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Steelheart

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steelheartOccorre fare una premessa doverosa quando si parla di Steelheart di Brandon Sanderson: benché l’autore americano sia conosciuto come scrittore di libri fantasy, il primo volume di questa sua nuova trilogia (negli Stati Uniti ci si avvicina all’uscita del secondo volume, Firefight) non è un romanzo fantasy, non importa se nella quarta di copertina l’editore italiano Fanucci lo reputa tale o se in rete si leggono commenti che lo definiscono in questa maniera. Steelheart appartiene alla fantascienza, se proprio si vuole essere precisi al genere supereroistico e distopico, tema quest’ultimo caro a Sanderson, visto quanto pubblicato finora: anche se con ambientazione diversa, l’idea del gruppo di ribelli che si contrappone ad autorità dotate di grandi poteri capaci di mettere in ginocchio un’intera popolazione (grazie anche a un vasto spiegamento di forze militari), ricorda quanto già incontrato in L’Ultimo impero, primo romanzo della trilogia Mistborn. Abbiamo David, il protagonista da poco divenuto uomo, che per anni ha pianificato la sua vendetta contro Steelheart, colui che ha ucciso il padre e piegato ai suoi voleri l’intera città in cui vive (come fatto da tanti altri esseri come lui in altre metropoli), proprio come Kelsier ha fatto con il Lord Reggente dopo che gli ha ucciso la moglie. Invece d’essere avvolta dalle nebbie come accade nelle Dominazioni, si ha a che fare con una città perennemente avvolta dalla notte a causa di Nightwielder, uno degli Epici al servizio del despota nemico.
Ma chi sono questi Epici che tanto hanno sconvolto la Terra e come sono comparsi?
Le notizie chi si hanno sul loro conto non sono chiare. Un tempo erano esseri umani comuni, ma dopo la comparsa nel cielo di Calamity, hanno sviluppato poteri soprannaturali; poteri talmente grandi da fargli perdere ogni morale (ben mostrata questa realtà, soprattutto sul come più si usino i poteri, più la mente e l’umanità si degenerino, alienando chi li possiede), considerandosi al di sopra di qualsiasi legge, di qualsiasi individuo e di poter disporre di tutto come vogliono. Non si sa se Calamity sia un esperimento del governo che ha voluto creare una razza di superuomini oppure si tratti di una cometa venuta dalle profondità dello spazio capace di conferire capacità straordinarie; teoria questa che rende forte l’analogia con Wild Cards – L’origine, il primo romanzo della serie curata da George R.R. Martin assieme ad altri autori. Solo che in quel caso il tema della nascita dei poteri viene affrontato in tono più maturo, più approfondito, mostrando la caccia che viene fatta dal governo alle persone dotate di poteri, come esse siano trattate come dei diversi, dei mostri, una minaccia da tenere sotto controllo. Sotto certi aspetti, l’opera di Martin ricorda le serie degli X-men; quella di Sanderson invece fa venire in mente fin dalla prima apparizione di Steelheart, Superman, grazie al suo mantello svolazzante, alla sua capacità di volare, alla sua invulnerabilità a qualsiasi forma di attacco. Solo che in questo caso si ha a che fare con un supereroe malvagio, proprio come succede nel film di animazione Justice League – La crisi dei due mondi (2010, diretto da Lauren Montgomery e Sam Liu), dove si ha un universo parallelo con le parti tra buoni e cattivi invertite (si ha un Lex Luthor in versione eroica e la Justice League che è il Sindacato del Crimine).
Sanderson, come si è visto, non crea nulla di originale, prendendo spunti da trame e tematiche già affrontate, ma sa realizzare una storia avvincente che scorre piacevole fino alla fine, tenendo vivo l’interesse. Buono lo stile e le idee usate, come quella dell’equipaggiamento degli Eliminatori sviluppato grazie allo studio fatto sui poteri e sul dna degli Epici. Buona la caratterizzazione dei personaggi, sviluppata per essere adatta a un romanzo young adult: benché il tema della distopia possa essere cupo, viene affrontato con un tono leggero, ma non per questo superficiale; solamente non mostra i lati più crudi e oscuri come potrebbero fare altri autori.
Tuttavia, uno dei nei del romanzo è proprio questa leggerezza e il fatto di puntare su un aspetto ben diffuso degli young adult. David fin da subito prende una cotta per Megan, la prima degli Eliminatori che incontra, e benché il suo pensiero dovrebbe essere solo quello della vendetta, appena conosciuta la ragazza, la sua mente non fa che andare sempre su come le sue azioni possano fare colpo su di lei. E’ vero che è un diciottenne, ma è inverosimile che in una situazione di estremo pericolo dove la morte è a un passo, i pensieri non siano pervasi dal terrore, dall’istinto di sopravvivenza, dall’adrenalina, ma siano volti su come le proprie gesta possano trovare una reazione positiva sulla bella. Da uno scrittore come Sanderson non ci si aspetta scivolate del genere, rimanendo nel dubbio se sia stata una mancanza o un adeguarsi alle richieste del mercato; già in altre sue opere ci sono state storie di amore (anche se questa è appena agli inizi, non trova ancora un vero sviluppo) come nella serie Misborn e Il Conciliatore, ma erano state affrontate in maniera migliore, non con cadute di tono come in questo caso.
Un altro neo è l’uso di “metafore” (come le chiama uno dei personaggi) durante i dialoghi per alleggerire le situazioni, cercando di risultare simpatici andando un po’ sopra le righe: in alcuni casi sono una forzatura e risultano un po’ assurdi.
Il romanzo ha una buona atmosfera, i colpi di scena funzionano, anche se s’intuisce da subito quale può essere il punto debole di Steelheart (tutti gli Epici ne hanno uno); come si capisce bene nella scena della tromba dell’ascensore che c’è un intervento particolare, di cui si capisce a quale natura può appartenere.
Tolti questi punti, la storia è piacevole e adempie perfettamente nel compito d’intrattenere: un buon libro che invoglia nel continuare a seguire le vicende dei protagonisti; non l’opera migliore di Sanderson, che ha dimostrato in altri volumi il suo reale valore, ma una lettura consigliata e più che meritevole.

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