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Una riflessione da L'inizio della Caduta: Delirio d'onnipotenza

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Era il 2008 quando realizzai la prima stesura di Non Siete Intoccabili, scritta subito dopo Strade Nascoste. L’intenzione allora era di proseguire con la narrazione delle Storie di Asklivion; dieci capitoli erano stati scritti quando sorse l’idea per una storia staccata da quel mondo, ambientata nel nostro che parlasse del mondo del lavoro, delle sue ingiustizie, del mobbing, delle morti bianche. Un’idea che premeva con forza per prendere vita e che non mi permetteva di continuare con le vicende di Asklivion e dei suoi personaggi: così è nato Non Siete Intoccabili.
In quest’opera ho voluto sperimentare, cambiare stile e approccio, cercando di realizzare qualcosa che estremizzava i comportamenti, i dialoghi, rendendolo eccessivo, sopra le righe, alle volte grottesco. Non rinnego quanto ho fatto perché mi è servito a capire qual è la strada che è più adatta a quanto voglio narrare, a come voglio porre storia e personaggi, a quali sono gli errori da evitare. Non Siete Intoccabili ha delle idee e degli spunti validi e sono state mantenute, ma sviluppate diversamente: per questo delle parti sono state tenute e usate per realizzare una storia che partendo da esso è stata modificata per andare a completare il quadro che è andato formandosi con la realizzazione di L’Ultimo Potere e L’Ultimo Demone. Si tratta di una narrazione con forti elementi fantastici e paranormali, ma che è fortemente ancorata nella realtà. Anche se in Italia il fantastico è sottovalutato, esso è un forte mezzo, pregno di simbolismo, per affrontare la realtà e soprattutto i suoi lati oscuri: in questo Stephen King è un maestro, con le sue opere fantastiche che mostrano spicchi densi di realtà e dei suoi problemi, della sua follia.
Era il 2008, ma sembra di narrare i fatti di cronaca odierna. Non si tratta di essere stato profetico, ma se si osserva la realtà, il contesto storico, e soprattutto avendo studiato un poco la storia, si può vedere dove si vuole andare a parare. Quindi non sorprendono certe affermazioni fatte da Renzi contro i sindacati (Non lasceremo la cultura ostaggio di questi sindacalisti contro l’Italia) e da Squinzi (che vuole il dimezzamento degli stipendi dei lavoratori), dato che sono anni che governi e imprenditori cercano di togliere diritti ai lavoratori, rendere le loro condizioni peggiori e sfruttarli il più possibile. Più spesso di quanto si creda, realtà e fantastico non sono poi tanto lontani tra loro.

Cose importanti

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In questi giorni la rete è impegnata a parlare di quanto avvenuto tra Vasco Rossi e Nonciclopedia. Ciascuno ha dato il suo contributo, scegliendo dove schierarsi ed esprimendo la propria opinione: se ne parla ad esempio qui, qui e qui.
Ma come succede spesso in Italia, impegnati a dare grande spazio al gossip, al calcio e alle discussioni politiche che non portano nulla di utile se non a chi è al potere, notizie come quella delle operaie morte nel crollo della palazzina a Barletta passano in secondo piano.
Le ennesime morti bianche.
Morti avvenute perché chi ha costruito l’edificio ha voluto arricchirsi non rispettando le regole, risparmiando sui materiali.
Morti avvenute sul lavoro, un lavoro in nero, dove venivano sfruttate, dove non c’erano diritti, dove c’era solo un misero stipendio, perché si deve pur mangiare, si deve sopravvivere.
Sopravvivere. Non morire.
Quanto sangue deve essere ancora versato per capire che servono diritti e tutele sul posto di lavoro? Quei diritti e quelle tutele che sono state tolti e che è stato permesso che accadesse.
Cosa serve ancora per risvegliare le coscienze? Fatti simili devono essere vissuti di persona, sulla propria pelle, perché si lotti e si difenda la dignità umana?
Non si distolga gli occhi dalle immagini di morte di questa sciagura non casuale, perché tutte le volte che si rinuncia ai diritti per lavorare, per guadagnare, accettando compromessi, svendendosi, perché “se non lo faccio io tanto lo farà un altro”, si mettono le basi per eventi simili, si è collaboratori nella creazione di questo sistema sbagliato.
Non serve a nulla dopo disperarsi e piangere: il passato non può essere modificato, ciò che è perso rimane perso.
E se il presente, figlio del passato, non cambia indirizzo, il futuro non potrà dare frutti migliori, perché il sangue dei padri scorre nelle vene dei figli.

