosi al giusto, si commettono grandi atrocità e bestialità con chi è diverso, che non viene visto come un essere vivente, ma come un nemico che va eliminato. Una storia vecchia come il mondo quella dell’uccidere gli altri in nome di un dio o un ideale, ma che tanto spesso viene dimenticata; proprio per questo, opere come Dio ama, l’uomo uccide andrebbero lette per non dimenticare.

Sulla libertà d'espressione

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Si dice che la nostra è una società civile, dove c’è libertà d’espressione, ma è veramente così?
Prendiamo alcuni fatti recenti.
Uno dei casi di cronaca più eclatanti è stata la professoressa sospesa dall’insegnamento perché non aveva sorvegliato sul lavoro di alcuni suoi studenti e non averlo censurato (nello specifico, gli studenti avevano paragonato il dl sicurezza di Salvini alle leggi razziali fasciste).
Diversi i casi in cui le forze dell’ordine sono intervenute per rimuovere striscioni di contestazione nei confronti di Salvini (1. 2.). Se è vero che non si può insultare nessuno, è anche vero che se non ci sono offese non c’è divieto di esporre un proprio pensiero: questo articolo spiega bene la questione.
Non riguarda l’Italia invece il caso della scrittrice Amélie Wen Zhao: ne parla Bruno Bacelli sul suo sito. Qualcuno ipotizza che sia stata una mossa di marketing, ma non fosse così, si sarebbe davanti a un precedente pericoloso, che rischia di minare la libertà d’espressione di qualsiasi autore, perché a questo punto chiunque potrebbe sentirsi autorizzato a protestare e chiedere la rimozione di qualcosa che dà fastidio. Questo sta già succedendo per esempio con alcuni film che non hanno nulla di offensivo ma che alcuni vedono come tale (in Italia in passato è successo tante volte per esempio con i cartoni animati, vedere per esempio le critiche su Sailor Moon) ed è molto preoccupante.
Purtroppo nel periodo attuale si sta andando verso un appiattimento di pensiero dove si devono dire solo cose che non danno fastidio a nessuno, evitando d’affrontare tutte le questioni spinose o che debbono essere criticate. Un’uniformità di pensiero che ricorda tanto quella di 1984 di George Orwell.

