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Tolkien

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Tolkien, il film sulla giovanezza dell'autore di Il Signore degli AnelliTolkien è un film biografico del 2019 sul famoso autore di Il Signore degli Anelli; dai dati acquisiti, il film non ha ottenuto un gran successo, né ha ricevuto critiche molto positive, ma personalmente la pellicola non mi è dispiaciuta. Certo, è romanzata, ci sono delle cose che non corrispondono con quanto realmente accaduto e non credo che Tolkien fosse “casinista” (ma si sa che per il grande schermo attira più una figura problematica che un tranquillo studioso), ma nel complesso il film sa fare il suo dovere, ha ricostruito abbastanza bene l’ambiente e l’atmosfera dell’epoca e riesce a far capire come le esperienze dell’autore abbiano influenzato le sue opere.
Dalla vita in campagna di quando era bambino che gli ha fatto sviluppare l’amore per la natura e i paesaggi alla passione per le letture e le storie d’avventura e fantasy trasmessa dalla propria madre, dalla passione per la conoscenza delle lingue all’amicizia dei membri del T.C.B.S. (Tea Club and Barrovian Society: i quattro amavano prendere il the nei Barrow Stores vicino alla scuola che frequentavano) che segnò profondamente Tolkien, dall’amore per Edith Bratt (che diverrà poi sua moglie) agli orrori e alle perdite portate dalla Prima Guerra Mondiale, il film riesce a mostrare discretamente il percorso che ha portato Tolkien a divenire scrittore fantasy.
Ci sono delle lacune, questo va fatto presente: mancano l’influenza che la religione cattolica ha avuto sui suoi libri, l’amore per i cavalli, la preoccupazione che lo sviluppo industriale avrebbe avuto sulla natura e questi non sono elementi da poco, visto l’importanza che hanno avuto nella produzione tolkeniana, ma se si vuole qualcosa di più approfondito e legato all’autore occorre rivolgersi altrove (per esempio gli speciali che sono stati messi nelle Special Extended Edition dedicate ai tre film realizzati da Peter Jackson su Il Signore degli Anelli).
Non per questo il film realizzato da Dome Karukoski va bocciato o stroncato: c’è del buono in quanto realizzato. In diversi, perché il film non venne né approvato né autorizzato dalla famiglia Tolkien e dalla fondazione omonima, lo snobbarono o lo giudicarono negativamente, ma questo è stato un atteggiamento non corretto; certo, non siamo di fronte a un film da Oscar, ma neppure a una pellicola scadente: Tolkien è un film che fa capire come le esperienze di vita hanno influito sullo scrittore che sarebbe poi divenuto il giovane Ronald mostrato dal regista. E quindi, a mio avviso, gli si può dare un’opportunità.

Contraddizioni 2

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Crozza parla di un mondo pieno di contraddizioniViviamo sempre più in un mondo di contraddizioni, dove i comici sono le persone più serie che mostrano la realtà e i politici diventano sempre più barzellette di se stessi e del ruolo che ricoprono, al punto che si pensa che forse sarebbe meglio che le due parti si scambiassero di posto.
Se non fosse tragico, farebbe sorridere che chi ha appoggiato il fascismo, responsabile di milioni di morti assieme al nazismo nella Seconda Guerra Mondiale (forse anche di più, dato che è stato il primo a ispirare il secondo e a causare quello che è stato; ora, non esiste la controprova che senza il fascismo non ci sarebbe stato il nazismo, ma i fatti mostrano ciò e dobbiamo fare i conti con esso, anche se molti hanno fatto e fanno finta di non vedere), per rifarsi la faccia asserisce di stare dalla parte degli ebrei, quando nel conflitto tra Israele e Palestina in questo caso ci sarebbe da condannare entrambi, dove da salvare ci sono solo le popolazioni che come sempre ci si rimettono sempre.
Non si fa che parlare della piaga dell’alcol tra i giovani, di come tanti di essi perdano la vita in incidenti stradali o ammazzano altre persone perché ubriachi, e poi c’è un ministro (Lollobrigida) che vuole che si aumenti il consumo dell’alcol legandolo agli eventi sportivi.
Ora si criticano tanto i calciatori perché c‘è lo scandalo scommesse, ma poi ci si dimentica come si è bombardato con la pubblicità su giocare online e fare scommesse (quello che fa sorridere è che dopo aver fatto l’illecito, si vuol far diventtare i calciatori colpevoli del fatto testimonial contro il gioco, per aiutare gli altri, perché così facendo “salveranno migliaia di vite”, stando ad alcune dichiarazioni di procuratori: in breve tempo li si fa passare da incriminati a eroi o martiri. La gente non è stata già presa in giro abbastanza?)
In un mondo dove le violenze sulle donne si fanno sempre più serrate, dove vengono ammazzate per i motivi più stupidi (Italia) o più fanatici (Iran), c’è ancora chi se ne salta fuori con discorsi del piffero (Gianbruno) sulle brutalità che subiscono.
Contraddizioni ovunque e si fa fatica, come dice Crozza (il video postao merita davvero di essere visto), a capirci qualcosa in tutta una confusione sempre più generalizzata, salvo che l’odio sta prendendo il sopravvento e sta aumentando a dismisura (basta vedere solo nel piccolo, dove i social, la rete, diventano un mezzo per scatenarsi nel modo peggiore).
Contraddizioni. Contraddizioni. Contraddizioni.