Aggiornamento. “Non mi stento di criminalizzare chi in un momento come questo viola la legge, assicurando, però, lavoro a patto che non si speculi sulla vita delle persone.” Questo l’intervento del sindaco di Barletta che ha scatenato polemiche. Della serie, purché si paghi si può far di tutto; in fondo siamo o non siamo nell’Era dell’Economia e l’unico Dio conosciuto è Mammon, il Dio Soldo? Sempre il sindaco asseriva che “Sarebbe un paradosso se i titolari della maglieria che si trovava nel palazzo crollato, dopo avere perso una figlia e il lavoro, venissero anche denunciati”. Rispetto per il dolore, ma questa non è né pietà né misericordia, è lasciare che la giustizia venga calpestata, che il silenzio cali come se niente fosse, perché si vuol dimenticare quello che è l’errore di molti: nessuno vuole colpe, nessuno vuole responsabilità. Ma la verità è che tanti sono responsabili, tanti hanno avuto parte in questa tragedia.
Ora si vuole dimenticare?
No davvero. Chi ha infranto le regole deve rispondere delle proprie scelte e assumersi la parte che ha avuto in questo incidente. Basta con il subire danni e sberleffi, basta con il passare sopra la legalità e rendere legale l’illegale perché “così fan tutti”.

La fabbrica dei suicidi

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Avevo detto che sarei tornato alle origini, parlando di scrittura e come si crea un mondo fantastico, con la storia che si evolve in esso, i personaggi che vivono nelle sue terre, con credenze, miti, leggende: è un piacere parlare di certe cose.
Ma non si può non dare ascolto alla coscienza quando questa richiede attenzione: troppi fanno silenzio e rimangono nel mutismo.
Posto un articolo che m’è capitato sotto mano solo adesso, ma è di qualche mese fa, pubblicato su Gente.

«Conosco la Foxconn, non sfrutta i lavoratori. È una fabbrica, certo, ma è un bel posto, con ristoranti, cinema, piscine e un ospedale interno». Ha fatto scalpore la dichiarazione rilasciata da Steve Jobs, proprietario della Apple. Già, perché la Foxconn, azienda cinese specializzata nella produzione di componenti tecnologici, è da tempo al centro di una sconcertante vicenda: negli ultimi mesi, e a distanza ravvicinata, 11 dei suoi operai si sono tolti la vita.
Nei suoi stabilimenti di Longhua, vicino Shenzhen, le condizioni di lavoro sarebbero infatti proibitive: i dipendenti hanno turni di 12 ore consecutive, non possono parlarsi fra loro, sono soggetti a rimproveri pubblici da parte dei superiori e hanno uno stipendio da fame, 90 yuan al mese, circa 90 euro. Cosa c’entra Steve Jobs? Semplice, alla Foxconn si producono l’iPad e l’iPhone. E si sospetta che i turni più massacranti siano dovuti all’esigenza di star dietro alla grande richiesta sul mercato mondiale dei due prodotti di punta della Apple. A rendere ancora più inquietante la vicenda c’è poi l’incredibile provvedimento preso da Terry Gou, il presidente dell’azienda cinese, che impone un impegno scritto da parte degli operai a non suicidarsi.
«Siamo dispiaciutidi quando è accaduto. Per evitare altri casi drammatici d’ora in poi i lavoratori dovranno promettere formalmente di non farsi del male e di recarsi subito da uno psichiatra qualora soffrissero di problemi mentali», ha dichiarato l’alto dirigente. Resta un dubbio: chi dovrebbe andare a farsi vedere da un medico?
Marco Pagani

La notizia si trova anche in rete: Rainews24 , dallarete.blog.rainews24 , PSICOTERAPEUTICO.COM.
Il caso della Foxcomm non è l’unico: c’è anche quello della France Telecom . Il posto di lavoro diventa una prigione, in senso letterale; non basterebbe cambiare il modo di trattare il personale, invece di fare palazzi anti-suicidi?

Se si credeva che certe storie inventate fossero esagerate, allora non si conosce bene la realtà in cui si vive. Non occore inventare nulla: basta solo osservare. Non sono certi libri a essere dell’orrore: è la vita alle volte a essere il vero orrore.