La violenza come risoluzione dei problemi

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Bolsonaro: come risolve la violenzaSapete chi é Bolsonaro? II nostro nuovo Presidente, di origine italiana, con il nonno soldato nazista. Si insedierà al governo dal 1 ° gennaio 2019.
È stato eletto con una buona maggioranza anche se circa il trenta per cento degli elettori non ha votato. Lo chiamano il MITO. Nato dal nulla, ex militare espulso, deputato da trenta anni, senza né arte né parte, improvvisamente diventa “il mito e il messia”. Come e perché? La gente é stanca della corruzione e soprattutto della violenza che é presente in ogni strada, in ogni paese o città.
Bolsonaro ha captato questo e ne ha fatto il suo cavallo di battaglia. Come ha fatto Salvini in Italia con i migranti.
Come? Ammazzando quanti sarà necessario; 30 mila? Quello che sarà necessario. Ma ogni anno vengono già uccise più di 63 mila persone per lo più giovani. E abbiamo le prigioni strapiene; la violenza e il traffico e il consumo di droghe aumentano sempre di più. A Rio si ammazzano 16 esseri umani al giorno, circa 500 al mese. Se ammazzare risolvesse il problema dovremmo stare in paradiso.
“lo darò armi a ogni cittadino. Solo i banditi hanno diritto ad avere le armi?” ha dichiarato ripetutamente. La polizia potrà sparare a volontà, come il tiro al piccione, quando sospetta che il bandito sia armato. Sempre secondo Bolsonaro, questo Statuto-Eca, legge federale di protezione ai minorenni, deve essere stracciato: difende solamente i banditi. Bisogna mettere i ragazzi in carcere anche se minorenni. Ma il Brasile già è il terzo paese al mondo per numero di detenuti. Il carcere disumanizza e forma banditi a livello universitario.
Le ONG, le associazioni di difesa dei diritti umani e delle minoranze, devono sparire e non avere più appoggio dal governo: difendono delinquenti.
Bolsonaro si presenta come l’uomo nuovo della politica, contro la corruzione. Afferma che il PT (Partito Trabalista) e il governo Lula sono governi comunisti, sono i grandi nemici da abbattere. La situazione attuale del Brasile è colpa loro, anche se Lula ha lasciato il comando nel 2012.
Lula dovrà marcire in carcere si dice. Non entro in merito sull’innocenza o meno dell’ex Presidente Lula, ma è chiaro che l’élite brasiliana non tollera che un nordestino, con poca istruzione scolastica, possa tentare di dare voce, dignità e protagonismo agli schiavi di ieri e di oggi. Lula deve essere punito per questa sfrontatezza! L’élite colonizzatrice non può sopportare questo.
Bolsonaro ha diffuso e predicato l’odio in nome di Dio e della Bibbia che ha incominciato a prendere in mano, lui che forse neppure era credente. Ha ricevuto l’appoggio manifesto di molte grandi e corrotte chiese evangeliche e anche di molti cattolici perchè si é presentato come difensore dei valori morali, della famiglia, contro l’aborto e le minoranze omoaffettive. Uccidere, eliminare chi è mio avversario, odiare, sfruttare sempre più i poveri sono valori morali? In nome di Dio si é ucciso Dio che è amore. Chi lavora per il sociale, per la giustizia, per i poveri e le minoranze è comunista e sovversivo. Devo prepararmi perché da sempre lavoro tra gli esclusi! II male è la sinistra: il bene è la destra radicale.
“Deus acima de tudo e o Brasil, acima de tudo”: è il ritornello ripetuto in ogni incontro.
Lo abbiamo già sentito nella dittatura passata.
Bolsonaro si è rifiutato di partecipare a dibattiti politici con il suo oppositore. Qual è il programma di governo? Nessuno lo sa. Lo spiega un po’ in questi giorni in cui prepara il nuovo governo. Un mito non ha bisogno di spiegare. La coltellata ricevuta in piazza ne ha fatto un eroe che bisognava votare perché lo vogliono eliminare.
È eletto via rete sociali e fake news, preparate da forze occulte, ma intelligenti.
Non si parla di giustizia sociale, di educazione, di sanità, di politiche pubbliche.
Si parla di uso della forza e di fare tacere chi è sovversivo. È chiaro che dietro Bolsonaro esiste un piano internazionale di destra radicale che vuole impiantare un capitalismo selvaggio in tutto il mondo, depauperando sempre più i lavoratori derubati dei loro diritti faticosamente conquistati e delle masse povere e fare sempre più ricca quella cerchia ristretta già molto ricca.
II nuovo Presidente si è messo subito in collegamento con Trump e con tutti i governi di destra inclusa l’Italia di Salvini che si è congratulato con lui e ha gioito per la sua vittoria.

Dalla strada alla vita, Anno XVII – numero 58 -Dicembre 2018. pag. 4,5,6.

L’articolo scritto da Padre Renato parla della situazione attuale in Brasile. L’Italia ha una situazione differente, ma fino a un certo punto: ci sono degli elementi in comune, dei modi di pensare che sono gli stessi. Su questo ci sarebbe da riflettere.

