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Un nuovo mondo

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Shimalya controllò lo zaino: abiti di ricambio, sacco a pelo, tenda, un piccolo kit di pronto soccorso, un paio di borracce per l’acqua. Doveva viaggiare leggera per coprire la maggior distanza possibile prima di essere scoperta. Perché sapeva che ciò sarebbe avvenuto e allora l’avrebbero inseguita per riportarla indietro, come facevano con chi tentava di andarsene.
Diede un ultimo sguardo al piccolo monolocale: un letto, un tavolo, una sedia, un mobile per tenere l’indispensabile, un lavello e un cesso. Una casa come tutte le altre: essenziale e pratica. Ma completamente priva di bellezza. Non le sarebbe mancata.
Uscì nel corridoio, passando davanti a porte identiche alla sua. Scese le strette scale, imboccando il marciapiede spoglio. Nessun albero o lampione costeggiava la via, solo palazzi squadrati: scatole dentro scatole, dove l’importante era farci stare più gente possibile.
Avanzò nella notte, il cammino rischiarato da una luce malata e debole: nel cielo doveva esserci la luna, ma lo smog la celava completamente alla vista. Tutto era silenzio, tutto era immoto. Era una strana impressione essere sola in giro per la città: dava una sensazione di esultanza e libertà, ma anche di angoscia, come se fosse in una città fantasma oppure fosse l’ultimo essere vivente sul pianeta. E forse era davvero così: i suoi compagni non sembravano più esseri umani, ma macchine che eseguivano sempre le solite mansioni, senza ricercare nulla di nuovo.
Raggiunse gli ultimi edifici della città e si voltò indietro per l’ultima volta. Un gesto inutile, perché sapeva che non c’era nulla che meritasse di essere ricordato, ma ugualmente necessario per renderla ancora più consapevole della scelta che stava facendo.
Ci sono momenti in cui ci si deve fermare, in cui bisogna lasciare andare, arrendersi all’evidenza che il mondo in cui si vive non ha possibilità di cambiamento ed è privo di speranza.
Strade, palazzi: tutto era grigio, come i vestiti che indossava. Qualsiasi cosa considerata superflua era stata eliminata. I libri e i dipinti lasciati dai loro antenati erano usati per accendere fuochi. Le statue ridotte in piccoli pezzi per essere usate nella copertura delle strade. Bellezza e cultura erano termini che non erano più usati, banditi come una malattia; il linguaggio era stato limitato all’indispensabile, usando solo ciò che serviva alle mansioni da eseguire.
Arriva il tempo in cui la porta del nostro mondo va chiusa alle spalle, perché la casa che tanto ha ospitato non è più un rifugio, ma una fredda prigione, dove non c’è niente se non sbarre. Una casa fatta di assenza, abitata solo da fantasmi, che smorza la luce e toglie calore, facendo avvizzire la vita.
Fantasmi dal tocco gelido che fermano il cuore.
Fantasmi dalla voce di tomba, che chiamano a scendere con loro nel sepolcro.

“Avevi ragione, Bardo: questa non è vita, ma un adagiarsi in una morte anticipata.”
Il sepolcro è per i morti, non per i vivi. Per i vivi c’è la strada, anche se non si conosce dove porterà; ma dovunque essa conduca, sarà sempre vita.
Shimalya si voltò: davanti a lei c’era la distesa di campi coltivati. Riprese il viaggio con maggiore lena.