Fantascienza e realtà

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Anni fa lessi un racconto di fantascienza ambientato in una società dove ai bambini, raggiunta una certa età, veniva fatto un test attitudinale e nel caso desse un certo esito, venivano eliminati secondo la procedura stillata dal governo.
Che requisito occorreva per incorrere in un simile destino?
L’intelligenza.
Il bambino del racconto era curioso, faceva domande, aveva voglia d’apprendere e imparare cose sempre nuove, non s’accontentava delle semplici risposte limitate del padre (figlio esemplare della società: s’accontentava della vita fatta di lavoro e dei passatempi passati dal sistema, non chiedeva altro).
Un racconto che mi ha sempre colpito, lasciandomi un timore che con il tempo ho visto concretizzarsi. Mettere da parte l’intelligenza perché può far crollare il sistema, un castello di carte campato in aria.
Molti racconti del genere, specie di fantascienza scritti nel passato, lanciavano moniti che allora sembravano solo fantasie, dove nei sistemi immaginati si potevano avere storie d’amore in base a punti da spendere conferiti dalla società, permessi d’avere figli in base al reddito o alla mappatura genetica.
Solo storie, si diceva, ma in realtà mostravano un futuro a cui si stava andando incontro: un futuro asettico, rigido, basato solo sulla produttività e sul far proliferare la società, il tutto per dar fasto al sistema, per dare splendore alla società. Il tutto naturalmente a discapito dell’umanità, dei sentimenti e dei rapporti umani; un processo che porta all’estraniazione dell’individuo.
Rende bene l’idea di questo il film Blade Runner: un mondo cupo, sempre battuto dalla pioggia, dove i protagonisti sono abbandonati a se stessi e non c’è speranza.
Non occorre guardare alla fantascienza del passato: il presente ne è un esempio concreto.
Basta pensare ad Alitalia e a Fiat, che hanno fatto e voluto accordi dove conta solo il lavoro e non si tiene in considerazione il fatto che le persone debbano avere una propria vita. Un esempio è quello che fa riferimento alle donne che hanno figli e che dovevano essere tutelate, aventi diritti che le società hanno ignorato, perchè la produttività e il profitto viene su tutto.
Se si continuerà di questo passo, si tornerà al passato, dove la gente sarà costretta a lavorare più di dieci ore al giorno, sabato e domenica compresi, con stipendi bassi, nessun diritto, solo il dovere di produrre, com’era all’inizio della rivoluzione industriale. Si avrà un futuro dove l’istruzione sarà per pochi, dove la gente non potrà più scegliere di creare la vita che vuole, ma sarà imposta dall’alto, dove avere anche una relazione o un figlio sarà deciso da regole fissate da chi governa.
Un mondo incentrato solo sul lavoro.
Un mondo privo di rapporti sociali e umani.
Privo di sentimenti.
Privo di amore.
Schiavitù.
Detta così sembra un racconto d’umor nero; si diceva così anche dei racconti di fantascienza: ora ci ritroviamo che la realtà li sta superando.
Non ci si crede? Andate a ricercare i racconti di tanti anni fa e vedrete. Non ascoltate chi dice che le produzioni attuali sono il meglio che ci possa essere: tirano solo acqua al loro mulino. Storie che dicono poco o niente, ma dove tutti sono felici e contenti, utilizzando un linguaggio (e tematiche) scarso ed elementare (un altro sintomo dell’impoverimento della cultura di una popolazione). Fate il confronto con le storie scritte nel passato e si avrà svelata la natura della società e il modo per contrastarla.
Perché con le storie si possono toccare tanti argomenti attuali: chi scrive con passione conosce questa realtà.

Nota a margine. Finora ho voluto parlare di mondo del lavoro,di mobbing, morti bianche, diritti, disagi (hichikomori):realtà che spesso non si vogliono sentire, ma che attraverso un racconto possono giungere lontano. Su questo è incentrato Non Siete Intoccabili, una storia che ho voluto scrivere.
Continuerò a parlare di storie, anche se cambierà la loro natura: nei prossimi post ci sarà un ritorno alle origini.

Non Siete Intoccabili

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Lo stile di vita e la vita che sono proposti e che con tanti sforzi si vogliono inculcare nelle persone è similare alla linea di pensiero che guida Candido di Voltaire. Ma questo non è il mondo migliore in cui si può vivere. E con mondo non intendo il bellissimo, e tanto angariato e rovinato, pianeta in cui viviamo, bensì il sistema di modi di fare e pensare creato dalla cosiddetta civiltà, che tanti credono l’apice dello sviluppo umano e che tanti hanno contribuito a far crescere.
Questo sistema è sbagliato e va giudicato. Una nuova mentalità deve sorgere e spazzare via la vecchia, ormai cosa morta e causa di morte e rovina.