Di razzismo e violenza

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Dal 26 dicembre 2018, dopo i fatti di Inter-Napoli, non si fa altro (tra le tante cose che causano discussioni e conflitti in Italia) che parlare di razzismo e violenza. Il fatto che ha fatto più scalpore, e che ha visto in tanti schierarsi e scandalizzarsi, sono stati i cori razzisti contro il giocatore del Napoli, Koulibaly. Mentre meno risalto è stato dato alla morte di un tifoso interista durante gli scontri avvenuti prima della partita.
Scontri fuori dallo stadio di Inter-Napoli, partita divenuta nota per i casi di razzismo e violenzaEntrambe le cose sono questioni che vanno avanti da anni e a cui non si è voluto porre rimedio: nessuno ha cercato di cambiare le cose, ma tanti a scandalizzarsi, criminalizzare, pontificare. Gli insulti contro gli avversari, i pesanti sfottò, sono stati considerati come una parte del gioco, come qualcosa di normale. Anche gli scontri tra tifoserie sono state considerate come parte dello show; uno show che qualunque cosa succedesse doveva andare avanti, perché, si diceva, non ci si può inchinare a pochi violenti. In realtà, lo si è fatto andare avanti perché nel calcio circolano ingenti quantità di denaro, un business gigantesco e mostruoso. Sì, mostruoso, perché spesso è raccapricciante sentir parlare di cifre che girano attorno a un singolo individuo quando tanti individui non hanno un lavoro o se ce l’hanno è sottopagato e per lavorare devono accettare di tutto; è mostruoso veder morire delle persone per quello che dovrebbe essere solo divertimento, invece è fonte di odio e parole.
Tanti a fare proclami e bei discorsi, ma non servono più belle parole, ma fatti, perché si è in ritardo di anni su questioni che dovevano essere risolte ormai da tanto tempo.
I fatti però possono esserci se si cambia mentalità e se si applica sempre lo stesso metro di giudizio.
L’Inter è stata punita, il sindaco di Milano si è scusato a nome di tutti per i cori contro il giocatore del Napoli. Una cosa giusta.
Allora perché anche Napoli non si è scusata per la morte del tifoso interista?
Il razzismo è un reato, ma uccidere una persona lo è altrettanto e forse è una cosa anche più grave. Tanti a dire “se l’è cercata”, “è quello che si meritava”: se ha assaltato e attaccato altre persone, il tifoso deceduto doveva essere arrestato e condannato per quello che ha fatto, se così fosse risultato dalle indagini. Ma la morte è una punizione troppo alta per quanto fatto: ci vuole giustizia, non vendetta.
Se si è colpito l’Inter per colpa di alcuni suoi tifosi, però si devono colpire anche altre squadre per lo stesso motivo. Juventus (striscioni sulla morte del Grande Torino). Torino (striscioni sulla tragedia dell’Heysel). Fiorentina (striscioni sulla morte di Scirea). Solo per dirne alcune, perché tanti sono i casi del genere. Se si vuole porre un freno a tutto ciò, occorre dire no a qualsiasi forma, sia fisica, sia verbale, e non solo sul razzismo: allo stadio si va per incitare la propria squadra, non insultare gli altri.
Si cominci a essere giusti e applicare le regole a tutti: allora forse si farà un passo avanti. Ma non basterà finché non cambierà la testa delle persone e per farlo occorre partire da chi è sempre sotto i riflettori, vedasi politici, perché non si può difendere (giustamente) una persona di colore perché è calciatore e poi dare addosso ad altri perché sono migranti. E’ vero, sono questioni molto complicate, ma il clima d’odio, d’insoddisfazione, che tanto è presente nel nostro paese, ha bisogno di valvole di sfogo, qualcuno su cui incanalarle e questo è sbagliato. La storia ha insegnato come in periodi come quello in cui si sta vivendo che è facile scaricare su alcuni i propri sentimenti d’insoddisfazione e che non porta a nulla di buono. O si sviluppa un’educazione e un modo di pensare e vivere diverso o saremo sempre allo stesso punto.

Che cosa è diventata la rete

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La rete, rispetto a quando è nata, è divenuta un luogo (non reale naturalmente) dove è possibile trovare qualsiasi tipo d’informazione. Ma è anche un posto dove c’è molta disinformazione e approssimazione, dove la gente riversa le proprie insoddisfazioni, le proprie frustrazioni, scaricandole sugli altri, dove provoca per scatenare reazioni, volendo dimostrare di essere meglio degli altri, di essere superiore e avere ragione.
Tutto ciò ha reso la rete un luogo sgradevole, spesso insopportabile, dal quale è meglio starne alla larga o addirittura starne fuori. Perché anche se si rimane buoni e tranquilli, anche se si limita la propria presenza all’indispensabile, c’è sempre quello che va a rinvangare cose passate per provare ad attirare l’attenzione e scatenare purtroppo i famosi flame. Esistono delle persone che vogliono imporre il proprio pensiero e se uno non la pensa alla sua maniera, se esprime il proprio punto di vista, rimanendo fermo nelle propri convinzioni e non facendosi condizionare o sottomettere, gli danno addosso, continuando a rinvangare cose passate, estrapolandole dal loro contesto per tirare acqua al proprio mulino, spesso senza citare le fonti e chi ha scritto certe frasi, ma facendo ben capire a chi ci si riferisce; un comportamento non solo scorretto, ma anche codardo.
Questa è diventata la rete: un luogo dove la gente, nascondendosi dietro a un monitor e a una tastiera, scrive cose che nella realtà non direbbe e non farebbe. La rete è divenuta una valvola di sfogo dove si dà vita alla parte meno bella e apprezzabile dell’essere umano. Purtroppo tanti non riescono a capire che quando non si sa cosa scrivere, è meglio stare fermi; riproporre in continuazione cose del passato non solo dimostra povertà di idee e contenuti, ma anche di una limitatezza che dimostra ciò che si è: persone che vogliono essere presenti per dimostrare che loro valgono, sono di valore. Presenzialisti che non si rendono conto che il loro cosiddetto contributo sta solo impoverendo la rete e le persone con cui entrano in contatto.
Purtroppo questo modo di fare fin troppo diffuso (e non solo questo) ha raggiunto un livello tale che è diventato un problema cui le istituzioni stanno cercando di trovare un rimedio. Già ci è stata messa una mano, ma questo non è servito a risolvere il problema, solo a creare più difficoltà. La rete, un territorio prima libero (e se si vuole anche selvaggio), ora sta incorrendo in sempre più limitazioni e controlli; questo in parte è giusto, perché non si verifichino più come i tanti casi (come quello di facebook) dove i dati degli utenti erano usati, a loro insaputa, da diverse ditte. Ma è anche un pericolo, perché l’informazione è un grande potere e a seconda di chi lo usa può essere utile o distruttivo, oltre che un mezzo per ottenere grandi guadagni e influenzare i mercati e le masse. Governi, multinazionali sono consapevoli di questo, come sono consapevoli che è un mezzo per condizionare le popolazioni; in parte ci sono già riusciti, ma fortunatamente non ancora del tutto, perché hanno trovato chi si è opposto ai loro tentativi.
Le possibilità per mantenere la rete un mezzo dove si può condividere, confrontare e arricchirsi, ci sono ancora, ma finché ci saranno tante persone che utilizzano la rete in modo banale, stupido, meschino, per alimentare il proprio ego e dare sfogo alle proprie insoddisfazioni, le cose non miglioreranno di certo.