Suzume

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SuzumeCosa dire di Suzume di Makoto Shinkai? Si tratta di un film a due facce: la prima molto buona, spumeggiante, coinvolgente, mentre la seconda non mantiene lo stesso livello. Forse da uno come Shinkai ci si aspetta sempre tanto, ma in questo caso si va a finire in qualcosa di già visto, sia da parte dello stesso regista, sia da parte di altre storie. E la morale alla fine è che occorre sia accettare la scomparsa di coloro cui si tiene e andare avanti (Suzume), sia accettare le proprie responsabilità (Daijin): niente che non sia già stato affrontato.
Suzume è una liceale che vive con la zia, dato che la madre è morta quando lei era piccola. Il suo obiettivo è diventare infermiera, proprio come lo era il genitore (del padre non si ha traccia: la madre l’ha cresciuta da sola). Fa spesso un sogno ricorrente, in cui lei è piccola e sta cercando disperatamente la madre in mezzo a rovine e distese d’erba, fino a quando incontra una donna di cui non riesce a vedere il volto.
La sua è un’esistenza tranquilla fino a quando mentre va a scuola incontra un ragazzo che le chiede se nelle vicinanze ci sono delle rovine, dicendo che sta cercando una porta. Suzume rimane sia perplessa sia colpita da questo incontro e dopo un poco decide di seguire il ragazzo; raggiunge le rovine ma di lui nessuna traccia. Tuttavia, in mezzo a uno specchio d’acqua creatosi al centro di una grande struttura sta una porta solitaria; incuriosita, la apre, trovandosi davanti a uno splendido paesaggio sovrastato da un magnifico cielo stellato che le ricorda il sogno. Appena però attraversa la soglia, si ritrova nel mondo reale, non importa quanti tentativi faccia; l’unica cosa diversa è che all’improvviso compare una statuetta di gatto. Appena la estrae dal terreno, questa si trasforma in un gatto vero, che corre via.
Spaventata, Suzume scappa e torna a scuola, ma la sua tranquillità dura poco, dato che vede comparire dal punto in cui sono situate le rovine un fumo viola e nero. Torna alle rovine e ritrova il ragazzo incontrato poco prima che sta tentando di chiudere la porta dalla quale fuoriesce lo strano fumo. Dopo tanti sforzi riescono nell’impresa, ma il giovane, che si chiama Suota, rimane ferito a un braccio. Accoltolo in casa propria, Suzume lo cura e da lì viene a sapere che di porta come quella che ha visto, che sono dei passaggi dimensionali, ce ne sono diverse in tutto il Giappone e il compito di Souta è quello di chiuderle per impedire che da esse escano delle forze chiamate il Verme che si trovano sotto il terreno (il fumo che ha visto) che, abbattendosi sulla terra, causano i terremoti; la cosa è solo temporanea, dato che per fermarlo in modo più duraturo occorre usare la chiave di volta.
Mentre stanno parlando compare un gatto macilento: Suzume gli dà da mangiare e il gatto per la sua gentilezza cambia di aspetto e fa diventare Souta la piccola sedia a tre gambe di Suzume. Il gatto, infatti, che verrà chiamato Daijin, si rivelerà essere la chiave di volta che però non vuole più essere tale ma bensì divenire l’animale domestico della ragazza; inizierà così un lungo inseguimento a tratti comico, dove Suzume sul suo cammino incontrerà diverse persone che l’aiuteranno nel suo viaggio inaspettato.
Presto però Souta non potrà più essere con lei, dato che dopo essere stato mutato in sedia perderà sempre più se stesso; il che è una logica conseguenza dell’essere diventato lui la chiave di volta. Suzume, per fermare una manifestazione particolarmente potente del Verme è costretto a usarlo, ma non si rassegnerà a perderlo e andrà a parlare col nonno del ragazzo per sapere se c’è un modo per poterlo far tornare indietro.
Naturalmente esiste ed è proprio lei che può farlo, basta che ritrovi la porta che ha già attraversato una volta: infatti, Suzume è in grado di vedere l’Oltremondo (il mondo dei morti) essendoci stata da piccola. Qui scoprirà che quello che crede un sogno in verità è stato la realtà e per lei comincerà un altro viaggio non solo per riportare in vita Souta, ma per venire a patti anche con un passato che la tormenta ancora.
Ed è da questo punto in poi che il film Suzume perde quella verve che l’aveva caratterizzato; un po’ perché ripete in parte temi già visti in Viaggio verso Agartha, conosciuto anche come I bambini che inseguono le stelle (non per niente la scatola che Suzume dissotterra nei pressi nella sua vecchia casa distrutta porta scritto sopra il nome di Agartha), un po’ perché vuole rendere omaggio a ciò che è successo l’11 marzo 2011 (l’incidente alla centrale nucleare di Fuchushima avvenuto dopo il terremoto e il successivo maremoto). Se a questo si aggiungono i conflitti generazionali tra giovani e figure genitoriali, tra sogni infranti e rinunce in nome della responsabilità e difficoltà a comunicare i propri sentimenti, si capisce come Suzume venga appesantito più del dovuto prima di avviarsi verso un lieto fine, con Suzume che finalmente viene a patti con quello che è successo in quel tragico giorno di tanti anni prima (e come Shinkai suggerisce di fare in un qualche modo anche al Giappone).
Visivamente magnifico, Suzume fa un passo indietro rispetto ai film precedenti, soprattutto se lo si confronta a Your name; rimane un buon film, ma da Makoto Shinkai ci si aspetta qualcosa di più.