Su queste fondamenta si basa Non Siete Intoccabili, un romanzo che ho scritto tra gennaio 2008 e febbraio 2009. Non mi piace utilizzare etichette per definire le cose, ma alle volte si rendono necessarie per far comprendere ciò che si ha davanti; possono essere un aiuto, purché non ci si attacchi troppo perché ogni parte della vita (opere d’arte, libri, persone, natura) è molto più di quanto appare e si cerca di classificare.
Non Siete Intoccabili è sia un thriller, sia un horror, ma soprattutto è di carattere sociale, affronta lati e problematiche della società attuale, specialmente del mondo del lavoro: situazione economica, mobbing, morti bianchi. Non solo: è un’osservazione dello stato in cui devono vivere le persone in questa società. Uno stato che non appartiene solo a tale sistema, ma che è un ripetersi di passaggi e meccanismi già incontrati nella storia: è già successo nel periodo precedente la rivoluzione francese, con quella che si poteva definire la classe dirigente che si faceva sempre più ricca e il popolo sempre più povero, chiusa in se stessa e incentrata a guardare solo al proprio tornaconto. Un atteggiamento che alla fine ha condotto a una rottura e a una reazione sintomatica. E’ successo allora e può succedere anche adesso: i segnali, a saperli vedere, ci sono già.
Questo è quanto vuole essere il libro, è così che è diventato scrivendo, non certo come è stato progettato. Anzi non è stato progettato affatto: è sorto senza essere ricercato, ma lo ha fatto con insistenza e con insistenza ha reclamato che la storia venisse scritta, non dando tregua finché questo non è avvenuto. Difficile spiegare: è stata una forza che si è imposta, che ha reclamato spazio. Una forza che potrei definire oscura, perché sorta dalle profondità e che finché non è giunta al suo compimento non è stata chiara; come un viaggio attraverso l’oscurità.
Dico questo perché non sono partito con i presupposti di scrivere un libro del genere, né credevo di ritrovarmi ad affrontare tematiche simili dato che come scrittore nasco nel fantastico (ma questa è una storia di cui si parlerà un’altra volta); allora non comprendevo appieno il processo in cui mi ero avviato. Ora credo di aver raggiunto una consapevolezza che mi permetta di capire quella forza che mi spinto in questa direzione.
“Gli artisti usano le menzogne per dire la verità. Io ho creato una menzogna, ma grazie al fatto di averci creduto hai scoperto una verità su te stessa.” E’ una frase di V per Vendetta. Non Siete Intoccabili è una storia inventata, ma allo stesso tempo reale perché attraverso la finzione mostra verità dell’esistenza e dell’uomo; lo scrivere, così come il leggere, non è solo intrattenimento, ma anche fonte per comprendere meglio la realtà e per giudicarla, quando c’è qualcosa di sbagliato.
Così questo libro può essere considerato anche di denuncia.

