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L’Ultimo Potere – Preludium: II Frivolezze (parte 1)

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Fuori della porta del bar, i quattro stavano seduti attorno a un tavolino di marmo concentrati sulle carte in mano e i soldi posti sulla tovaglia di seta rossa, disinteressati delle farfalle dalle ali chiare che svolazzavano attorno al lampioncino a pochi passi dalla veranda e dell’aria satura di resina di ginepro proveniente dal parco vicino. Con i fondoschiena flaccidi schiacciati sulle larghe sedie, si grattavano i ventri prominenti, rotoli di grasso afflosciati sulle cinture troppo strette. Pigramente giravano le carte tra le mani, prendendosi tutto il tempo per giocarle.
«Ehi, ragazzo.» Chiamò l’uomo dalla camicia azzurra finemente lavorata.
Sull’uscio apparve un giovane con pantaloni e maglia bianchi adornati di lustrini viola e rosa.
«Vedi di portarci un’altra bottiglia di vino novello, quello tenuto in frigo. Qua si muore dal caldo. E portaci dei bicchieri puliti: non possiamo certo bere in questi già usati.»
Pochi attimi dopo il ragazzo ritornò da dietro il bancone, portando con un vassoio l’ordinazione richiesta. Posatala sul tavolo, rientrò nel bar come se stesse sfilando su una passerella.
Il vecchio con la pelata stappò la bottiglia, versando il contenuto nei bicchieri puliti. «Un bravo ragazzo, il barista. Veloce, efficiente e di poche parole.»
«Fa solo il suo lavoro.» Sbuffò da sotto una densa voluta di fumo il giocatore alla sua destra. «Se non sapesse fare nemmeno questo potrebbe spararsi.» Sentenziò appoggiando il sigaro nel posacenere per bere un sorso di vino.
«Lascia stare i tuoi soliti commenti.» Borbottò l’uomo di mezz’età con gli occhiali. «Cos’hai stasera? T’ha punto un tafano? Oppure i vestiti che ti hanno ordinato di preparare non sono di tuo gradimento?»
«Quando avrai la mia età te ne accorgerai. Voglio vedere cosa dirai allora.» Brontolò lo stilista tornando a mettersi in bocca il sigaro puzzolente.
«Non potresti cambiare marca? Ci appesti tutte le sere.» Si lamentò l’uomo dalla camicia. «E quando torniamo a casa, chi le sente le nostre mogli? Sempre a criticarci perché siamo dei viziosi. Tutto per colpa tua. E poi ci rovini la messa in piega.»
«Ma và a farti fottere, acconciatore.» Mugugnò lo stilista mentre fumava, vagliando con cura la carta da calare.
«Irascibile più del solito. La sciatica non ti ha fatto dormire stanotte, vero?» Il vecchio con la pelata tirò su con il naso.
Lo stilista fece una smorfia. «Sono due notti che non chiudo occhio. Ma scommetto che neanche tu riesci a dormire: con tutta la merda che hai tirato su per il naso soffri d’insonnia.»
«Ormai non c’è nulla da fare, ma non mi posso lamentare, dato che mi sono goduto la vita alla grande con quella che tu chiami merda. Se vuoi te ne posso procurare un po’: è una panacea per tutti i mali, fisici e psichici.»
«Non ci provare con me, spacciatore che non sei altro. Non voglio bruciarmi quel poco di salute che ho.» Lo ammonì severamente lo stilista.
«Fa come vuoi, sei tra i pochi in questa città che non ne fa uso, ma ti aiuterebbe a vivere meglio: è da stupidi seguire qualche sciocco valore morale quando si può per niente rendere la vita migliore. E’ anche vero che non tutti fanno un lavoro piacevole come il tuo.» Aggiunse sornione il vecchio con la pelata.
Lo stilista sbuffò. «Non è tutto rosa e fiori: anche il mio ha le sue beghe.»
Gli altri tre risero sommessamente.
«Certo, certo. E’ davvero una faticaccia dover soddisfare le richieste di tutte quelle povere giovani che vengono alla tua porta.» Convenne l’uomo con gli occhiali arricciando le labbra. «Smettila di lamentarti, come se fosse la cosa peggiore che possa capitare. C’è la fila di belle ragazze che pregano per potersi inginocchiare davanti alla patta: che cosa vuoi di più?»
«E tu che ne sai?»
L’uomo con gli occhiali fece il sorriso di chi la sa lunga. «Vengono sempre da me per farsi depilare, per essere sempre belle lisce, senza nemmeno un pelo. Da nessuna parte.» Sottolineò con cura. «E quando si stanno facendo massaggiare o mettere le creme idratanti, chiedono consigli su come far colpo sullo stilista. Specialmente su come soddisfare i suoi gusti sessuali.»