La spada della verità

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La spada della veritàLa spada della verità di Terry Goodkind è una sorta di copia di La spada di Shannara di Terry Brooks, che a sua volta era una copia di Il Signore degli Anelli di J.R.R. Tolkien e, visto il risultato ottenuto da Brooks, vien da pensare che il giudizio non sia positivo. Quindi tutto da buttare?
No: a Goodkind va riconosciuto che ha il coraggio di mostrare stupri, violenza sulle donne e pedofilia. Certo i cattivi sono più cattivi che non si può e ne fanno di cotte e di crude con tutti, anche con i bambini, e possono essere stereotipati al massimo della malvagità (per avere la popolazione dalla sua parte non ci pensano due volte a camuffare i propri soldati per quelli avversari e far massacrare quelli che dovrebbero proteggere), prendendo delle decisioni che lasciano perplessi (Darken Rahl, dopo che un mago ha ucciso con il fuoco magico il padre e ne è rimasto a sua volta profondamente ustionato, ha imposto che nessun fuoco venga acceso nel suo regno, pena gravi conseguenze; senza contare che fa giustiziare per un non nulla le persone, tipo che ci siano petali caduti sul pavimento nella tomba del padre), ma non sono molti gli autori che descrivono le violenze senza tanti giri di parole.
Senza contare che, benché non sia il massimo dell’originalità, la storia raccontata (il classico bene contro il male), le vicende e l’ambientazione create hanno un certo fascino. Certe tematiche (come a esempio la spiegazione che c’è dietro la Prima Regola del Mago, ovvero che la gente è stupida e crede a quello che vuole credere) sono interessanti, benché alle volte si va troppo sullo “spiegone”. E va riconosciuto che alcuni personaggi sono ben caratterizzati, come succede con Denna, visto che non è facile mostrare la mente di una torturatrice senza scadere nel classico cliché della figura assetata di sangue: Goodkind riesce a creare una mente complessa, seppur distorta, coniugando uno strano connubio di amore legato al dolore che rasenta la pazzia.
Però ci sono delle cose che davvero non vanno. Appena Richard e Kahlan s’incontrano diventano subito amici (sentimento che diverrà presto amore) e porteranno avanti per centinaia di pagine un rapporto young adult come purtroppo si è visto tante volte: sospiri, struggimenti, vorrei ma non posso, pianti (tutti e due piangono con una facilità disarmante). Per non parlare che tutte le figure femminili quando si tratta Richard parlano come se fossero sempre la stessa persona: tutte non fanno che ripetere che lui è una persona molto rara.
Se si riesce a sopportare tutto questo e si supera la prima parte, oltre a soprassedere che il potere delle Depositarie è il potere dell’amore  (non sorprende che la prima volta che Richard lo sente dire si mette a sghignazzare), la storia a un certo punto può anche essere godibile.
Richard è una guida che vive nei Territori Occidentali e da poco ha perso il padre, ucciso in strane circostanze; mentre sta cercando di fare chiarezza sul fatto, incontra e aiuta una donna vestita di bianco, Kahlan Amnell, salvandola dall’attacco di quattro uomini. Richard è sorpreso di sapere che lei viene dalle Terre Centrali e ha attraverso il pericoloso Confine (una sorta di barriera magica che ha a che fare con il mondo dei morti) per trovare il Primo Mago, l’unico che può aiutarla a fermare Darkhen Rahl, il tiranno del D’Hara che dopo le Terre Centrali vuole conquistare anche quelle Occidentali; infatti, se venisse in possesso delle tre Scatole dell’Orden e riuscisse ottenere il loro potere, per il mondo inizierebbe un’era oscura.
Richard porterà Kahlan da Zedd, un vecchio un po’ strambo suo amico, che si rivelerà essere proprio la persona cercata. Zedd darà la Spada della Verità (un potente artefatto magico che dona sì potere, ma che pervade l’utilizzatore di rabbia; senza contare che può diventare bianca se chi la impugna è mosso da vera compassione e perdono, l’opposto della rabbia) a Richard e lo nominerà Cercatore (un guerriero che lotta per portare verità e guidare i popolo verso la saggezza). Assieme a Chase, un Custode del Confine, partiranno alla volta delle Terre Centrali per entrare in possesso dell’unica Scatola dell’Orden non ancora nelle mani di Rhal. Sarà un viaggio lungo e pieno di pericoli, dove incontreranno la saggia incantatrice Adie, il popolo del fango, la strega Shota, le perfide regnanti di Tamarang e la piccola Rachel.
Richard scoprirà che Khalan è la Madre Depositaria e per via del suo potere non potranno stare insieme. Dopo essere stato catturato e torturato per settimane dalla Mord-Sith Denna, una donna addestrata a catturare i dotati di potere magico e a piegarli alla sua volontà, Richard acconsente ad aiutare Rhal, ma nel mentre cerca di trovare un modo per sconfiggerlo. Dopo essersi fatto amica Scarlet, il drago rosso personale di Rahl, salvando il suo uovo, Richard, che aveva memorizzato quando il padre era ancora in vita Il Libro delle Ombre Importanti prima di distruggerlo, quando tutto sembra perduto ha la meglio su Rhal utilizzando la Prima Regola del Mago, e relegando il tiranno nel Mondo Sotterraneo, il mondo dei morti. Richard, Kahlan e Zedd sono di nuovo riuniti; Richard prenderà il posto di Rhal e farà giustiziare il fratello, rivelatosi il traditore al soldo del Tiranno, e potrà stare con Kahlan, avendo scoperto il modo per non sottostare al potere della Depositaria; Zedd ha ottenuto la sua vendetta su Rahl, ma non rivelerà per il momento che il despota era il vero padre di Richard, avendo stuprato la figlia del mago quando era giovane, e che George Cypher era solo il padre adottivo, che aveva accolto amorevolmente Richard e la madre quando si erano rifugiati nei Territori Occidentali.
In definitiva, il primo volume di La spada della verità non è proprio malaccio: si è letto di peggio, ma si è anche letto di meglio.

