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Perché si fotografa?

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Cosa spinge una persona a imbracciare una macchina fotografica e dedicarsi alla raccolta d’immagini?
Certo c’è la volontà di mantenere i ricordi di bei momenti trascorsi insieme alle persone care, di ricordare gite o luoghi che si è visitato una volta e a cui difficilmente si farà ritorno; un modo, se si vuole, di viaggiare nel tempo, di far riemergere dai meandri della memoria l’ombra di emozioni vissute in altri periodi, avendo per alcuni istanti l’illusione di rivivere periodi che sono trascorsi, di riavere la compagnia di persone lontane, che si è perso di vista o che non sono più. Un ripercorrere tappe del cammino che si è fatto e magari capire come si è arrivati a un certo punto, le scelte che si sono effettuate e magari fantasticare su quali percorsi potrebbero essere stati intrapresi se si fossero prese altre direzioni, quali mondi e persone si sarebbero incontrati; un modo per immaginarsi diversi, per lasciarsi andare e scoprire nuovi aspetti di sé. Un breve sguardo su ciò che si poteva essere e non è stato prima di tornare alla quotidianità, una piccola parentesi di tempo sospeso prima d’immergersi di nuovo nel flusso della realtà.
Naturalmente non a tutti fa questo effetto la fotografia; per alcuni è un obbligo, specie quando si va in ferie, un modo per dimostrare dove si è stati, un fare più che altro per gli altri che per se stessi, quasi una costrizione che diventa una seccatura, facendo perdere il piacere di quello che per molti è un hobby.
Per altri è un modo di cogliere aspetti della realtà che spesso sfuggono, un focalizzarsi su dettagli, come se la macchina fotografica fosse un binocolo o un microscopio per analizzare quei lati della vita che sono sotto gli occhi di tutti, ma che se non si possiede la pazienza e l’accortezza di fermarsi a osservare spesso scorrono via come se non esistessero; un modo per cercare di succhiare tutto il midollo della vita, come viene detto nel film L’attimo fuggente.
Per me la fotografia è come i punti uno e tre appena descritti, ma non solo. L’atto del fotografare ha un’azione placante, acquieta una sorta d’istinto predatorio che possiedo. E’ complesso da spiegare, ma il catturare immagini è come andare a caccia, trovare una preda e farla mia: una sorta di conquista di qualcosa di unico, di carpire quell’attimo che mai più si ripeterà. Forse in una vita passata sono stato un predone a capo di una banda, sempre pronto a calare sulle carovane di passaggio per arraffare i preziosi carichi che trasportavano o un conquistatore che avanzava imperterrito per accumulare territori su territori; oppure un cacciatore che s’addentrava nella savana per abbattere animali feroci ed esotici e farne sfoggio al ritorno nel proprio paese dove tali bestie erano una rarità, considerate personaggi di storie, in alcuni casi quasi leggende.
Stringere una macchina fotografica tra le mani, puntando l’obiettivo verso il soggetto, tenendo l’occhio puntato nel mirino, è forse proprio come essere un cacciatore. Solo che in questo caso non si uccide nessun animale, non si distrugge nessuna vita, ma si preserva un ricordo, lo si può condividere e trasmettere agli altri, carpendo quella grazia che appartiene a un particolare momento. Un dare sfogo a un impulso senza causare danno a nessuno, capace anzi di creare qualcosa di bello.
Si tratta di semplici viaggi mentali, fantasticherie per cercare di dare una spiegazione a qualcosa che s’avverte, ma di cui non si riesce a trovare definizione: un impulso onnivoro, sempre presente, che spinge a non fermarsi, a voler sempre cogliere quanto s’incontra, un voler accaparrarsi tutto per non lasciare nulla indietro.
Che sia quanto sta alla base dell’evoluzione, del voler superare i limiti, sapendo che c’è sempre un orizzonte da conquistare, una vetta da scalare, sapendo che ce n’è sempre una più alta cui arrivare?
Quale che sia la verità, la macchina fotografica è pronta in ogni momento a svolgere il compito che ogni giorno c’è ad attenderla.

1 comment to Perché si fotografa?

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