Ora che ho cercato di rendere l’idea del romanzo, spiego ciò che mi ha spinto a pubblicarlo sul sito con licenza CC. Come ogni persona che scrive, oltre e innanzitutto per il piacere di creare mondi e storie, il fine è quello di arrivare alla pubblicazione (non a pagamento, verso la quale sono sempre stato contrario, perché è solo sfruttamento: l’impegno e il piacere di scrivere non possono essere svenduti solo per apparire e poter dire d’aver pubblicato), per poter essere letto da quante più persone possibili; come tanti ho inviato lettere di presentazione e sinossi alle case editrici.
C’è stata una cosa che mi ha fatto pensare: Non Siete Intaccabili non è il primo libro che scrivo e che sottopongo a valutazione, ma è stato quello che non ha ricevuto nessun tipo di risposta: le altre opere hanno ottenuto esiti negativi e positivi, in diversi casi sono stati e sono in lettura e valutazione. Questo no, se si esclude la partecipazione a un concorso thriller: qualunque opera rispondesse a tale requisito era accettata. Ma non ho avuto nessun riscontro, se non sapere che non è arrivato a premiazione.
Tolto questo caso, è stato il nulla. Perché? Non ho effettuato invii random, ma ho selezionato gli editori cercando di trovare corrispondenze tra le collane che producono e la mia opera; non posso dire perché l’opera è scritta male, dato che non è mai stata letta.
Penso invece che sia stata l’idea a non farlo prendere in considerazione, perché viviamo in un periodo, e con un sistema, dove non si vuole parlare di certe cose, dove certe classi e figure non debbano venire toccate. Il sistema economico creato vuol venir fatto passare per perfetto, nonostante i riscontri che si hanno ogni giorno; le figure che lo dominano si considerano creatori di benessere, quando invece sono una delle cause dei mali di questa società (la vera imprenditoria, che è investire, fare ricerca e creare cose nuove è una minoranza: la maggioranza è sfruttamento e pensare ad arricchirsi sulle spalle altrui).
Questa è una motivazione, ma non è la sola. C’è stata un’altra spinta, molto più forte a farmi andare nelle direzione delle licenze CC e nella pubblicazione libera sulla rete: la piega sempre più pericolosa presa dal mondo del lavoro, dove si cerca togliere diritti ai lavoratori, sacrificarli in nome della produttività e del tornaconto degli industriali. Il caso più in vista è quello della Fiat e di Marchionne, con il referendum a Pomigliano, ma ce ne sono tanti: ogni giorno si sentono e si vedono attacchi di questo genere, nelle grandi e nelle piccole imprese.
Non mi piace lamentarmi, dato che non serve a nulla, preferisco darmi da fare, cercare di dare un contributo, di dare consapevolezza su una realtà che non vuole essere vista; voglio fare la mia parte. Sarà presunzione e illusione la mia, non so se servirà, ma non voglio restare con le mani in mano, perché chi non fa niente per opporsi a ciò che è sbagliato si rende responsabile alla stessa maniera di chi perpetra l’errore: il lasciar correre non porta mai a niente di buono. E ho la sensazione che questo sia il momento per opporsi a un sistema sbagliato, per ribellarsi e fermarlo.
Ripeto, il tentativo che faccio potrà essere pretestuoso, presuntuoso e illusorio, ma voglio e spero di dare una mano con questa iniziativa, anche se altri più in vista e con maggior capacità d’ascolto fanno già qualcosa (v. Zygmunt Bauman al Festival del Diritto 2010).
E a proposito di dare una mano, se non ne avessi avuta una, probabilmente ora non sarei a questo punto o ci sarei arrivato con in futuro. Conoscevo le licenze CC, ma non avevo mai preso seriamente in considerazione questa eventualità; il cambiamento è avvenuto attraverso il confronto con una persona. Ringrazio Andrea “Negróre” D’Angelo per questo e per il supporto tecnico e non che mi ha dato: non è facile trovare aiuto, specie in certi frangenti; questo a dimostrazione che il mondo non è fatto solo di ombre, ma anche di luci. Grazie Andrea 🙂

Ho scritto tanto, parlando forse troppo, perché l’autore deve restare nell’ombra e lasciare spazio all’opera che ha realizzato, perché è lei la protagonista, lei la portatrice del messaggio: è attraverso di lei che dialoga con le persone. Vi lascio con un estratto del libro, augurando bona lettura e ringraziando quanti vorranno leggerlo. (è possibile scaricarlo dalla sezione download). La tempesta inizia

«Cosa si prova quando il proprio mondo va in frantumi?» Si ritrovò a chiedere, dando voce al pensiero ancor prima che si fosse formato completamente. «Ho provato a riflettere, ma è accaduto tutto così in fretta che riesco a trovare solo vuoto. Non so cosa pensare. Non ho risposte, non so dove cercarle.»
«Si muore. E poi si rinasce. Solo che non si è più se stessi.» Mormorò Mark spegnendo una luce e lasciando accesa solamente l’abat-jour.
«Come si fa a morire e a rimanere in vita?» Masha si sollevò su un braccio guardandolo perplessa.
«Significa che una parte di te muore. Si perdono le proprie illusioni, tutte le falsità che si credevano vere nella propria vita. Ti vengono strappate via, lasciandoti solamente un guscio in un deserto sconfinato, senza direzione, senza identità: non sai più nemmeno chi sei. E allora, o ti perdi per sempre e sei un derelitto, un peso per te e per gli altri, o scocca quella scintilla particolare dalla quale ricomincia una nuova vita, una nuova esistenza. E tutto cambia: scopri cose che non credevi possibili, azioni e pensieri che pensavi non potessero mai appartenerti. E’ un percorso nuovo, sconosciuto. E si è soli. Maledettamente soli.»

