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Malattia come insegnamento

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Spesso si sente dire che nulla accade per caso: il più delle volte non si riesce a comprendere il motivo del verificarsi di certe condizioni, ma se si fa attenzione ci si accorge che accadono in prossimità di un cambiamento, di una svolta, quando c’è necessità d’imparare qualcosa.
Si potrebbe dire che l’inconscio è all’opera e fa andare verso la direzione di cui si ha bisogno in un determinato momento, una sorta d’attrazione verso qualcosa utile all’evoluzione, all’andare avanti: quindi, anche se inconsapevolmente, siamo noi stessi i fautori di quanto andiamo incontro, di ciò che ci capita.
Oppure, possono essere le forze dell’universo ad agire, intervenendo per riequilibrare situazioni che hanno preso una piega sbagliata, una sorta di reazione uguale e contraria all’azione perpetrata. Può sembrare una teoria assurda o fantastica, ma non da accantonare, dato che non si ha che una minima conoscenza delle leggi e delle energie che pervadono tutto quanto è esistente.
Quale che sia la realtà, chi ha avuto modo di viverla sulla propria pelle, sa che una malattia cambia il modo di vivere, d’approcciarsi alle cose; in un certo modo si può vedere come un insegnamento, un intervento per bloccare un modo di fare sbagliato e mettere sull’avviso di non tornare a perseguitare certe scelte e atteggiamenti.
Su questi basi sorge una riflessione. Già in un post precedente ho parlato dell’Alzheimer, una malattia che praticamente è l’opposto dell’evoluzione, un’involuzione che fa regredire una persona adulta un passo alla volta agli stadi precedenti: giovinezza, adolescenza, infanzia. Sempre più persone in tutto il mondo sono colpite da essa.
Certo le condizioni di vita, le scelte personali, l’ambiente che non aiuta l’individuo, la privazione di scopi e motivazioni, il non mantenersi attivi, sono fattori determinanti nello sviluppo di questa malattia.
Ma se il progredire di essa fosse un modo per mettere sull’avviso della necessità di dover modificare un sistema completamente sbagliato, arido, insensibile, un modo per riscoprire quell’innocenza, quella semplicità tipica dei bambini? Un tornare a occuparsi di cose più sane quali il vivere a contatto con la natura, a riscoprire i rapporti con le persone e soprattutto a dargli quell’attenzione che meritano, a seguirle, saperle ascoltare e comprenderle? E se questo fosse un modo di riscoprire la nostra umanità, dopo che istituzioni, media, mode, hanno fatto di tutto per sradicarla?
Perché è questo che deve fare chi segue un malato d’Alzheimer: deve prestargli attenzione, seguirlo, acquisire una sensibilità, una comprensione che magari prima non possedeva, deve andare in profondità nel proprio essere e far venire alla luce quelle capacità che aveva, ma che non sapeva di avere.

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