Hunger Games

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Hunger GamesNon c’è molto da raccontare sulla storia di Hunger Games scritta da Susanne Collins, dato il grande successo avuto dal film che ha visto Jennifer Lawrence interpretare il ruolo della protagonista, Katniss Everdeen. In un’America postapocalittica, la nazione chiamata Panem è governata da Capitol City, mentre dodici distretti le riforniscono le materie prime e di sostentamento; un tempo i distretti erano tredici, ma uno di essi è stato distrutto durante una rivolta scatenatasi settantaquattro anni prima gli eventi narrati nel libro. Dopo quel fatto, per ricordare il potere di Capitol City, ogni anno vengono realizzati dei giochi celebrativi, gli Hunger Games, dove ogni distretto deve inviare un ragazzo e una ragazza, di età compresa tra i dodici e i diciotto anni, a parteciparvi; i ventiquattro partecipanti si dovranno sfidare in un’arena e uccidersi, finché soltanto uno rimarrà in vita.
Questi Hunger Games, che un po’ ricordano il tributo che Atene doveva a Creta e che tanto è conosciuto come il mito del Minotauro, servono sia per dimostrare il potere di Capitol City, sia per spezzare lo spirito delle persone dei distretti e tenerli sotto controllo; un sistema subdolo, ma efficace, che per decine d’anni ha impedito che ci fossero altre rivolte.
Tutta la storia viene vista attraverso lo sguardo di Katniss Everdeen, una giovane che, dopo la morte del padre avvenuta in uno scoppio in maniera, si è accollata sulle spalle la madre e la sorella più piccola: va a cacciare di frodo nella foresta vicina il distretto e per avere più tessere per il cibo riceve delle nomine in più nella urna che selezionerà chi dovrà andare agli Hunger Games. Nonostante le alte possibilità di venire selezionata alla Mietitura, la scelta ricade sulla sorella, al suo primo anno negli Hunger Games; sapendo che non ha nessuna possibilità di farcela, Katniss si offre volontaria al suo posto. Assieme a lei andrà Peeta Mellark, figlio del fornaio che una volta di nascosto la sfamò.
Giunti a Capitol City, i due vengono truccati, vestiti, fatti sfilare, addestrare e intervistati, il tutto sotto l’occhio attento delle telecamere che non li lascia mai un momento. Perché è questo che sono gli Hunger Games: un grande show televisivo dove la gente di Capitol City si appassiona, si emoziona per i tributi, trepidando per le loro vicissitudini, piangendo per le loro morti.
Soli in un mondo così diverso dal loro (pieno di luci, comodità e cibo di ogni genere), l’unico aiuto che hanno è quello della frivola Effie, dei loro stilisti (specialmente Cinna) e dello scorbutico e spesso ubriaco Haymitch, unico vincitore del Distretto 12 degli Hunger Games ancora in vita e loro mentore e l’unico che può fargli avere degli sponsor che li possono aiutare quando saranno nell’arena.
Separata fin dall’inizio del gioco dal suo compagno di distretto (durante l’intervista erano stati fatti passare come i due sfortunati innamorati), Katniss si troverà a lottare da sola contro gli altri tributi e le insidie proposte dagli Strateghi; inaspettatamente troverà in Rue, la ragazzina del Distretto 11, un’alleata e assieme faranno saltare in aria le riserve di cibo dei tributi favoriti. Rue morirà però tra le sue braccia, causandole un dolore straziante; ritroverà però un ferito Peeta e insieme continueranno la loro sceneggiata di innamorati.
Questa cosa, per rendere i giochi più interessanti, farà cambiare la regola degli Hunger Games che vede solo un vincitore: ora possono essercene due, purché siano dello stesso distetto.
Con un po’ di fortuna e abilità riusciranno ad arrivare insieme in fondo ai giochi, ma ci sarà un colpo di scena: la regola dei due vincitori viene tolta. Stanca di stare al gioco e sapendo che non può esserci nessun vincitore, decide con Peeta di mangiare nello stesso momento i morsi della notte, delle bacche velenose che uccidono all’istante. Vengono fermati all’ultimo istante e così per la prima volta ci saranno due vincitori. La cosa ai piani alti di Capitol City non piace per niente e il pericolo per Katniss non è ancora finito.
Il romanzo di Hunger Games presenta qualche dettaglio in più rispetto al film, che comunque mantiene lo spirito dell’opera cartacea e ne è molto fedele. Ci sono alcuni personaggi in più, ma non sono determinanti nello svolgimento; rispetto al film c’è solo il punto di vista di Katniss e il presidente Snow viene mostrato per qualche riga solo nel finale, mentre nella pellicola (ben interpretato da Donald Sutherland) ha delle parti che ne mostrano la natura; nel libro si parla di strateghi, nel film ne viene fatto vedere soltanto uno. Cambia un poco lo scontro finale nell’arena che è sempre tra Cato, Peeta e Katniss, ma gli ibridi che vengono scagliati contro i tre nel film sono una sorta di mastini giganti, nel romanzo sono delle creature create con i geni dei concorrenti morti: nel film Cato fa un discorso di una certa profondità, nel romanzo fa a malapena una battuta e la sua fine è molto più brutale (per lo spettacolo, le creature lo dilaniano lentamente per ore). Peeta nel romanzo perde una gamba, sostituita poi con una artificiale.
A Susanne Collins va dato il merito di aver saputo scrivere una storia coinvolgente, con un buon ritmo, riuscendo a criticare il mondo dello spettacolo e della spettacolarità sempre più ricercata della nostra società senza essere pedante.

