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Death Gate

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Qual è la parte che deve avere più rilevanza quando si racconta una storia? L’ambientazione o i personaggi che si muovono in essa?
Ogni scrittore, a seconda di quello che vuole raccontare o delle proprie preferenze, dà più spazio all’una o agli altri. Quale che sia la scelta, alle volte capita che entrambe le opzioni siano un mezzo per parlare del lascito di ciò che è stato in tempi andati: il passato, con il suo carico di lezioni ed errori da cui imparare per giungere alla conoscenza e alla consapevolezza necessari al cambiamento nella vita perché tale possa essere considerata.

Questo è l’incipit dell’articolo che ho realizzato per Fantasy Magazine sul Ciclo di Death Gate di Margareth Weis e Tracy Hickman; una saga, quella dei due scrittori famosi soprattutto per i romanzi su Dragonlance, affascinante, che trasporta in un viaggio di scoperta attraverso mondi differenti che sono parte però di uno. Una scoperta che fa affiorare conoscenze perdute e rivelazioni che mostrano come non conoscere la storia di un mondo e dei popoli che lo abitano e il voler mantenere celata la verità perché non vengano alla luce gli errori del passato, mantenendo un’aura di saggezza e perfezione, sia uno dei più grossi errori che l’umanità continua da secoli a perpetrare.
Un modo per far comprendere che per avere un mondo migliore non servano più capi o dei, ma la collaborazione di tutti, perché è riconoscendo i propri limiti e capendo che si può crescere solo vivendo insieme, e non separati, che si può giungere a capire l’armonia che è l’esistenza.