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Perdita di diritti

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È ormai chiaro che c’è la volontà di togliere sempre più diritti alle persone. Questo comporta sempre meno tutele nei loro confronti, specialmente nel mondo del lavoro.
È chiaro da tanti anni a questa parte che i vari governi non sono al fianco dei lavoratori ma dei datori di lavoro; già il motto tanto sbandierato ultimamente “gli imprenditori sono eroi” rende palese da che parte pende la bilancia. Se non bastasse questo, ci sono ulteriori prove a dimostrazione di ciò: il Job Act ne è un esempio calzante.
Non bastasse ancora, basta vedere la decisione presa dalla Consulta di bocciare il quesito referendario sul reimmettere l’articolo 18, dichiarandolo inammissibile. E anche la decisione della Cassazione che ritiene giusto per un imprenditore licenziare per aumentare i propri profitti.
Il Quarto Stato, ottimo esempio della questione sociale sui diritti dei lavoratori Si sta arrivando dove gli imprenditori vogliono arrivare: poter fare tutto quello che vogliono, avere libertà di licenziare e decidere della sorte e condizione dei lavoratori come più gli pare e piace. È un tornare indietro di decenni, prima dell’acquisizione dei diritti dei lavoratori dopo anni di lotta.
Questo non vuol dire che i lavoratori debbano avere solo diritti e non alcun dovere: è dovere del lavoratore fare il suo dovere e non è ammissibile che ci siano, come purtroppo tanto spesso è successo, i furbetti del cartellino, ovvero gente che timbrava, ma invece di lavorare era a farsi i fatti suoi. Ci vuole competenza e serietà, le cose, visto che si fanno, vanno fatte bene. Non si può essere pagati per non fare niente o per fare le cose male.
Come non si può in nome del denaro e della produttività essere trattati come oggetti o schiavi.
Come sempre, la soluzione sta nell’uso del buon senso. Quel buon senso che richiama all’equilibrio, ma che sembra essere stato perduto e pare non voglia essere recuperato.
Come scrisse Giuseppe Pellizza da Volpedo nel suo diario prima di dipingere il famoso quadro Il quarto statoLa questione sociale s’impone“.

2 comments to Perdita di diritti

  • Qui vado contro il mio interesse (perché sono uno dei lavoratori “vecchi” e quindi un tutelato) e contro il mio abituale atteggiamento critico verso il neoliberismo… la questione del “posto di lavoro garantito” mi convince sempre di meno. Una volta, quando il lavoro consisteva nel ripetere atti fisici relativamente semplici, o calcoli e lavori di concetto routinari, in ruoli che rimanevano gli stessi per decenni, la tutela massima poteva avere un senso. Oggi, con la sofisticazione e diversificazione del lavoro, con i rapidi cambiamenti che rendono obsoleto un prodotto, e l’industria che lo fa, da un momento all’altro, in molti casi non ha più un senso questo sposalizio forzato a vita tra datore di lavoro e lavoratore. Senza contare quelli che ci marciano (oh, come ci marciano!). Non ho una rapida soluzione in tasca, ma, almeno nella maggior parte dei casi, non ha più senso pretendere da una azienda che si tenga un lavoratore per tutta la vita.

    • Pensare di rimanere tutta una vita in una ditta è utopistico. D’altra parte non si può nemmeno andare all’opposto, ovvero lavorare per un mese e poi essere nell’instabilità/flessibilità.
      Come non si può nemmeno pensare a lavoratori senza nessuna tutela, come si vorrebbe (mi vengono sempre in mente i lavoratori Fiat che erano in cassa integrazione, ma costretti a lavorare regolarmente, anche se non stavano neppure in piedi per la febbre).

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