Demon Slayer - Il treno Mugen

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Demon Slayer - Il teno MugenDemon Slayer – Il treno Mugen è il seguito della prima stagione di Demon Slayer ed è decisamente un passo avanti rispetto a essa, non tanto per l’aspetto visivo, dato che lo Studio Ufotable aveva già fatto un ottimo lavoro, quanto per ciò che riguarda il modo di far andare avanti la storia. Realizzato sia in versione cinematografica sia anime (a parte la prima puntata dell’anime, dove viene presentato il Pilastro delle Fiamme Rengoku Kyojuro, la storia è praticamente la stessa), Tanjiro, Zen’itsu e Inosuke, guidati da Rengoku stanno indagando su un demone che ha fatto scomparire quaranta persone sul treno Mugen. La situazione sembra risolversi subito per il meglio con la sconfitta di due demoni, ma la realtà è molto differente, visto che si tratta tutto di un sogno: i quattro sono tutti caduti sotto l’effetto del potere della prima Luna Calante, Enmu. L’abilità vampirica del demone permette di controllare i loro sogni: dapprima gli fa avere quello che più desiderano, poi li fa sprofondare negli incubi prima di ucciderli.
La scelta dell’abilità vampirica di questo demone è stata davvero azzeccata, perché è molto interessante mostrare l’inconscio dei vari personaggi e soprattutto non è il solito modo di combattere a colpi di spade e tecniche distruttive. Le parti migliori sono quelle di Rengoku e Tanjiro, con il primo che sogna il padre e il fratello, addestrando quest’ultimo, e il secondo che ritrova tutta la sua famiglia ancora viva; quelle relative a Zen’itsu e Inosuke, sono più leggerine, con lo spadaccino delle respirazione del fulmine che sogna di camminare insieme con Nezuko (la sorella di Tanjiro) e quello della respirazione della bestia che è un sogno macchietta dove lui si vede a capo degli altri animalizzati a combattere un mostro.
Enmu, grazie alla collaborazione di quattro giovani che si legano con delle corde agli spadaccini e addormentandosi cercano di trovare il loro nucleo spirituale e distruggerlo con un punteruolo, sembra avere la meglio, ma non ha tenuto conto dello spirito combattivo di Rengoku, né del fatto che Nezuko, essendo diventata una demone, è immune al suo potere e con i suoi tentativi di svegliare il fratello fa accorgere Tanjiro che sta sognando; lo spadaccino, per svegliarsi, si suicida nel sogno e dice alla sorella di bruciare le corde che tenevano legati gli altri. Nel mentre lei fa ciò, sale sul tetto e combatte contro Enmu, sfuggendo alla sua tecnica vampirica suicidandosi in sogno ogni volta che finisce addormentato; il demone viene decapitato, ma ciò non serve a sconfiggerlo, perché ormai il demone si è fuso con l’intero treno.
Lo scontro diventa improbo, ma l’intervento di Inozuke, risvegliatosi, e il lavoro di coppia dei due spadaccini porta la vittoria contro il demone. Il treno deraglia e tutto sembra finito, ma dalla foresta giunge Akaza, la Terza Luna Crescente, che dapprima cerca di uccidere Tanjiro, poi cerca di convincere Rengoku a divenire un demone. Il Pilastro del Fuoco rifiuta e tra i due nasce uno scontro epico, che però termina con la sconfitta dello spadaccino; tuttavia, Akaza deve scappare per il sorgere del sole, prima che la luce diurna lo consumi.
In punto di morte Rengoku rivede l’amata madre, orgogliosa di lui per aver usato la sua forza per difendere i più deboli. Tanjiro, Inozuke e Zen’itsu sono in lacrime davanti al corpo di Rengoku mentre i corvi portano agli altri Pilastri la notizia della fine di quello del fuoco. Il capofamiglia dei Pilastri loda l’operato di Rengoku, essendo riuscito a salvare la vita di tutti i duecento passeggeri del treno.
Demon Slayer – Il treno Mugen è un ottimo prodotto, che si concentra sulla storia e non si perde dietro tutte quelle scenette presenti nella prima serie che dovrebbero essere ilari. Scene di combattimento spettacolari (ma questa non è una novità per Ufotable), buon approfondimento dei personaggi di Regoku e Tanjiro, ottimo lo sviluppo dell’idea di ambientare buona parte dell’azione nel mondo dei sogni, il tutto accompagnato da una colonna sonora azzeccata, soprattutto per quanto riguarda l’epico scontro tra Akaza e Rengoku.
Per amanti di storie di spadaccini, katane e demoni, Demon Slayer – Il treno Mugen è una visione che non può sfuggire.

