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Sull'importanza dell'educazione

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In un precedente articolo, affrontando l’argomento del calo di lettori in Italia, ho parlato di quanto questo dipenda dall’educazione e sull’importanza che essa abbia.
In un contesto differente (si parla del Giappone), Haruki Murakami fa un discorso analogo improntato proprio su quanto è rilevante la questione educazione. Una riflessione lucida e profonda tratta dal capitolo “A proposito della scuola” presente nel libro Il mestiere dello scrittore, che suggerisco caldamente di leggere.

Sull'importanza dell'educazione. Una riflessione basata su un brano tratto da Il mestiere dello scrittore di Haruki Murakami…all’epoca (ai tempi della scuola) per me leggere era più importante di qualsiasi cosa. Al mondo, inutile dirlo, ci sono un sacco di libri dal contenuto profondo, ben più emozionanti dei libri di testo. Libri che, pagina dopo pagina, ti entrano dentro. Ed è il motivo per cui non avevo mai voglia d’impegnarmi a studiare per gli esami…. La conoscenza acquisita macchinalmente in maniera non sistematica, col passare del tempo si dilegua da sé, svanisce, aspirata da qualche parte… sì, un luogo in penombra che è come il cimitero della conoscenza. Perché non è necessario conservarla indefinitamente nella memoria.
Invece ciò che resta nel cuore, senza svanire col passare degli anni, è molto più prezioso.… Ma non è un genere di conoscenza che abbia effetto immediato. Per rivelare in pieno il suo valore, ha bisogno di tempo. E disgraziatamente non ha alcun nesso con il risultato degli esami.

Negli ultimi anni di liceo ero in grado di leggere i romanzi inglesi in lingua originale…. Non per questo però i miei risultati in inglese sono migliorati.
…Tanti miei compagni avevano risultati ben migliori dei miei in inglese, eppure nessuno di loro era in grado di leggere un romanzo intero in lingua originale. Mentre io lo facevo senza difficoltà e con gran piacere. Ma allora perché i miei voti non miglioravano? Dopo aver fatto mille congetture, ho capito che lo scopo delle lezioni di inglese al liceo non era di insegnare agli allievi la lingua viva, pratica.
Allora qual era? Prima e innanzi tutto, ottenere un punteggio alto ai test d’ingresso all’università.