«L’estetista ha ragione.» S’intromise l’acconciatore. «Anche quando vengono a cambiare colore ai capelli o a rifarsi il taglio, non parlano d’altro. Sei un uomo desiderato.»
«Non fate i santarellini: anche voi ve le siete ripassate tutte.» Sbottò lo stilista.
«Ma noi non ci vergogniamo ad ammetterlo.» Rise lo spacciatore. «Sei tu che ti schernisci, come se fosse una cosa deplorevole. Tutti in città fanno così. E non sai cosa combinano nelle feste private.»
«Quando si ritrovano tutte ben vestite e acconciate e su di giri,» aggiunse in fretta l’estetista «ne combinano davvero delle belle, con chiunque abbiano a tiro: donne, uomini, animali e bambini.»
«Bambini?» Lo stilista alzò le sopracciglia sorpreso.
«Sì, dicono che hanno delle carni molto morbide.» Disse con sicumera lo spacciatore. «Quelle giovani ragazze dallo sguardo così dolce si trasformano in erinni insaziabili.»
«Ma che razza di roba gli dai?» Sbottò lo stilista.
«Roba buona. Manna del cielo.» Disse serafico lo spacciatore. «Diventano sfrenate, il loro corpo è tutto un umore. Sono bollenti, come possedute da una febbre. Una volta ne ho vista una svenire al suolo dopo avere galoppato sui cavalli di una ventina d’uomini per sei ore di fila. Era sfinita, ma ha fatto una maratona davvero notevole.»
«Ah, la gioventù.» Commentò lo stilista massaggiandosi la schiena. «Non ho più l’età per queste cose. Ma quando avevo i loro anni, ne ho sparate di cartucce.»
«Almeno sei andato a farti visitare? Ti sei sottoposto a qualche trattamento fisioterapico?» Domandò l’acconciatore vedendo la smorfia di dolore sul suo volto.
«Soldi buttati via. Non sono mai serviti a nulla.» Lo stilista strinse il sigaro tra i denti. «Sono anni che lotto con questa bastarda e niente me l’ha fatta passare.»
L’acconciatore calò una carta sul tavolo. «E’ sempre una conseguenza di quella battuta di caccia?»
Lo stilista grugnì inalando una generosa dose di fumo. «Quel maledetto cinghiale è saltato fuori all’improvviso, sembrava un missile. L’ho evitato per un pelo buttandomi nel canalone che avevo a fianco: se non l’avessi fatto m’avrebbe sventrato. Ma proprio su un sasso dovevo atterrare.» Si sporse a lato della sedia sputando sul porfido del porticato.
«E da lì sono cominciati i dolori.» Concluse lo spacciatore giocando la sua carta e prendendo la mano del turno. «Ho sentito che hanno aperto un nuovo centro per massaggi, dove un tempo c’era il supermercato. Una cosa in grande, molto professionale.»
«E allora?» Intervenne seccato l’estetista vedendo che nessuno stava prendendo le carte per una nuova mano.
«Potresti provare a farci un salto.» Continuò a parlare lo spacciatore ignorando l’occhiata storta lanciata dal vicino.
«Pensi che risolverei qualcosa?» Borbottò lo stilista storcendo la bocca in una smorfia di dolore.
«Se non provi come puoi saperlo?» Rimbeccò lo spacciatore. «Nella peggiore delle ipotesi avrai passato una mezz’ora piacevole.»
Lo stilista lo guardò perplesso. Gli altri due giocatori cominciarono a sghignazzare. «Beh, cosa c’è di tanto divertente?» Protestò offeso.
L’acconciatore fece un sorriso astuto. «Ancora non lo sa.»
«Cos’è che dovrei sapere?» Sbottò sulla difensiva lo stilista, affrettandosi a togliere la cenere caduta sui pantaloni di velluto.
«Anche tu ci sei già stato.» Costatò l’estetista rivolgendosi all’acconciatore.
«Puoi scommetterci.» Tornò a sghignazzare l’altro.
Lo stilista osservò i tre sempre più spazientito. «Qualcuno mi vuole spiegare?»
Lo spacciatore si lisciò la pelata, sorridendo bonariamente. «Con il lavoro che fai dovresti essere un uomo più di mondo.» Obiettò. «Ma adesso lo facciamo.» S’apprestò ad aggiungere vedendo lo sguardo torvo dell’altro, giocando in fretta l’ultima carta che aveva in mano. «Da circa un mese è aperto un centro benessere dove, come ti abbiamo detto, un tempo c’era il supermercato. E’ stata una cosa abbastanza veloce: gli incartamenti e le pratiche burocratiche sono stati sbrigati in tempo record. E così pure l’allestimento dei saloni e delle palestre con l’attrezzatura e i macchinari necessari.»