Oltre le nuvole, il luogo promessoci

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Oltre l nuvole, il luogo promessociOltre le nuvole, il luogo promessoci è il primo film di animazione realizzato per il cinema da Makoto Shinkai; ambientato in un mondo ucronico, dove il Giappone è un paese diviso in due parti (una dominata dall’America, l’altra dalla Russia), vede come protagonisti due ragazzi, Hiroki Fujisawa e Takuya Shirakawa, che hanno come sogno quello di costruire un aereo e così raggiungere la gigantesca torre costruita dai russi in Hokkaido. Nell’estate in cui stanno per terminare il progetto cominciano a frequentare una compagna di classe, Sayuri Sawatari, il cui nonno ha progettato la famosa torre, che, venuta a sapere di quello che stanno facendo, si fa promettere che la porteranno con loro.
Il periodo che passano insieme è idilliaco e tiene lontano le ombre di un mondo pieno di conflitti, ma alla fine delle vacanze estive la ragazza scompare senza lasciare traccia e dopo questo evento Hiroki e Takuya non portano a conclusione la costruzione dell’aereo.
Passano tre anni e si scopre che Sayuri è finita ed è rimasta in coma da quell’estate; nel mentre, la parte del Giappone tenuta sotto controllo dall’America monitora e studia l’attività della torre, che, grazie agli studi fatti sui mondi paralleli, sta sostituendo parte della realtà attuale con un’altra; se tutto ciò avvenisse, sarebbe la fine del pianeta.
Incredibilmente, l’attività della torre è in qualche modo legata al coma in cui è caduta Sayuri: la ragazza sogna un mondo in cui è l’unica essere vivente del pianeta e nei momenti in cui la sua attività cerebrale s’intensifica, la torre si attiva sostituendo sempre più parti della Terra. Gli studiosi che la tengono monitorata ipotizzano che se lei si svegliasse completamente, sarebbe la fine del mondo.
Hiroki, venuto a sapere di lei attraverso un sogno ricorrente dove la ragazza ricorda solamente la promessa fatta durante quella bella estate, riallaccia i contatti con l’amico di un tempo (che adesso fa parte del team che studia la torre) e vuole portare a termine la costruzione dell’aereo per adempiere a quello che si erano detti tre anni primi. Dopo che i due hanno litigato (si deve scegliere se salvare Sayuri o il mondo), Hiroki riesce a convincere Takuya: quest’ultimo preleva Sayuri dal luogo in cui era tenuta e Hiroki la porta con sé sull’aereo alla volta della torre dove, una volta che lei si sarà risvegliata, lancerà contro la torre una bomba speciale capace di annullare gli effetti della struttura. Il piano andrà a buon fine, ma il desiderio di Sayuri di poter ricordare l’amore per Hiroki, l’unica cosa che l’aveva tenuta ancorata alla realtà, non verrà esaudito; Hiroki, vedendola in lacrime, la consola dicendole che potranno ricominciare di nuovo da capo.
In Oltre le nuvole, il luogo promessoci la componente principale è il legame che si è creato tra i tre ragazzi, soprattutto tra Hiroki e Sayuri, il cui amore andrà oltre il tempo e le dimensioni; l’elemento fantascientifico (i mondi paralleli, la torre che fa da congiunzione a essi), il clima da guerra fredda che ha diviso in due il Giappone, sono marginali e fungono da pretesto per mostrare quanto sono forti e assoluti i sentimenti amorosi che si creano quando si è adolescenti, dove si è disposti a tutto pur di soddisfarli (tema ripreso dall’autore in Weathering with you). Anche se il tema principale può lasciare perplessi, visto come gli altri aspetti del film sono messi da parte a suo favore, è affrontato da Shinkai in tono delicato e soprattutto malinconico, soprattutto per il  sottolineare come crescendo venga perso molto dello spirito adolescenziale (tema che verrà sviluppato in maniera più profonda e meglio riuscita in 5 cm per second).
Seppur non perfetto, Oltre le nuvole, il luogo promessoci è un buon esordio per Shinkai e getta i semi di quella che sarà la sua produzione futura, anche se diverse cose vengono lasciate nell’ombra (come nasce la torre, qual è davvero il suo scopo oltre a scoprire altri mondi, perché è legata al mondo dei sogni, qual è il legame che c’è tra essa e Hiroki: s’intuisce che il tutto è connesso al fatto che lei è la nipote del suo ideatore, ma non si sa il perché). Il comparto grafico, seppur si sia di fronte a una pellicola del 2004, è di alto livello ed è uno spettacolo per gli occhi per quanto riguarda i paesaggi.

