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La Via dei Re - Primo volume del ciclo Le Cronache della Folgoluce, di Brandon Sanderson

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La Via dei Re è il primo volume del ciclo Le Cronache della Folgoluce. Un romanzo che porta lo stesso titolo di un libro presente all’interno del mondo di Roshar, l’ambientazione creata da Brandon Sanderson. Un libro antico, di tempi andati, di cui sono rimaste poche tracce, tant’è che vengono considerati solo dei miti, delle leggende.
Ma è proprio su questo libro che l’Altoprincipe Dalinar, e così suo fratello il re Gavilar Kholin prima di lui, che sta basando la propria vita, facendone la guida del proprio essere, mettendo in pratica i Codici, gli insegnamenti scritti in quelle pagine. Insegnamenti che sono in contrasto con la mentalità dei nobili e della società di Alethkar, che lo fanno passare per un uomo dalla mente instabile, per un pazzo, ma che percepisce come la via da seguire per poter realizzare il sogno del fratello.
Uniscili, è la voce che sente in continuazione, che lo esorta a riunire sotto la guida del nipote e rendere una cosa sola gli altri Altoprincipi del regno, uniti solo in apparenza perché la realtà li vede divisi da interessi personali, impegnati a competere e primeggiare gli uni sugli altri, totalmente privi dei valori cavallereschi che invece appartenevano ai Radiosi. Valori dove chi era alla guida delle nazioni non doveva essere servito, ma doveva servire il popolo, mettere la propria vita al servizio di chiunque, dove l’esempio era necessario per far sì che anche gli altri prendessero spunto da azioni che avrebbero reso grande e florido un regno. Valori che se ci si pensa sono sempre attuali e possono essere attuati nella realtà e non solo nel mondo fantastico, perché sono la strada per costruire un mondo migliore; e se si continua a pensare, ci si accorge che quanto narrato nel mondo di Roshar non è altro che uno specchio della realtà che noi viviamo.
Non combattere mai altri uomini tranne quando vi sei costretto in guerra.
Lascia che siano le tue azioni a difenderti, non le tue parole.
Aspettati onore da coloro che incontri e dà loro la possibilità di esserne all’altezza.
Governa come vorresti essere governato.
Un monarca è controllo. Fornisce stabilità. E’ il suo servizio e il suo mestiere. Se non riesce a controllare se stesso, allora come può controllare le vite degli uomini?
Ideali in cui è arrivato a credere, anzi, che ha cominciato a vivere in prima persona, sempre più convinto che il mondo sarebbe un posto migliore se tutti li vivessero e li attuassero. Ma perché questo si verifichi occorre che siano conosciuti e perché siano conosciuti occorre che ci sia chi dia l’esempio.
Un uomo Dalinar, conosciuto come lo Spinanera (facendo riferimento a uno degli animali più feroci), un tiranno, un guerrafondaio, che dopo anni come uomo d’armi, nel periodo del crepuscolo della propria vita si ritrova a cambiare, a non sentire più attrazione per la battaglia, ma a provare disgusto per essa. Un uomo che non riesce più a vedere come l’Eccitazione (il piacere e il desiderio della guerra), come la più grande delle arti maschili del popolo Alethi (diventare un grande guerriero), siano così nobili se il fine di esse è l’uccidere, portare morte. Sempre più con forza si fa largo in lui che le Stratopiastre e le Stratolame (le armi più potenti presenti su un campo di battaglia) una volta erano fatte per proteggere, per essere al servizio delle persone e non per portare distruzione, per essere usate in guerre logoranti per difendere l’onore nato dal tradimento e dall’assassinio, che portano solamente un dispendioso uso di energie e di uomini, indebolendo la forza della nazione in cui vivono. Un uomo che arriva a comprendere che in un mondo brutale e spietato, per difendere e diffondere gli alti ideali di cui è arrivato a vedere il valore e l’importanza per creare un sistema più saldo ed equo, non basta l’esempio, non è sufficiente a influenzare le persone e a farle cambiare, perché gli Altoprincipi non sono altro che bambini, incapaci di discernere cosa è giusto, qual è la via da percorrere: e fintanto che sono così occorre esigere che facciano quanto è giusto, finché non siano cresciuti abbastanza da compiere le proprie scelte; occorre dare con fermezza un livello minimo di onore e dignità, occorre che sia impartita un’educazione, anche se solleva proteste, anche se rende impopolari. La comprensione e l’apertura, e così pure il rispetto, sono una gran cosa, ma se sono eccessive si trasformano in permissivismo e portano a essere sopraffatti e calpestati, distruggendo quello per cui si è lavorato. Non si può commettere l’errore di ritenere la gente intelligente quando è priva di comprensione, di maturità, essendo solo superficiale e viziata (una lezione da imparare e applicare anche nella società attuale, dato che quanto mostrato nel libro è un altro specchio di ciò che si trova nella realtà: assenza di valori e dignità, dove si vive capricciosamente, sopraffacendo e disprezzando gli altri e la vita).