Ho l’impressione che fondamentalmente il sistema scolastico, e l’idea su cui si basa, in mezzo secolo non si sia evoluto… In qualsiasi materia, c’è da credere che il sistema educativo di questo paese non favorisca lo sviluppo armonioso delle qualità individuali. Ancora oggi inculca la conoscenza seguendo pedestremente i libri di testo e vuole solo far acquisire la tecnica per passare i concorsi di ingresso al livello di insegnamento seguente. E il fatto che alcuni allievi siano ammessi o meno in questa o quella università è motivo di gioia o dolore per insegnanti e genitori. È deplorevole.
…ho l’impressione che 1’obiettivo del sistema scolastico giapponese, quale lo conosco io, sia di formare individui con un carattere «da cane», utili a un sistema cooperativo; anzi, che a volte vada ben oltre, che tenda a formare gente con un carattere «da pecora», gente che si lasci condurre in massa in un luogo designato.
Questa tendenza non appartiene soltanto al sistema educativo, ma credo che si estenda anche al sistema sociale giapponese, basato sulla struttura delle imprese e della burocrazia. E tutto questo – la grande importanza attribuita ai valori espressi in numeri e all’efficacia immediata, la propensione utilitaristica alla «memorizzazione meccanica» – genera danni profondi in diversi campi. Per un certo periodo questo sistema utilitaristico ha funzionato molto bene….tuttavia, quando lo sviluppo economico era ormai alle spalle, quando la bolla è scoppiata sgonfiandosi di colpo, il sistema sociale che spingeva ad «avanzare tutti insieme verso la meta, come una sola flotta» ha terminato di svolgere il suo ruolo…. In qualunque società, naturalmente è necessario che ci sia consenso. Altrimenti le cose non funzionano. Al tempo stesso, bisogna anche rispettare l’eccezione, cioè l’esistenza di un gruppo relativamente limitato che si pone a una certa distanza dal consenso. Inserirlo nel proprio campo visivo. In una società evoluta questo equilibrio è essenziale. Perché dal modo di gestirlo nascono ampiezza di vedute, profondità e capacità introspettiva. Nel Giappone attuale però non mi sembra che la barra del timone sia rivolta in questa direzione, non abbastanza.
Ad esempio, riguardo all’incidente nucleare avvenuto a Fukushima nel marzo del 2011…A causa di quell’incidente nucleare, decine di migliaia di persone hanno dovuto lasciare le loro case e si trovano ora in una condizione senza via d’uscita, senza speranza di poter mai tornare alla loro terra. È una cosa che fa male al cuore. Ciò che ha portato a questo stato di cose, a prima vista è una disgrazia naturale al di là di ogni previsione, e alcune coincidenze gravi e sfortunate. Tuttavia, ciò che ha innalzato l’incidente al livello di una tragedia, a mio avviso è un difetto strutturale del sistema sociale presente e lo squilibrio che ne deriva. L’assenza di responsabilità all’interno del sistema, la totale incapacità di discernimento. L’efficacia perseguita senza ipotizzare la sofferenza di altre persone è un’efficacia nociva per mancanza di immaginazione.
La produzione di energia nucleare è stata promossa come politica nazionale sulla base di un solo argomento, «è utile all’economia», senza che ci venisse data la possibilità di esprimersi a favore o contro, e i rischi impliciti sono stati tenuti nascosti intenzionalmente (rischi che si sono però avverati in varie forme). Il conto questa volta abbiamo dovuto pagarlo noi. Se non facciamo luce sull’aggressività che si trova al cuore di questo sistema sociale, se non mettiamo in chiaro i fattori problematici e non li risolviamo alla radice, causeremo di nuovo lo stesso genere di tragedia.
L’idea che il Giappone, privo di materie prime, abbia bisogno dell’energia nucleare ha forse una sua ragion d’essere. Io per principio sono contrario, ma se venisse attentamente amministrata da qualcuno degno di fiducia, se la gestione venisse severamente sorvegliata da una terza parte all’altezza del compito, se il pubblico fosse informato con precisione, ci sarebbe forse spazio, in una certa misura, per una discussione. Ma un dispositivo che può provocare danni fatali come quelli causati dall’energia nucleare, un sistema potenzialmente tanto pericoloso da distruggere un paese intero (l’incidente di Cernobyl è di fatto una delle cause che hanno portato alla disgregazione dell’Unione Sovietica), quando è controllato da un’impresa commerciale basata sulla «priorità dell’efficacia» e sull’«importanza dei valori espressi in numeri», quando viene indirizzato o guidato da un’organizzazione burocratica che ha perso l’empatia con la natura umana e si regge sulla memorizzazione macchinale e la trasmissione dall’alto verso il basso, allora il pericolo è tale da far rizzare i capelli. Il risultato cui porterà sarà di distorcere la natura, causare danni fisici alla popolazione, far perdere la fiducia nello Stato e privare tanta gente dell’ambiente in cui ha sempre vissuto. Ed è quello che è successo a Fukushima.
Il discorso si è allargato, ma quello che voglio dire è che le contraddizioni del sistema educativo sono direttamente legate alle contraddizioni del sistema sociale. E viceversa. In ogni caso, siamo arrivati a un punto in cui non è più possibile trascurare queste contraddizioni.

I sintomi patologici (credo li si possa chiamare così) di un luogo educativo del genere sono soltanto il riflesso dei sintomi patologici del sistema sociale. La società nel suo insieme ha un suo vigore, e se gli obiettivi sono fissati saldamente, i problemi che si verificano nel sistema scolastico si possono superare con la forza inerente al sistema stesso. Ma se la società perde il suo vigore e qua e là si manifesta un senso di soffocamento, è nei luoghi educativi che questo avviene nella maniera più appariscente e svolge l’azione più forte. La scuola, le aule scolastiche. Perché i bambini, come i canarini che una volta venivano portati nelle miniere, sono le creature che riescono a percepire per prime, con molta sensibilità, la tossicità dell’atmosfera.

Riguardo ai profondi problemi educativi che ingenera una società di questo tipo, priva di sufficienti «vie di fuga», dobbiamo trovare soluzioni nuove. Cioè, andando con ordine, creare luoghi in cui cercarle, queste soluzioni.
Quali?
Luoghi dove l’individuo e il sistema possano muoversi in reciproca libertà e trovare, portando avanti negoziazioni fluide, utili punti di contatto. Spazi dove ciascuno possa stendere liberamente braccia e gambe e respirare a fondo. Dove allontanarsi dal sistema, dalla gerarchia, dall’efficienza, dal bullismo. In parole povere, un rifugio provvisorio, semplice e accogliente. Dove chiunque sia libero di entrare e uscire quando vuole. Una serena zona intermedia tra l’individuo e il gruppo, dove la scelta della posizione da prendere venga lasciata alla discrezione del singolo. Li chiamerei «luoghi per la rinascita dell’individuo»…. sarebbe bello che questi luoghi sorgessero qua e là spontaneamente.
L’ipotesi peggiore è che un organismo tipo un ministero delle Scienze li imponga dall’alto come un sistema. Noi qui stiamo parlando di «rinascita dell’individuo», quindi se il governo cercasse di trovare una soluzione sistematica, si arriverebbe a un vero e proprio capovolgimento del problema, a una specie di farsa.

