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Antica cultura

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Il Partenone di Atene, magnifico esempio dell'antica cultura grecaLa cultura dell’antica Grecia è affascinante, oltre che ricca, e ha dato un contributo notevole ad architettura, scultura, pittura, tragedia, commedia, filosofia, mitologia, politica. Un’influenza che si è fatta sentire non solo per quanto riguarda il passato, ma anche nel presente, basta vedere quanto i miti su dei ed eroi hanno contribuito negli studi di psicologia; per chi segue il genere fantastico, non possono essere sfuggite le opere letterarie di Rick Riordan dedicate a Percy Jackson o i film che hanno visto come protagonisti Perseo (Scontro tra Titani e La furia dei titani), Teseo (Minotaur), Ercole (Hercules: Il Guerriero e Hercules. La leggenda ha inizio) (questo per citare solo le pellicole più recenti).
Personalmente il mondo dell’antica Grecia mi ha colpito e affascinato fin da quando l’ho conosciuto ai tempi delle elementari. Inutile dire che da bambino quello che mi coinvolgeva di più erano le storie degli eroi e degli dei: come non farsi prendere dalle scappatelle di Zeus, dalle imprese di Ercole, Teseo e Perseo, dalla guerra di Troia, dal lungo viaggio di Ulisse. Per non parlare delle guerre con i Persiani, delle strategie usate per fermarli, degli atti di eroismo (basti pensare a Leonida) e di come i greci riuscirono a fermare una forza numericamente superiore alla loro. Crescendo ho saputo poi apprezzare la filosofia, il teatro, elementi che richiedono più tempo, sono meno immediati specie per un bambino; l’architettura, come i miti, mi ha invece preso fin da subito. Nelle linee delle statue, delle colonne e dei capitelli di templi e palazzi, c’è qualcosa che mi ha sempre colpito: sicuramente c’è bellezza, grandezza, ma anche qualcosa che comunica a livello inconscio, che fa riecheggiare di cose che vanno oltre il conosciuto, che sanno di epicità, di scoperta, di mistero. Non posso non pensare alla magnifica Acropoli di Atene, con il Partenone, l’Eretteo, i Propilei, il tempio di Atena Nike; è stata proprio la bellezza di questo luogo, la sua grandezza, il suo essere simbolo di una cultura ricca di saggezza e sapienza, che mi ha ispirato nel creare l’antico luogo dove Ariarn, Periin, Reinor, Ghendor e Lerida giungono nel loro lungo viaggio alla scoperta di che cosa sta colpendo le regioni da dove provengono. Un luogo che lascerà un segno importante sia in loro, sia nelle vicende della storia.

 

La comparsa di uno squadrato pezzo di marmo in mezzo all’erba, seguito dopo pochi passi da un altro, li colse di sorpresa. Qualche metro ancora e si ritrovarono a camminare su un lastricato bianco, che si snodava sinuoso costeggiando i verdi boschetti della vallata. Piedistalli diroccati sorgevano in prossimità delle svolte del sentiero.
Il viale lastricato, accompagnato dal profumo di fiori di campo, arrivò a una scalinata: i resti di bianche mura mostravano il perimetro di ciò che era stato un ampio e vasto complesso architettonico. Della grandiosità di un tempo rimaneva solo macerie coperte da edere.
Era un luogo abbandonato, ma vi aleggiava un’atmosfera di pace, come se la presenza di quanto era stato non se ne fosse andata, continuando a permearlo.
La curiosità e il fascino del luogo fecero salire gli scalini scheggiati. I pilastri, un tempo sostegno ai cancelli d’ingresso, splendevano nel loro candore; i resti dell’arco che univa le due colonne erano sparsi nello spiazzo che si estendeva davanti ai cinque.
Guardandosi intorno come bambini in una casa nuova, arrivarono di fronte a un piedistallo alto due metri, dall’ampia base, l’attenzione attirata dalla placca metallica posta sulla sua facciata: i rampicanti non erano saliti sulla sua superficie, risparmiata dalla ruggine e dal trascorrere delle stagioni; solo una leggera patina oscurava la brillantezza della lastra, lasciando leggibili i simboli che vi erano incisi.