Era in cammino da sei giorni e l’ansia cominciava a farsi largo in lei. Non certo per l’acqua e il cibo: essendo ancora nelle aree coltivate, ne trovava in abbondanza. Temeva, anzi ne era convinta, che avessero capito che era fuggita e si fossero messi alla sua ricerca.
“Indietro non ci torno: non voglio più fare la vita di prima.” Si guardò intorno con apprensione, maledicendosi per non aver seguito Bardo quando poteva farlo. “In che direzione ti sei diretto? Non so dove andare, so solo dove non voglio tornare.”
Una colomba passò sopra il suo capo, volando lontano dalla strada; la seguì, mossa da un pensiero irrazionale ma che in un qualche modo sapeva essere giusto. Passò in mezzo ai campi, le spighe di grano che le carezzavano le gambe; la colomba era sempre davanti a lei, come se la stesse guidando.
Shimalya arrivò sulla cima della collina e si fermò: il volatile si era diretto verso la foresta e vi si era addentrato. Bloccata da una forza invisibile, Shimalya fissò il verde delle chiome degli alberi e la fitta penombra che dominava sotto di esse: nessuno si avvicinava alla foresta. Era come se fosse un mondo alieno, un luogo da evitare a tutti i costi. Nessuno sapeva cosa si celava in essa, ma tutti ne avevano paura. Bardo le aveva detto che c’era stato un tempo in cui i loro antenati addirittura vi vivevano.
“Magari è lì che ti sei diretto” pensò Shimalya mentre cercava di tenere a bada l’inquietudine. “E forse ci hai trovato la morte.” Il suo corpo cercò d’istinto di farla allontanare da essa, ma lei lo costrinse a obbedirle. “Meglio la morte, che la vita fatta finora.”
Lentamente cominciò la discesa, la foresta che si faceva sempre più grande, finché non torreggiò su di lei.
Alle volte occorre perdersi per trovare ciò che si cerca.
Shimalya fece un profondo respiro. “Mi sono fidata di te fino adesso, Bardo, e continuerò a farlo.”
S’inoltrò in mezzo agli alberi: la penombra non era così spaventosa come aveva temuto, anzi era qualcosa di piacevole e rilassante. Tutto intorno a lei c’erano profumi e rumori che la avvolgevano in maniera accogliente e piacevole. “Perché abbiamo avuto paura di un luogo simile?” continuava a chiedersi mentre si avventura in quel mondo nuovo.
Spuntò in una radura e lì trovò qualcosa d’inaspettato ad attenderla: una porta. Si avvicinò e la guardò con stupore: se ne stava in piedi in mezzo al nulla, ed era sempre la stessa, che la guardasse da davanti o da dietro. Ci girò intorno, studiandola. “Magari se busso…”.
Stava per mettere in atto il suo pensiero, quando una voce maschile la fermò. «Non verrà nessuno ad aprirla, perché non c’è nessuno dall’altra parte ad attendere. Questa è una porta che può essere vista e aperta da chi è capace di trovare.»
Shimalya si voltò di scatto: ai bordi della radura, seduto su un sasso, un uomo la guardava sorridendo. “Da dove sbuca? Prima non c’era…”
«Bardo mi ha detto che un giorno saresti arrivata, Shimalya.»
«E come faceva a saperlo?»
«Tu eri l’unica, di tutte le persone che conosceva, che non si sarebbe adattata alla vita in cui siete cresciuti, che avrebbe compreso che questo mondo non le sarebbe più bastato perché ormai conosceva tutto quello che aveva da dare. Sapeva che prima o poi avresti ricercato qualcosa di nuovo per continuare a essere viva.»
Shimalya lo guardò titubante. «Anche lui è arrivato qua?»
«Sì.»
«Anche lui ha aperto la porta?»
«Sì.»
Shimalya tornò a fissare la porta. «Che cosa c’è dietro di essa?»
«Quello che stai cercando: un nuovo mondo.»
«Se la varco, potrò raggiungere Bardo?»
«Potresti, ma non te lo consiglio.»
«Perché?»
«Non è ancora il tempo: Bardo è in un mondo cardine, impegnato in una dura lotta e tu non hai ancora l’esperienza per qualcosa del genere.»
«Ma hai detto che dietro la porta c’è…»
«Un nuovo mondo, uno degli infiniti esistenti.» L’uomo si alzò e si diresse verso di lei, aprendo la porta e facendo cenno di seguirla. Sbucarono in un campo dall’erba rosa. «Devi sapere che trovando la porta sei divenuta un’Osservatrice dei Mondi.»
«E questo cosa significa?»
«Che hai trovato quello che volevi. Scoprirai mondi nuovi, li conoscerai e apprenderai le sue storie, così da poterle raccontare nei tuoi viaggi.»
«Perché dovrei farlo?»
«Perché le storie danno la speranza di andare avanti.»
Shimalya seguì l’uomo che si stava dirigendo verso un gruppo di alberi viola galleggianti diversi metri sopra il suolo; dai loro rami pendevano delle scale di corda e tra le fronde scorgeva delle piccole casupole fatte di liane. Non sapeva chi avrebbe incontrato, ma non vedeva l’ora di conoscerlo. Allungò il passo, superando l’uomo: per la prima volta nella sua esistenza si sentiva viva.

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