Tornando a me, ricordo che quando andavo a scuola l’aiuto più valido mi veniva dai quei pochi buoni amici che mi ero fatto, e dai tanti libri che leggevo.
Libri di tutti i generi… penso che il fatto di leggere libri di generi diversi abbia relativizzato il mio campo visivo, cosa che per me adolescente ha avuto un’importanza immensa. Mi immedesimavo nei personaggi, andavo e venivo liberamente con la fantasia attraverso il tempo e lo spazio, vedevo paesaggi straordinari, lasciavo scorrere nella mia mente fiumi di parole, e così il mio punto di vista si è più o meno diversificato. E ho anche acquisito la capacità di considerare me stesso, che osservavo il mondo da varie posizioni, con una certa obiettività…. Se non ci fossero stati i libri, se non ne avessi letti tanti, probabilmente avrei condotto un’esistenza più arida e indifferente alle cose. Insomma per me l’atto in sé di leggere ha costituito una grande scuola. Una scuola costruita a mia misura, organizzata a mio solo beneficio, dove ho imparato di mia volontà tante cose importanti. Senza regole fastidiose, valutazioni espresse in cifre, competizione per classificarsi in graduatoria. E naturalmente senza alcun bullismo. Ho potuto, pur facendo parte di un grande «sistema», preservare quello mio personale e diverso.
L’immagine che ho di uno « spazio di rinascita individuale», è qualcosa che ci va molto vicino. Non si limita alla lettura. Un bambino che non si adatti alla scuola attuale, che non abbia alcun interesse per quello che studia in classe, se avesse a disposizione uno «spazio di rinascita individuale» fatto su misura per lui e vi trovasse qualcosa che gli piaccia, consono alla sua personalità, e se riuscisse a far durare quest’opportunità seguendo il proprio ritmo, credo che sarebbe capace di espugnare «le mura del sistema». Perché questo avvenga, tuttavia, è necessario che il bambino faccia parte di un gruppo in grado di comprendere e valutare il suo spirito (il suo modo di vivere in quanto individuo), cioè che abbia l’appoggio della famiglia.

In qualsiasi epoca, in qualsiasi società, l’immaginazione ha un ruolo essenziale.
Una delle cose che si trovano all’estremità opposta dell’immaginazione è l’efficienza. Ciò che ha scacciato dalla loro terra decine di migliaia di persone a Fukushima, se andiamo a cercare all’origine, è il valore attribuito all’efficienza: l’energia nucleare è efficiente, quindi è buona. Quest’idea, e la falsità del mito della sicurezza che ne è risultato, hanno messo il paese in queste condizioni tragiche, hanno prodotto questo disastro da cui non è possibile risollevarsi. Credo si possa dire che è stata una mancanza di immaginazione da parte nostra. Ma non è troppo tardi. Possiamo fare resistenza a questa mentalità pericolosa e di corte vedute, ma dobbiamo impiantare dentro di noi il perno di un pensiero libero. Poi protenderlo verso la comunità.
Intendiamoci, ciò che io chiedo alla scuola non è di sviluppare l’immaginazione dei bambini. Non oso sperare tanto. Si dica quel che si vuole, ma questa è una cosa che possono fare solo i bambini stessi. Non gli insegnanti né gli strumenti scolastici. Tanto meno il governo e le politiche educative. Non tutti i bambini possono avere una grande immaginazione. Così come alcuni sono bravi nella corsa e altri no, ci sono bambini dotati di fantasia e altri no – probabilmente manifesteranno talento per qualche altra cosa. È ovvio. Questo è il mondo. Se noi adottiamo uno slogan fisso – «sviluppiamo la fantasia dei bambini» -, di nuovo otterremo risultati distorti.
Ciò che chiedo alla scuola, è di « non soffocare la fantasia nei bambini che ne hanno», nient’altro. Sarebbe sufficiente. Lasciare ad ogni personalità abbastanza spazio per sopravvivere. In questo modo la scuola diventerebbe un luogo più libero e completo. Al tempo stesso lo diventerebbe, di pari passo, anche la società.
(1)

1. Il mestiere dello scrittore. Haruki Murakami. Einaudi Super Et 2018, pag. 116-131.

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