Non è facile per nessuno ripetersi dopo aver dato vita a un buon lavoro ed è quanto successo ai Nightwish con Endless Forms Most Beautiful. Imaginaerum era stato un album quasi perfettamente riuscito (c’era solo una canzone fuori posto) nel quale si narrava il cammino della vita di un uomo, dalla sua nascita alla sua mote: testi e musiche erano stati appropriati per ogni periodo esistenziale dell’essere umano affrontato, creando qualcosa di veramente buono.
La band ha cercato di fare qualcosa di analogo con Endless Forms Most Beautiful, solo che ha voluto farlo su scala maggiore, narrando/cantando l’evoluzione su tutti i suoi aspetti. Per questo si è puntato sulla presenza, come voce narrante, di Richard Dawkins divulgatore scientifico e biologo britannico. Succede alle volte però che a puntare molto in alto il risultato non soddisfi le attese. Sia ben chiaro, si è di fronte a un lavoro tecnicamente ben realizzato, curato, dal suono pulito; ma questo non riesce a coinvolgere com’era accaduto con Imaginaerum. La nuova cantante Floor Jansen dà buona prova di sé, ma ancora pare non essere perfettamente calata nel suo ruolo, non riuscendo del tutto a coinvolgere l’ascoltatore; non è una questione di voce (è una gran bella voce), ma d’interpretazione e in questo l’altro vocal della band, Marco Hietala (anche bassista), la supera (ascoltare la seconda parte di Weak Fantasy per capire a cosa ci si riferisce).
Endless Forms Most Beautiful alterna canzoni ben riuscite ad altre che non convincono pienamente; in diverse canzoni si percepiscono sonorità già incontrate in Dark Passion Play, specie quelle di Master Passion Greed (che seppure valide non sono tra le meglio riuscite dei Nightwish), e in Once, soprattutto Dark Chest of Wonder (i ritorni al passato non dispiacciono, ma alle volte si vorrebbe qualcosa di nuovo, di evoluto, tanto per restare in tema col disco). Se i primi tre brani (Shudder Before the Beautiful, Weak Fantasy, Élan) pongo le basi per un disco ben fatto, Yours Is an Empty Hope e Our Decades in the Sun non coinvolgono; My Walden porta invece una ventata di freschezza ed Endless Forms Most Beautiful ha un attacco da brividi, capace di creare un’atmosfera piena di pathos, peccato che si perda nell’ascolto e le premesse dell’inizio non siano mantenute. Si giunge così a Edema Ruh che s’ispira a Il nome del vento, primo libro della trilogia Le Cronache dell’Assassino del Re di Patrick Rothfuss: un brano dalla melodia lieve e dolce, che porta a viaggiare sulle ali della fantasia. Altro brano molto melodico, ma anche potente, è Alpenglow: bello ma rovinato da un uso non proprio azzeccato delle voci del coro in un paio di passaggi. The Eyes of Sharbat Gula si ricorda perché ispirata alla foto del fotoreporter americano Steve McCurry della giovane ragazza afghana dai grandi occhi, ma per il resto se ne sarebbe potuto fare a meno.
Si giunge così al gran finale con The Greatest Show on Earth, un brano di 24 minuti (composto da cinque parti) dove viene narrata l’evoluzione del pianeta, partendo dalla creazione della Terra, passando per la comparsa degli animali, e arrivando alla storia dell’uomo, con le sue scoperte e le sue guerre, terminando in un lento dissolversi di suoni della natura. Un brano ben orchestrato, dalle tante sonorità, con parti coinvolgenti (specie The Toolmaker, la terza parte, con un punto (al minuto 14 e 24 secondi) che presenta sonorità che s’ispirano a Toccata e fuga in Do Minore di Johan Sebastian Bach), ma troppo lungo.
Che dire quindi di Endless Forms Most Beautiful? Un progetto non completo e non equilibrato; buona idea ma non realizzata pienamente. Non eccezionale, ma nemmeno da buttare. I Nightwish però hanno saputo fare di meglio.
Leave a Reply