«Chi ha messo su questa baracca deve averne di soldi.» Notò lo stilista.
L’estetista rise di gusto. «Infatti: è stato il capo a fare tutto questo.»
«Il capo della cittadina? Ma non ne sa mezza di palestre, massaggi et similia.» Sbottò sorpreso lo stilista mentre riaccendeva il sigaro che si era spento.
Lo spacciatore ammiccò sornione. «Lui no, ma l’attuale compagna sì: era la sua personal trainer. E visto che lei aveva il sogno di aprire un centro benessere, lui ha deciso di accontentarla. In fondo se l’era meritato, dato i continui piaceri dati.»
«Già. Si mormora che sia il pagamento per le prestazioni extra che offriva.» Aggiunse l’acconciatore.
«Beh, cosa c’è di male? Non fanno così tutte? Non mirano forse ai soldi? Mi sembrate nati ieri.» Sbottò seccato lo stilista.
«Forse è un po’ caro, ma…»
L’estetista fu interrotto dall’arringa dello stilista. «E’ una che ha fiuto e sa il fatto suo. Ha beccato l’uomo giusto. Se fossi una donna, sceglierei anch’io chi ha soldi e potere.» Sventolò il sigaro davanti alle loro facce. «E uno nella sua posizione può permettersi di scegliere le migliori. Anzi può permettersi tutte le donne che vuole. Sfido chiunque a non fare come lui!»
«Come il solito t’infervori e perdi il filo del discorso.» Lo riprese l’estetista. «Non era lì che volevamo andare a parare. Ti stavamo spiegando com’è nato il centro di benessere, ma la parte interessante arriva adesso. Come ti abbiamo detto, la proprietaria è stata una personal trainer che ha lavorato in diverse palestre e centri benessere: perciò come collaboratrici ha scelto le colleghe che hanno lavorato con lei. Tutte ragazze giovani.»
«Molto carine.» Sottolineò lo spacciatore.
«E molto…manuali.» Aggiunse l’acconciatore sistemando il colletto della camicia.
Gli occhi dello stilista si fecero attenti.
«Queste ragazze hanno molta esperienza e sanno rimettere in sesto qualsiasi problema articolare o muscolare; questo di certo è un bene. Ma c’è di meglio.» L’estetista si sporse sul tavolo. «Allungando un piccolo premio, sono disponibili a fare lavori extra, chiamiamoli prestazioni personali a richiesta. Quando esci da quel centro benessere ti senti riconciliato nel fisico e nello spirito.»
Con il sigaro in mano, lo stilista pendeva dalle loro labbra, rimanendo diversi secondi a bocca aperta prima di riscuotersi. «E voi sapevate queste cose e non me lo avete detto prima.»
«Veramente non solo sapevamo, ma ci siamo già stati.» Commentò compiaciuto lo spacciatore. «C’è un’orientale con due chiappette a mandolino che fa dei servizietti davvero fantastici.»
Tutti scoppiarono a ridere al vedere la faccia dello stilista.
«Maledetti bastardi.» Contrasse la mascella, seccato per essere al centro del loro divertimento. «Ma è legale? Civilmente accettabile» Puntò il dito contro il gruppetto.
«Lo sentite?» Lo sbeffeggiò l’acconciatore. «Chi ha potere detta le regole e se il capo dice che è legale, allora lo è. Proprio tu non fare lezioni di coscienza, che hai fatto cose che farebbero arricciare il naso a un maiale: sappiamo i giochini che fai con le ragazze che vengono da te, specie le più giovani, di come ti piace seviziarle e farle urlare.» Si divertì nel vedere gli occhi dell’accusato restringersi. «E poi perché farsi degli scrupoli moralistici, quando pure il sacerdote ne fa uso.»
«Allora è tutto a posto.» Tagliò corto lo stilista per uscire dalla spinosa questione in cui rischiava di essere coinvolto.
L’avvicinarsi di un fitto vociare interruppe la discussione, portando l’attenzione dei quattro sul gruppo che si stava avvicinando al bar.
«Chissà perché i giovani devono sempre fare casino.» Brontolò lo spacciatore mescolando il mazzo di carte.
«Si vede che non ti ricordi più com’eri ai loro tempi.» Rimbrottò l’estetista.
«Smettetela di perdervi dietro le sciocchezze.» Li rimproverò l’acconciatore. «Avete visto chi è entrato?»
«Certamente.» Asserì lo spacciatore.
«E vi sembra decente? Una cosa da permettere?» S’accalorò lo stilista.
L’estetista scrollò le spalle. «Al bar ci possono andare tutti; non glielo si può certo impedire.»
«E invece si dovrebbe!» Lo stilista calò il pugno sul tavolo. «E’ un affronto per gente civile come noi! Ai poco di buono come quello là dovrebbero mettere delle limitazioni, impedire di andare dove gli pare e piace. La gente vuole rimanere tranquilla, non essere infastidita dalla loro spiacevole presenza!»