Italianità

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Paola Egonu rapprensenta l'italianità molto meglio di altre figure italiane.

Foto di Osvaldo Telese

Secondo Vannacci, autore del libro Il mondo al contrario, Paola Egonu non rappresenta l’italianità. Il riferimento è chiaramente rivolto al colore della pelle e ai tratti somatici: pur essendo italiana, dato che è nata in Italia, non può essere simbolo d’italianità dato che i suoi genitori vengono da un’altra nazione. Premettendo che rappresenterebbe la cosiddetta italianità molto meglio di persone come Berlusconi, Renzi e Salvini (e non ci si riferisce solo fisicamente), bisogna riflettere su cosa sia l’italianità: è questione solo di colore della pelle? Di tratti somatici?
Se ci si limitasse a basarsi solo sull’apparenza esteriore, si farebbe un passo indietro di diverse decine di anni, tornando a quei principi negativi di cui era pervaso l’arianesimo ai tempi del nazismo, dove occorreva corrispondere a determinati requisiti fisici per essere considerati degni, di valore.
L’italianità, invece, è qualcosa che va oltre l’aspetto fisico e non sono certo quegli steriotipi che gli italiani si ritrovano affibbiati dagli altri paesi, purtroppo dovuti al modo di fare di certe persone che con la loro visibilità mediatica hanno avuto una certa influenza sulla considerazione di cosa era l’essere italiano (senza girare tutto il mondo, ma andando semplicemente nei paesi europei vicini, gli italiani erano etichettati come “mandolino, pizza, mafia, Berlusconi, Bunga Bunga”).
Non è neppure l’essere i furbetti che cercano sempre di ottenere quello che si vuole raggirando le regole, cercando raccomandazioni o di fare il meno possibile, ridendo in faccia all’impegno e al merito.
E non è neppure fare soldi a qualsiasi costo, pronti a tutto per il guadagno, come succede per le morti bianche, che per guadagnare di più si risparmia sulla sicurezza. O lasciare da parte etica e ideali, pronti a vendere di tutto come ha fatto la casa editrice che pubblicherà il libro di Vannacci e non perché, come asserito da essa, è contro la cancel culture, ma perché non si sputa sui soldi, visti i grandi guadagni che Il mondo al contrario ha portato all’autore (al momento si parla di più di ottocentomila euro). Viene da chiedersi se la casa editrice pubblicherebbe, se mai fosse scritto, anche il libro dell’imam che spiega come lapidare le donne, visto che è contro la cancel culture e quindi a favore della libertà d’espressione.
L’italianità non è neanche il prendere in giro le persone e nascondersi dietro falsità, nascondere la verità dietro storielle inventate cui tutti dovrebbero credere. Non è l’arrampicarsi sugli specchi asserendo che le critiche su un libro sono sullo stile quando invece sono sul contenuto: questa non è italianità, ma uno sviare l’attenzione. E nemmeno asserire che Vannacci adora tanto le figlie da non rinunciare alle vacanze in Sardegna per via delle critiche subite sul libro scritto (spiacenti, ma questo non dimostra nulla: l’affetto è altra cosa).
L’italianità non è voler arricchirsi usando populismo, smerciando mentalità distorte che istigano all’intolleranza, all’odio per chi non rientra nella maggioranza, non è insultare omosessuali o immigrati, anche se una parte degli italiani fa proprio questo.
L’italianità è la somma di culture ed etnie diverse. E non si tratta di utopia o idealismo, ma di fatti storici, dato che l’Italia ha ospitato popoli diversi: etruschi, greci, popoli del nord, ottomani, borboni, austriaci. Se siamo quello che siamo è perché l’italianità è l’unione di tante diversità; se non fosse stato così non ci sarebbe stata evoluzione. Se non ci fosse stata contaminazione, come molti non vorrebbero sentire dire, l’italianità non sarebbe andata avanti e sarebbe rimasta ferma a una popolazione di pastori priva di cultura. Cultura, va fatto notare, che non è mai stata propria ma di cui ci si è impossessati rubandola agli altri con la forza, come è successo con quella greca: senza di essa non ci sarebbe stato il fiorire dell’impero romano.
Se ci si soffermasse ai tecnicismi e si sfrondasse tutto ciò che non è italianità pura, ci si ridurrebbe ad avere un popolo di ladri e di bruti.
Se invece si guarda alla realtà, l’italianità è un miscuglio di tanti elementi che hanno portato ad affrontare e a superare sfide impossibili, a sognare in grande, a realizzare opere di bellezza allo stato puro, a fare grandi scoperte.
L’italianità è il saper cogliere il meglio di quello con cui si entra in contatto e far sì che porti frutto. Non importa la classe sociale d’appartenenza, il colore della pelle, i tratti somatici o i gusti sessuali: questo non ha nulla a che fare con l’italianità.