Morti Bianche

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Foglie d'autunno

Si sta come
d’autunno
sugli alberi
le foglie

G.Ungaretti, Soldati

Ungaretti scrisse questi semplici, ma significativi versi dedicati ai soldati che partivano per il fronte della Prima Guerra Mondiale, la cui vita era appesa a un filo sottile, un destino quasi segnato, che poteva spezzarsi in qualsiasi momento.
Così è il mondo del lavoro oggi: un fronte di guerra, che ogni giorno sforna bollettini impietosi dei suoi caduti.

626-Legge sulla sicurezza del lavoro

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“Robe come la 626 (la legge sulla sicurezza sul lavoro) sono un lusso che non ci possiamo permettere.” Così ha esordito Tremonti. Poche ore dopo, il portavoce Bravi s’è affrettato a precisare che per il ministro dell’economia “la sicurezza del lavoro è essenziale”

Le solite frasi di circostanza per cancellare parole che esprimono il pensiero di esponenti di spicco che sono al governo, per nascondere ciò che realmente è la linea guida della classe dirigente. Ormai la gente si è abituata a questo genere di cose, non ci fa più caso, ne è assuefatta e lascia correre. C’è da fermarsi e riflettere. Tutto questo non va assolutamamente bene, è totalmente sbagliato: a furia di lasciar andare, di permettere al lassismo e al disinteresse di prendere piede, si è finiti in un baratro che trascina sempre più in basso.
Robe: così è stata definita la 626, la legge che tutela la sicurezza sul lavoro e salvaguarda la vita di chi lavora. Questo termine dimostra disprezzo per la dignità dei lavoratori ed è la dimostrazione del valore che si dà alla vita umana. I lavoratori sono considerati oggetti da utilizzare e buttare via quando non sono più utili: carne da macello, ecco come sono ritenuti.
La vita umana, la dignità non hanno più valore: è questo il messaggio che passa. Ormai la morte ha talmente saturato la vita che non ci si fa più caso, la si tratta con indifferenza. Nei piccoli paesi dove le generazioni dei nostri genitori sono cresciute, la morte di una persona era un evento, un fattore che sconvolgeva, interessava tutta la comunità; ora è quotidianità, come andare al lavoro e fare la spesa. Non meraviglia, non tocca più.
Ma non si può morire per lavorare. Fatti di cronaca come questo non devono più succedere: è uno dei tanti, ma non deve più essere considerato solo un numero che va a sommarsi all’ammontare delle morti bianche. Ogni persona è importante, ogni morte lo è, non deve più essere solo un cumulo di numeri dati nei notiziari o sui giornali.
Siamo alla tragedia nazionale dove si muore per colpa del lavoro. Questo succede in un paese la cui forza è fondata proprio sul lavoro. Con il lavoro si crea ricchezza, ma, nello stesso tempo, uno rischia di morire ammazzato. E chi muore è sempre il lavoratore che mette a repentaglio la sua vita per sopravvivere. I diritti conquistati dai nostri padri sono stati perduti e calpestati. Anni di sacrifici, ma non è cambiato nulla d’allora, anzi è peggiorata la condizione operaia con le morti bianche.
Le promesse della politica che le morti bianche cessino e la falsa indignazione della classe dirigente sono solamente atteggiamenti retorici che durano un battito di ciglia. Il giorno dopo la scomparsa di un lavoratore non pensano più alle morti bianche, ma le persone continuano ad andare a lavorare con il pensiero che ogni momento potrebbe essere l’ultimo.
Il mondo del lavoro è un teatro di guerra altamente disumanizzato, con le persone ridotte a utensili, esistenze cosificate costrette a rincorrere la speranza di sopravvivere, anche quando in fondo a quella speranza c’è il concreto rischio di trovare la morte. Una guerra senza regole, senza senso e senza futuro, combattuta nel nome della produttività e della competizione sfrenata, dove tutti i soldati sono irrimediabilmente destinati a perdere, mentre a vincere sono soltanto i pochi burattinai che attraverso questa guerra costruiscono immensi profitti. E poco importa a loro se si tratta di profitti realizzati attraverso l’alienazione della vita umana.
E’ ora di dire basta.
Non si può morire per lavorare.
La vita e la dignità umana e personale devono tornare in primo piano ed essere tutelate a ogni costo, impedendo a chiunque di offenderle e toccarle.