Campagna contro la pedofilia

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Da anni si stanno svolgendo campagne contro la pedofilia: inutile dire quanto esse siano fondamentali. Importantissimo dare loro il più risalto possibile perché la guardia non è mai alzata abbastanza, perché nella società attuale, così tecnologica, così connessa, così legata alla rete, si tende a condividere di tutto, senza pensare alle conseguenze di questa scelta e come verrà usato quanto condiviso. Molti adulti pubblicano le foto dei propri figli in rete per farle vedere agli amici, per stimarsi, senza considerare che c’è chi le guarda con occhi malati: più del 50% dei contenuti pedo-pornografici deriva dai social network. Prima di condividere le foto dei propri figli è meglio pensare, perché la rete non è solo divertimento, intrattenimento, ma possiede un lato oscuro che sempre più prende piede e sfrutta la semplicità con la quale vengono compiuti certi atti. Occorre sempre essere consapevoli prima di agire per non andare incontro a situazioni spiacevoli: ognuno, nel piccolo può dare il suo contributo a rendere il mondo un posto migliore o se non si vuole essere così ottimisti, può impedire che nel mondo venga aggiunto altro fango. In fondo, in certi casi, non ci vuole niente per dare il proprio contributo.

Le origini della violenza

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Il brano che segue è tratto dall’intervista di Alessandro Gisotti – Città del Vaticano a Padre Renato Chiera.