«Non hai tutti i torti.» Convenne lo spacciatore.
«Qui ci vuole una legge!» Lo stilista batté con forza il pugno sul tavolo. «Una legge che ci protegga e ci tuteli da persone spregevoli come quel ragazzo. Esseri come lui vanno sbattuti in cella!»
«Per quanto convenga con te, non gli si può fare nulla. Nel venire al bar non infrange alcuna legge.» Gli fece notare l’acconciatore.
«Ma ha la barba!» Sbottò lo stilista.
«E allora?» Fece l’estetista.
«Tutti quelli che portano la barba hanno qualcosa da nascondere.» Il fumo del sigaro turbinò nell’aria mentre la mano si muoveva a scatti. «E si ha qualcosa da nascondere solo se si è dei poco di buono, dei delinquenti.» L’arringa s’alzò di tono. «Il suo vestiario: solo un mascalzone, un uomo che vive nella malavita, può andare in giro vestito con degli stracci. Lui è un criminale e il suo posto è in prigione.»
«Finché non commette un crimine, non può esservi rinchiuso.»
«Invece dovrebbe!» Lo stilista quasi urlò. «Così si anticiperebbero le sue azioni criminose e nessuno ne soffrirebbe. Serve il carcere preventivo: è l’unica soluzione contro quel genere di persone. Fidatevi di me: con esseri come lui ci sarà da patire, se si lasciano liberi.»
Gli altri tre lo guardarono, le carte tra le mani.
«Che avete da guardare?» Sbottò risentito. «Adesso non venite a dirmi che in sua presenza non avvertite un senso di fastidio e pesantezza; non mi direte che lo considerate uno di noi. Lui è diverso, non appartiene alla gente normale.»
Lo spacciatore lo guardò risentito. «Cosa credi, che a noi piaccia vederlo girare qua attorno, sentirci sfiorare dall’aria che smuove passandoci vicino? La sua presenza c’irrita. Lo so anch’io che non si dovrebbe tollerare la sua presenza e che le autorità dovrebbero intervenire per impedire che frequenti i luoghi delle persone perbene.»
«Dovrebbero impedirgli il solo avvicinarsi.» Lo corresse l’estetista.
Lo spacciatore assentì con il capo. «Ma al momento questo non è possibile.»
Tutti mugugnarono di dissenso.
«Bei tempi quando si bruciava la gente al rogo.» Bofonchiò lo stilista sorseggiando il vino. «Ve lo dico io, quello è un mostro, un demonio.»
L’acconciatore lo seguì a ruota. « E’ vero: un indemoniato. Non fa mai come le altre persone, non ci tiene a mischiarsi con noi: quello non è normale.»
«Forse dovremmo farlo esorcizzare.» Borbottò l’estetista facendosi il segno della croce. «Dovremmo parlarne con il sacerdote: forse c’è un modo per salvarlo e farlo divenire come noi.»
«Sì! Ogni ministro religioso ha il potere di inquisire e scacciare il demonio dalle persone.»
«Per me bisogna dargli fuoco e basta.» Commentò l’estetista continuando a sorseggiare il vino.
«State perdendo tempo in chiacchiere inutili. E’ soltanto un poveraccio che non ha i soldi nemmeno per farsi una lampada.»
Tutti si voltarono a guardare il nuovo arrivato.
«Buonasera, professore.» Lo salutò lo spacciatore. «Com’è andato il giro con la nuova fuoriserie?»
Il distinto uomo di mezz’età si lisciò la giacca, spazzolando via due piccoli peli che vi si erano adagiati sopra.
«Ormai si assomigliano tutte: design quasi identico, stessa potenza, sedili in pelle. Niente di nuovo.»
L’estetista scrollò le spalle. «Sarà, ma non si può tenere la roba vecchia.»
«E’ vero.» Convenne il professore. «L’altra auto ormai aveva quasi un anno.»
«E’ così che si fa.» Plaudì lo spacciatore. «Non come quel poveretto appena entrato che ha la stessa auto da dieci anni. E’ uno messo davvero male. Pensate» s’affrettò ad aggiungere «gli ho visto portare la stessa maglia che aveva anche l’anno scorso.»
«Che barbone. E il taglio di capelli l’avete visto?» Sbottò l’acconciatore «Andava bene due anni fa.»
«Un pezzente, come vi ho detto.» Disse il professore. «Mi meraviglio più di voi a prenderlo in considerazione. Persone così vanno trattate come se non esistessero; isolarle, metterle da parte.»
Tutti non poterono che convenire. Ma l’espressione dello stilista rivelava che per lui non era sufficiente.

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