P.s.: fa pensare che tanti testi migliori e superiori a Il mondo al contrario hanno venduto molto meno. Questo la dice lunga su quello che la gente vuole sentirsi dire e su com’è; il che, sotto certi aspetti, è abbastanza preoccupante. A dimostrazione che non si è mai venuti a patti con la carica d’odio (causata da fascismo e nazismo) che ha fatto scaturire, al momento, il peggior conflitto che la Terra abbia mai visto.
E per riflettere un altro po’, un video di Crozza su Vannacci; fa pensare come siano i comici quelli che mostrano e analizzano di più la realtà.

P.p.s.: fa un po’ sorridere la scelta del titolo dell’opera di Vannacci, visto che proprio l’autore usufruisce dei benefici di un mondo del genere. Infatti, in un mondo dove le cose vanno per il verso dritto, in posizioni di comando non ci sarebbero persone come lui e a vendere sarebbe libri fatti bene e con contenuti validi.

 

Il Signore degli anelli di Bakshi

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Il signore degli anelli di Bakshi Andavo alle elementari (anni 80) quando vidi Il Signore degli Anelli di Bakshi in televisione. Allora, a differenza di adesso, non c’erano molti film e serie dedicate al fantastico, e quindi fu un piccolo evento; la storia si capiva che non terminava con la fine della pellicola, dato che c’era sì la vittoria al fosso di Helm, ma Frodo e Sam erano ancora in viaggio con Gollum per portare l’Unico Anello al Monte Fato, e quindi aspettai con trepidazione la trasmissione della seconda parte. Attesa vana, perché non ci fu mai un seguito, ma allora non c’era internet per fare ricerche e quindi non era possibile avere notizie rapidamente. In seguito scoprii le ragioni del perché non ci fu un prosieguo della storia e di tutto quello che c’era stato dietro: dal rifiuto di Kubrick alla controversa sceneggiatura di Boorman che tradiva ciò che era Il Signore degli Anelli con alcune licenze che la fecero bocciare senza se e senza ma, fino ad arrivare a Ralph Bakshi, che decise di farne una versione animata.
Visti i costi che una produzione del genere avrebbe richiesto e che i mezzi di allora non avrebbero permesso di creare un’ambientazione adeguata a quella del romanzo, la scelta fatta da Bakshi sembrava quella giusta: un’animazione realistica, senza tanti fronzoli, lontana dallo stile disneyano tanto conosciuto fino ad allora, con fondali curati nei dettagli maniacalmente (ci ha lavorato anche un allora sconosciuto Tim Burton). Lo stesso Bakshi definì il suo lavoro un dipinto animato, pura pittura in movimento.
Per l’impossibilità di disegnare tutto, si decise di usare il rotoscopio, ovvero di ricalcare le scene a partire da pellicole girate in precedenza. Dopo gli acquerelli dei fondali e lo stile dei personaggi, l’uso di questa tecnica può risultare stridente e creare un risultato finale grottesco. Eppure, proprio questa scelta ha reso caratteristico Il Signore degli Anelli creato da Baksji: può piacere o non piacere, ma ha dato al film un suo perché. Ed è un rammarico che al regista non sia stata data la possibilità di completare il lavoro (benché a fronte di un investimento di quattro milioni di dollari ne avesse guadagnati trenta) perché aveva saputo adattare abbastanza bene l’opera di Tolkien; certo, c’erano stati dei tagli (eliminata la parte di Bombadil, visto che risulta slegato alla trama principale), ma nel complesso lo spirito originario viene mantenuto.
Seppur stroncato dalla critica, il film ha diversi punti positivi, al punto da avere una forte influenza sul più fortunato Il Signore degli Anelli girato da Peter Jackson, che non solo effettua molti dei tagli realizzati da Bakshi, ma rifà diverse inquadrature alla stessa maniera del suo precedessore (la festa di Bilbo, l’incontro dei quattro hobbit con il Nazgul nella foresta, quello con Aragorn). Sia ben chiaro: la pellicola del 1978 non è perfetta, visto che non approfondisce i personaggi, è troppo compressa per via di tagli richiesti dalla produzione con salti di trama non da poco (mancano venti minuti di scena che il regista non è riuscito a completare per poter far uscire il film nella data prevista) e si può essere perplessi su certe scelte (Gimli non è un nano ma un silvano), ma se ne si ha la possibilità, la si recuperi, perché ha subito un giudizio troppo duro.