Sullo stesso fronte di guerra per dare compimento al patto di Vendetta (il motivo per cui Alethi e Parshendi sono in conflitto, oltre naturalmente per il controllo delle cuorgemme, la preziosa risorsa necessaria per creare gli Animutanti), ma con una condizione differente, è presente Kaladin, venduto come schiavo e divenuto pontiere, la più infima casta presente sul terreno di scontro, a cui appartiene la feccia dell’umanità: ladri, assassini, traditori. Una vita breve e senza speranza quella dei pontieri, divisi in squadre e costretti a trasportare sulle spalle pesanti ponti di legno, necessari per poter superare i precipizi che separano l’uno dall’altro gli Altipiani dove gli abissali tessono le crisalidi contenenti le preziose cuorgemme; una vita che non ha nessun valore, dove c’è solo disperazione e solitudine, dove non vale la pena nemmeno conoscere il nome del vicino, dato che l’unico loro destino è quello di non sopravvivere.
Eppure le cose cominciano a cambiare proprio con l’arrivo al Ponte Quattro di Kaladin, apprendista medico ed ex-caposquadra tra le forze del Luminobile Amaran. E’ con l’alternarsi di capitoli ambientati ora nel presente, ora nel passato, che si conosce come è divenuto uomo un giovane con grandi capacità in campo medico e un talento innato nel maneggiare la lancia, diviso da una scelta che è stato costretto a compiere per il capriccio di quella nobiltà che tanto considera inferiore chi non è come loro e che non fa altro che tradire la fiducia delle persone. E’ attraverso il percorso di maturazione e le esperienze fatte che si vede un ragazzo inseguire dapprima i sogni di gloria tipici della gioventù (divenire un eroe, conquistare una posizione rispettata nella società) e poi comprendere come gli insegnamenti del padre (e quanto si aspetta da lui) siano più giusti, come sia più giusto salvare e proteggere, salvo poi sacrificare questa scelta, questa comprensione, per un senso di responsabilità verso chi gli è affezionato. E’ questa scelta che lo porta prima a raggiungere una certa posizione e poi dopo a subire una caduta che lo trascina sempre più in basso facendolo letteralmente arrivare sull’orlo di un precipizio, pronto a compiere l’ultimo passo spinto dalla disperazione e dal non trovare più un senso nella propria esistenza. E’ proprio nel punto più basso che avviene la rinascita, che ritrova una ragione che lo spinga oltre tutti i fallimenti che sente d’aver compiuto; una sorta di resurrezione che lo salva e salva anche coloro che gli stanno attorno, facendo riscoprire cosa significhi vivere.

Sempre la salvezza, questa volta però della propria famiglia, è alla base del viaggio intrapreso di Shallan per raggiungere Luminosità Jasnah, figlia dello scomparso re Gavilar Kholin, e divenire sua pupilla. E’ nella città di Kharbranth che avviene la sua iniziazione per essere erudita nella conoscenza della storia, della filosofia; un tirocinio che le piace sempre più, ma che la porta a straziarla, a dividerla interiormente per via di quello che deve fare: compiere un furto per salvare la propria casata dal disastro finanziario cui sta andando incontro e tradire così la fiducia di chi è arrivato a fidarsi di lei. E’ attraverso queste esperienze che anche lei, come Gavilar e Kaladin, cambia il proprio punto di vista sul mondo, arrivando a scoprire un passo alla volta, quasi per caso, una realtà sconosciuta; una risposta a quanto stava cercando e che tuttavia la spaventa per il modo in cui arriva, sconvolgendo un’esistenza tranquilla fatta di studi e convinzioni radicate dalla tradizione e da quelli che era venuti a essere considerati semplicemente miti, allegorie di un passato dimenticato.
E’ attraverso l’apprendistato di Shallan e la ricerca di Jasnah che Sanderson, come aveva già fatto nella trilogia Mistborn, fa comprendere quanto sia importante la conoscenza del passato e della storia dei popoli, dato che in essi sono celate conoscenze preziose (che i più spesso accantonano troppo facilmente) nelle quali sono racchiuse le basi per la costruzione di un futuro migliore. Ma non è solo attraverso queste due donne che lo scrittore americano sottolinea l’importanza della conoscenza di culture differenti e della loro divulgazione: l’aveva fatto in Mistborn attraverso i Custodi (ben incarnati in Sazed), lo fa in questo mondo attraverso i Cantamondo, individui addestrati a diffondere la conoscenza di culture, popoli, pensieri e sogni, a portare pace tramite la comprensione; un compito sacro che questo ordine ha ricevuti dagli stessi Araldi.