«Dev’essere stato splendido quando la gente viveva qui» disse Lerida. «Sarei curiosa di sapere com’era questo luogo quando era intatto.»
«Sarebbe interessante avere il tempo di studiare questi reperti: dall’antichità si rivelano cose sorprendenti, pezzi mancanti della storia che permettono di capire meglio il presente» disse Ghendor camminandole accanto. «Secondo studi archeologici, le zone dei santuari avevano una disposizione predefinita. Vicino ai cancelli si trovavano le sale per dare accoglienza ai pellegrini; accanto a esse erano situati gli edifici del personale che si occupava dei servizi per persone e strutture» si voltò a guardare indietro. «Il grande spiazzo appena superato era la piazza dove la gente s’incontrava per discutere e rilassarsi all’ombra delle piante. Nei nostri tempi non si usa quasi più, ma nell’antichità non c’era solo la parola e la scrittura per insegnare la morale, l’etica o altro: erano usati quadri, melodie, rappresentazioni teatrali. I piedistalli che abbiamo incontrato erano supporti di statue: aiutavano le persone a riflettere e a capire meglio quello che erano venuti a cercare in questo luogo. Non so se sei stata a Nhal: nel tempio della città c’è un antico dipinto che ha la stessa funzione. Questa metodologia non è stata portata avanti e si può affermare che rispetto al passato abbiamo fatto un passo indietro. Quel periodo può essere ritenuto un’età dell’oro, una fonte immensa di saggezza, dove da tutto si poteva imparare qualcosa; gli artisti in quell’epoca avevano gran rinomanza e un certo peso anche nell’insegnare. Ora tutto è sulle spalle dell’Ordine, con qualche sporadico aiuto degli atenei» fece cenno davanti a sé. «Qui sorgevano le biblioteche, cui ognuno poteva accedere.»
Seguendo il lastricato passarono accanto a un bosco che s’insinuava in profondità nell’area delle rovine. Superata la massa verde, lo spettacolo che li accolse tolse il fiato.
Baciata dai raggi del tramonto, la struttura che si stagliava contro il cielo pareva prendere fuoco: il tempio più grande che avessero visto. Persino nella rovina mostrava la sua magnificenza.
Possenti e slanciate colonne salivano alla volta azzurra, lo slancio interrotto dalla natura che le aveva spezzate. Il frontone, riccamente abbellito da bassorilievi di vita silvestre, mostrava una suggestiva rappresentazione dell’esistenza al tempio: cavalieri, portatori d’acqua e offerte, fanciulle intente in danze e canti, saggi anziani con libri aperti nelle mani, bambini che giocavano con animali.
Seguendo il sentiero alberato arrivarono a inerpicarsi sulla scalinata del muraglione che faceva da base al tempio, procedendo in uno stretto passaggio che portò a un piccolo ingresso a colonne, quasi un tempio minore che annunciava l’arrivo in quello più grande. Superatolo, si trovarono davanti ai resti del recinto del tempio: le aggraziate aste di metallo, assieme al cancello, erano a terra contorte e corrose dalla ruggine.
Ammirati dalla bellezza decadente, superarono l’ingresso non più chiuso da portoni, camminando sul pavimento pieno di sottili crepe: lungo la sua superficie erano disseminati i ruderi dei muri e del tetto; sprazzi di colore sulle pietre erano fantasmi di mosaici e dipinti.
Statue, panche, candelabri, accessori per il culto: tutto era svanito. Sul fondo restava il basamento dell’altare e alle sue spalle l’unico muro ancora in piedi. Gli ultimi strali di luce filtrarono sui resti del santuario prima di smorzarsi e lasciare il passo all’incedere della notte.