Secondo alcune stime recenti… in Brasile avviene il 13 per cento degli omicidi commessi in tutto il mondo, nonostante i brasiliani rappresentino solo il 3 per cento della popolazione del pianeta. Il Brasile ha inoltre purtroppo raggiunto, nel 2014, il triste primato del numero assoluto di omicidi: oltre 59 mila persone uccise. Per padre Luis Ferndando da Silva, segretario esecutivo della Campagna di Fraternità, “il superamento della violenza” è la condizione necessaria per “una società e una cultura di pace” e “richiede impegno e azioni che coinvolgono la società civile, la Chiesa e le istituzioni”.
Proprio su questo fronte di impegno contro la violenza si trova fin dagli anni ’80 padre Chiera che, grazie all’attività della “Casa do Menor”, ha salvato dalla violenza della strada migliaia di bambini e ragazzi, abbandonati ad un tragico destino di abusi, prostituzione, criminalità e tossicodipendenza. A margine dell’udienza generale, padre Renato Chiera si è soffermato con Vatican News sulle radici di questa violenza che sempre più sta scuotendo il Brasile, non risparmiando nemmeno i bambini. “La violenza – sottolinea il missionario – ha molte cause: è il risultato di qualcosa che si spacca. La violenza è un grido che qualcosa non va bene”. I nostri ragazzi, ammonisce, “sono violenti perché mostrano il dolore che hanno, la sofferenza che hanno, le spaccature che ci sono state. Adesso, la violenza ha delle cause, delle radici molto profonde, innanzitutto nei rapporti ingiusti tra le persone. Quindi c’è un problema sociale, una struttura violenta che violenta la gente e che, come conseguenza, ha una reazione violenta”.
Nel suo Messaggio per la Campagna di Fraternità, Papa Francesco sottolinea che il perdono, per quanto difficile, è l’unico strumento per vincere la rabbia e la violenza, per ridonare la pace. Un’esperienza che padre Chiera vive ogni giorno con i suoi “ragazzi di strada”. “Cosa vuol dire il perdono? Che io devo darti possibilità. Tu – afferma il sacerdote – puoi avere sbagliato, ma io ti do possibilità di recuperarti, io credo nella tua bontà. Oggi, non si crede più nella bontà dell’essere umano”. Noi, prosegue, “capiamo questo con i ragazzi. I ragazzi che noi accogliamo sono colpiti quando noi li accogliamo come sono, non li giudichiamo, non vogliamo nemmeno sapere il loro passato! Loro non credono di aver valori, non credono che hanno delle possibilità. Loro accettano di essere uccisi perché dicono: `Lo merito. Ho preso questa strada … lo meritò. Quindi neppure si perdonano”. Quando vedono che noi li perdoniamo, sottolinea padre Chiera, “li aiutiamo a perdonarsi, quando riescono a perdonare papà e mamma, a perdonare quelli che hanno fatto loro del male, perdonare se stessi, allora riescono ad andare avanti”.
Il fondatore di “Casa do Menor” risponde infine sul dilagare della violenza giovanile in Italia, che sembra solo ora scoprire il drammatico fenomeno delle baby gang. “Vorrei dirvi questo: ascoltiamo il grido di questi ragazzi! Cosa ci vogliono dire? Non diciamo solo: `Sono dei banditi”. Per padre Chiera, quando “abbiamo detto questo”, “non abbiamo risolto nulla”. “Ecco il problema. Tuo figlio si droga, tuo figlio comincia una vita sbagliata. Chiedigli un po’ il perché! Chiedigli due cose: ti senti amato? Don Bosco diceva: `Non è sufficiente amare il figlio; bisogna vedere se lui si sente amato’. Seconda cosa: cosa stai soffrendo per fare così? Due domande chiave – sottolinea il missionario in Brasile – che aprono il cuore, perché tu ti avvicini, non per giudicare; tu ti avvicini anche per lasciarti giudicare”.

Dalla strada alla vita. Anno XVII – Numero 56 – Aprile 2018, pag. 13

Sacrificare tutto per la connessione

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“Tutto può essere sacrificato alla crescita della connessione.” Questo emerge da un memorandum di Facebook del 2016 di Bosworth, collaboratore di Zuckerberg, a seguito dello scandalo che ha colpito Facebook. sacrificare tutto per la connessioneOra tutti si meravigliano, ma era scontato che sarebbe andata a finire così: troppi dati, troppe informazioni per non essere sfruttate la connessione per fare soldi, per non acquisire potere. Sì, dati e informazioni sono divenuti un grande potere che era impossibile non venisse utilizzato per ottenere importanza e avere un ruolo fondamentale sul mondo.
Le persone si sono fidate, hanno condiviso, quando invece avrebbero dovuto non farlo.
Perché?
Perché non erano chiare le condizioni cui sottostare.
Perché non bisogna mai fidarsi dei grandi gruppi, dato che perseguono sempre i propri fini e non sono mai quelli dei singoli individui.
Le parole di Bosworth dovrebbero mettere in allarme e far riflettere su che cosa c’è dietro certi prodotti e che mentalità viene usata per gestirli: tutto è accettabile pur di raggiungere gli obiettivi prepostisi. Tutto ciò non è solo allucinante, ma è qualcosa che non ha più nulla di umano. Libertà, diritti, rispetto: tutto sacrificato. Si possono accettare violenza, morte, pur di ottenere maggiori fette di mercato, maggior potere, più soldi.
La cosa peggiore, nonostante la portata di questo scandalo, è che la gente non ha ancora capito come sta venendo spiata, usata, sfruttata. E se lo ha capito, non gli importa e continua a stare in un certo sistema, contenta di esserci.
Tutto questo avrebbe bisogno di una regolamentazione, di tutele; tanti stanno usando fiumi di parole nel dire questo, ma la verità è che si farà poco o niente per cambiare lo status quo delle cose. Ormai siamo alla deriva. Come dice V nell’opera V for Vendetta di Alan Moore “questa è la terra del prendi ciò che vuoi” non è anarchia perché “anarchia vuol dire senza capi; non senza un ordine… Non è anarchia questa. Questa è caos”. (1)

1. V for Vendetta. Alan Moore, David Lloyd. Magic Press Vertigo 2006, pag. 195.