E’ seguendo le vicende di questi tre personaggi che si scopre un’ambientazione vasta, la cui conoscenza è soltanto all’inizio. Personaggi che fanno parte di un mondo in cui molto è andato perduto, dove molti sono i misteri da svelare, ma che sono soltanto alcuni dei protagonisti di un ciclo che come lunghezza, nelle intenzioni dell’autore, segue le orme di La Ruota del Tempo di Robert Jordan e della saga Malazan di Steven Erikson. Già negli interludi presenti tra le varie parti in cui è suddiviso il romanzo vengono mostrati nuovi personaggi e popoli con tradizioni completamente diverse da quelle dei tribali Parshendi o degli aristocratici Alethi (come i Purolacustri, abitanti della nazione che un tempo era conosciuta come Sela Tales, uno dei Regni Epocali, che vivono di pesca, o come gli Shin, un popolo dove i guerrieri occupano il posto più basso della società (come fossero una sorta di schiavi) e i contadini sono ricoperti di attenzioni e rispetto): tutto per far intendere la grandezza del mondo cui Sanderson ha dato il via.
Un mondo vivo, ben caratterizzato, dove molte sono le risposte da trovare e altrettante le domande da fare per fare nuove scoperte. Un mondo spazzato da tempeste dall’alto potenziale distruttivo, cariche di potere e dotate di volontà propria, che imperversano su una terra dove le stagioni si alternano senza uno schema preciso, l’erba si ritrae al passaggio di uomini e animali, e creature gigantesche vengono considerate delle divinità. Un mondo dove gli spiriti, gli spren, sono parte integrante della realtà materiale, vivono in tutte le cose; essenze che appaiono quando avviene un cambiamento (anzi, ne sono il cuore), quale può essere il sorgere di un’emozione o di una variazione climatica.

Sanderson continua a mantenere il proprio operato su alti livelli, intessendo una storia d’intrighi, combattimenti, ricerche e conoscenza, creando un’ambientazione epica dove lontane leggende prendono a sussurrare con sempre maggiore insistenza, coinvolgendo sempre più il lettore nello scorrere le pagine di La Via dei Re e affascinandolo con i contrasti delle dualità che mostra: la tranquillità dell’infanzia e adolescenza di Kaladin che si scontra con la brutalità del suo periodo da uomo; la preservazione della vita della sua natura di medico in contrasto con il portare morte nel suo essere soldato. La miseria delle caserme dei pontieri che si scontra con la bellezza del Palanaeum, la biblioteca di Kharbranth, una gigantesca struttura a forma di piramide vuota rovesciata al cui interno sono state ricavate alcove dove vengono custoditi preziosi libri. Il mondo di Roshar e quello di Shadesmar. Gli Araldi e i Nichiliferi.
La Via dei Re è un’ottima lettura, una storia che riprende temi già trattati e conosciuti come l’onore e la dignità, la guerra e gli intrighi politici, la fine di un mondo e l’inizio di un altro, la perdita e il ritrovamento di qualcosa che è stato dimenticato e perduto. Una storia che se si vuole non rinnova il genere, non immette niente d’originale, ma con tutto quello che si è scritto è cosa impossibile farlo, non solo guardando negli ultimi anni, ma osservando anche le vicende passate dei popoli che hanno preceduto la cultura nella quale viviamo (basta vedere i miti e scoprire come con vesti differenti raccontino tutti le medesime cose). Ma è una storia scritta e strutturata molto bene, che fa immergere nella lettura e, oltre a non annoiare, è capace d’arricchire visto come orchestra la sapienza del nostro mondo dopo averla rivestita d’abiti intriganti, capaci d’attirare la curiosità (e quindi l’attenzione) di chi gli si avvicina, dove niente viene scritto per caso e che al momento giusto trova la sua ragione e la sua collocazione (se ci si interroga sulle note all’inizio dei capitoli, che sembrano essere annotazioni di un qualche diario o registro, occorre aspettare uno degli ultimi capitoli per avere rivelazione e spiegazione della loro natura).

Piccola nota. In La Via dei Re compaiono due nomi, Hoid e Adonalsium, già citati nella trilogia Mistborn. A cosa si riferiscono lo si scoprirà precisamente solo andando avanti nella lettura della saga, ma da quanto fatto capire finora da Sanderson, pare che siano legati al potere della creazione. Il primo pensiero che sorge è che questo sia un modo per avere tra le proprie opere un legame, un punto in comune da cui è partito tutto, un’origine. Così è stato con Brooks che ha legato la saga del Verbo e del Vuoto con quella di Shannara; così hanno fatto Weis e Hickmann con i cicli di Dragonlance e Deathgate. Stessa cosa con King con la serie della Torre Nera, a cui ha legato eventi e personaggi di altri libri che ha scritto: un modo per avere un filo conduttore in tutta la creazione letteraria realizzata.

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