La Riforma del Lavoro

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Sono trascorsi dieci anni dall’omicidio di Marco Biagi.
In questi giorni governo e parti sociali discutono della riforma del lavoro.
Coincidenza?
Non è un fatto casuale. Forse non è voluto, ma non è un caso che eventi o tematiche si ripresentino nello stesso periodo: pare che in certi giorni ci siano energie all’opera perché si verifichino, o non si verifichino certi fatti (e le energie di questo periodo spingono a ribellarsi a ciò che ingiusto, al conformismo, alle menzogne, all’ipocrisia, al farsi prendere in giro, al farsi sfruttare sottostando ai poteri costituiti, non a continuare a perpetrare modelli e sistemi sbagliati, fallimentari che calpestano l’uomo).
Qualcuno può definirle fantasie, teorie astratte e astruse, ma il fatto che non si riescono a vedere certe energie non significa che non esistono: se ci si pensa, è così per la legge di gravità, di cui si è a conoscenza grazie agli effetti che essa ha nella realtà, ma che di certo non si vede, né si sente né si tocca.
Chi crede invece nei complotti può pensarla diversamente, ovvero che quanto accaduto a Marco Biagi è stato premeditato, un far accadere un evento per avere una ragione forte per perseguire una certa strada e percorrerla fino in fondo. Non sarebbe un caso il fatto che non gli fosse assegnata una scorta, un esporlo al pericolo e lasciare che venisse ucciso, usando poi la sua morte come pretesto per dare vita a un progetto di riforma radicale del mondo del lavoro; un trasformare una persona come le altre in un eroe e un martire, perché le bandiere e i simboli hanno un grande potere che può essere sfruttato.
Che sia stato così oppure un sottovalutare una situazione pericolosa, sta di fatto che più di quando era in vita le sue idee sono state spinte con forza dai governi di centro-destra e dagli imprenditori. E’ interessante osservare il potere che può avere la morte di una persona, come può trasformarla, farla assurgere a qualcosa di più grande di quello che era: quando un individuo muore, l’idea che si aveva di lui viene modificata, i lati negativi vengono messi da parte e ampliati quelli positivi, quando non gliene vengono attributi pure dei nuovi che in realtà non possedeva. Questo è l’effetto che ha la morte e l’idealizzazione, che così velocemente sono sfruttate dagli opportunisti e da chi vuole avere potere.
La morte di Marco Biagi è stato un atto violento e chi credeva che colpendolo avrebbe dato un messaggio a chi cercava di smantellare le tutele del mondo del lavoro, facendo recedere da quegli intenti, ha commesso un errore perché ha ottenuto il risultato opposto, ha rafforzato le intenzioni, dando un pretesto a chi voleva fare la riforma.
Che questa fosse sbagliata è un dato di fatto, i risultati sono sotto gli occhi di tutti: la perdita di produttività e di competitività, l’instabilità, il calo delle vendite e del potere d’acquisto delle persone, l’impossibilità per le persone di fare progetti anche di breve scadenza che di conseguenza si ripercuotono sul sistema bloccandolo. La tanto decantata flessibilità e il tanto incensato lavoro interinale hanno portato a far sì che la gente non possa permettersi l’acquisto (e alle volte nemmeno l’affitto) di una casa (e nemmeno di altre cose), di non potersi creare una famiglia e fare figli perché non ha il modo di mantenerli e di sostenere le spese che tutto ciò comporta.
Nonostante i riscontri evidenti, adesso, al tavolo delle trattative tra governo e parti sociali, si punta con forza su molte delle idee di Marco Biagi. E si vuole andare a tutti i costi in una direzione già conosciuta, non rendendosi conto che così s’impantana ancora di più la situazione, gettando sempre più in basso la popolazione, riducendola sempre più allo stremo (togliendo l’articolo 18 lo scenario che si propone è questo: le persone sono solo oggetti da usare e da buttare via quando non servono più.). E quando si tira troppo la corda, quando non si lasciano vie d’uscita alla popolazione, il risultato è che scoppia la violenza, alle volte la guerra civile. Ci si deve accorgere di questa distruttività, di questa violenza che bolle, pronta a esplodere come è accaduto nel periodo tra il ’40 e il ’45, quando il carico d’odio d’allora fece milioni di vittime.
Prima che questo avvenga, e sia troppo tardi per intervenire e rimediare, occorre fermare e cambiare questo sistema, perché se non lo si fa adesso, dopo non si potrà più aiutare nessuno, dato che questo sperare di tirare avanti finché si può arriverà a farla pagare caramente.

L'Uomo Nero

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Dentro di sé era sicura che la maggior parte di loro non avrebbe riconosciuto questo Flagg se l’avesse incontrato per strada… a meno che lui non avesse voluto farsi riconoscere…
Ma questa gente sbagliava a pensare che lui avesse due teste, o sei occhi o delle grosse corna appuntite sulla fronte. Probabilmente non era poi tanto diverso dall’uomo che portava il latte o la posta.
Era certa che dietro il male consapevole c’era un vuoto inconscio. Era questo che distingueva i figli delle tenebre della terra: non erano capaci di fare cose ma solo di distruggerle. Dio Creatore aveva fatto l’uomo a Sua immagine, e questo voleva dire che ogni uomo e ogni donna che abitava sotto la luce di Dio era in un certo modo un creatore, una persona con l’impulso di allungare la mano e dare forma al mondo secondo un qualche modello razionale.
L’uomo nero voleva solo – era in grado solo di – privare di forma. era l’Anticristo? Si potrebbe dire anche l’anticreazione.
Aveva i suoi seguaci, certo. In questo non c’era niente di nuovo. Era un bugiardo e suo padre era il Padre delle Menzogne. Era per loro come una grande insegna al neon, alta nel cielo, ad abbagliare la vista con fantasmagorici fuochi d’artificio. Loro non riuscivano ad accorgersi, questi apprendisti distruttori, che, proprio come un’insegna al neon, lui continuava a ripetere sempre le stesse figure.

L’Ombra dello Scorpione – Stephen King

Nel mondo, in ogni epoca, sono sempre stati presenti Uomini Neri, esseri che hanno portato divisioni, distruzione e quanto di male esiste sulla terra; individui che possono essere considerati l’incarnazione di un potente e oscuro archetipo.
Individui che non vengono riconosciuti per quello che sono (se non quando è troppo tardi) e proprio per questo, grazie all’ignoranza, che il male che spargono è così deleterio. O forse invece si tratta di tacita e inconsapevole accettazione, perché, anche se razionalmene non si riesce spiegare, dentro certe persone c’è una risonanza, un’attrazione verso la rovina, lo spargere sofferenza, che le spinge a unirsi a questi centri d’oscurità, a questi distruttori. Individui la cui forza aumenta grazie al potere che altri gli consegnano per paura e inconsapevolezza, o sperando di avere un guadagno.
Grandi distruttori che portano una distruzione sempre più grande grazie all’aiuto di distruttori più piccoli.
E’ questo che si verifica quando si lascia spazio alla parte oscura del proprio io.
E’ così che nascono periodi bui come lo sono stati il fasci-nazismo e tutti i regimi.
E’ questo che insegna la storia.
E’ questa la realtà in cui stiamo vivendo.
Ci sono tanti Uomini Neri nel tempo presente. Oggi viene da pensare a Gheddafi, ma non occorre guardare altrove per trovare altri esempi: lo abbiamo sotto gli occhi ogni giorno, tutte le volte che si accende un televisore e si guarda un telegiornale o si compra un quotidiano.
Abbiamo il nostro Uomo Nero, aiutato dai suoi fidi seguaci: i fatti e i risultati di questi anni lo dimostrano.

21 Aprile 1945: Bologna Liberata

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Oggi è l’anniversario di un giorno che ha visto un altro tassello della caduta del regime fasci-nazista.
Un giorno da ricordare, per non dimenticare che la libertà non ha prezzo, che non bisogna piegarsi alle dittature.
Un giorno di cui si deve avere memoria, il cui spirito deve sempre vivere per opporsi in ogni tempo e in ogni dove a chi opprime e rovina.
E’ sempre il tempo per ricacciare potenti, dittatori e governi ingiusti.

Perché Bologna

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Novant’anni fa, nel giorno dell’insediamento del nuovo sindaco socialista, i fascisti sparano in piazza e provocano una strage. Sessant’anni dopo una bomba fascista viene fatta esplodere alla stazione. Perché il terrorismo nero colpisce Bologna
di Giuseppe Siriana (articolo pubblicato su LiberEtà, anno 60° numero 11 Novembre 2010)

Città simbolo della sinistra, nodo nevralgico dei collegamenti stradali e ferroviari, scenario di alcuni tragici e oscuri episodi della storia d’Italia: sono tre costanti, tra loro correlate, che segnano il profilo di Bologna nel Novecento. Per quanto parziale questa visione rende evidente il filo nero che attraversa la storia della città e collega la strage alla stazione del 2 agosto 1980 all’eccidio di palazzo d’Accursio del 21 novembre 1920. Quel giorno nel palazzo comunale s’insedia il nuovo consiglio uscito dalle elezioni del 31 ottobre, che hanno premiato la prima amministrazione socialista della città. La guida Francesco Zanardi, il “sindaco del pane”: lo chiamano così perché negli anni difficili della guerra si è prodigato molto per le persone in difficoltà. Zanardi viene però sacrificato ai nuovi equilibri interni che assegnano la carica di primo cittadino al massimalistacomunista Ennio Gnudi, operaio delle ferrovie e dirigente del Sindacato ferrovieri italiani, di cui nel secondo dopoguerra sarà segretario generale.

BOLOGNA 21 APRILE 1920
Appena eletto, Gnudi rivolge un saluto ai “valorosi rappresentanti” della minoranza consiliare, ma avverte: qualora l’opposizione dovesse assumere “carattere di sopraffazione” i socialisti saprebbero come reagire in difesa degli interessi dei lavoratori. Parole forti che contribuiscono a inasprire la tensione già alta. Per festeggiare la riconquista di palazzo d’Accursio, qualcuno ha pensato bene di issare la bandiera rossa sulla torre degli Asinelli. I fascisti l’hanno presa come una provocazione, come un affronto che non può restare senza risposta. Ed ecco quindi le camicie nere irrompere nella piazza del Comune dove una folla di militanti socialisti è in attesa che il nuovo sindaco si affacci. Appena Gnudi compare sul balcone i fascisti cominciano a sparare in quella direzione. Entrano allora in azione alcune “guardie rosse”, anch’esse armate di rivoltelle e bombe a mano. La situazione degenera in un vero e proprio conflitto a fuoco che coinvolge l’aula consiliare, dove rimane ucciso un consigliere nazionalista. Sulla piazza si contano alla fine dieci vittime. Nel caos generale Gnudi si dimentica di prendere possesso della carica e di riconvocare il consiglio per la nomina della giunta, offrendo al prefetto di Bologna l’appiglio per insediare in Comune un commissario straordinario.

L’INIZIO DEL FASCISMO
L’eccidio di palazzo d’Accursio rappresenta un momento di svolta del primo dopoguerra. Dopo i fatti di Bologna gli agrari si organizzano armando le squadre fasciste per attuare una brutale repressione antiproletaria. Secondo Renzo De Felice nei fatti del 21 novembre e delle settimane immediatamente successive si ritrovano le principali componenti che spianano la strada al fascismo: il consenso di gran parte dell’opinione pubblica borghese, le coperture e le connivenze di questori e prefetti, l’inadeguatezza del partito socialista.
Nel bolognese i colpi della violenza squadrista fanno venir meno la compattezza di quel blocco sociale, fondato sull’alleanza fra le varie componenti del mondo contadino (braccianti, mezzadri, piccoli e medi proprietari) e un proletariato urbano minoritario. È il blocco sociale che prende forma e si consolida a partire dalle elezioni politiche del 1913 con l’allargamento del suffragio universale e consente ai socialisti di conquistare Bologna e la maggioranza dei Comuni della provincia nelle amministrative del 1914.
Le elezioni del 1920 rafforzano ulteriormente questo potere socialista esteso, che adesso
poggia non solo sul conferimento della rappresentanza politica al partito (i socialisti amministrano, oltre a Bologna, 53 dei61 Comuni della provincia), ma anche sulla notevole forza del movimento sindacale e cooperativo. Ma è soprattutto il “governo rosso” del capoluogo emiliano a rappresentare, agli occhi delle forze conservatrici e reazionarie, una minaccia, un pericoloso “modello” da isolare ed estirpare con ogni mezzo.

IL SOCIALISMO EMILIANO
L’attacco squadrista contro gli uomini e le organizzazioni di sinistra, indeboliti anche dalle divisioni intestine, provoca la crisi irreversibile del socialismo emiliano. Solo le zone compattamente riformiste, come la Molinella di Massarenti, o quelle dov’è più forte l’insediamento della frazione comunista, come l’imolese, riescono a opporre una qualche resistenza, mentre fin dalla metà del 1921 il fascismo bolognese comincia a guadagnare consensi anche nelle file del proletariato.

LA RISPOSTA ALLA STRAGE DEL 1980
Nel 1981, a un anno dalla strage alla stazione, il sindaco di Bologna, Renato Zangheri, intervenendo a un convegno storico sull’eccidio di palazzo d’Accursio, più che richiamare analogie e ricorsi tra i due tragici fatti, volle sottolineare una fondamentale differenza. Se nel 19201e forze popolari non seppero reagire lasciando le squadre fasciste padrone della piazza, nel 19801a medesima piazza si riempì di donne e di uomini decisi a opporsi a chi voleva ricreare condizioni di terrore e di disordine e a difendere lo Stato democratico nato dalla Resistenza.