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Il Rosso e il Nero

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Il Rosso e il Nero è il racconto con cui ho partecipato alla prima tappa del contest Ferragosto d’Inchiostro 2017 di Writer’s Dream. In questa occasione il tema era libero, purché si usasse uno degli incipit e uno dei finali messi a disposizione dallo staff; avendo tale libertà, ne ho approfittato per creare una storia legata a un’ambientazione che ho già mostrato in Strade Nascoste e L’Ultimo Demone.

La volpe fece appena due passi lungo il fosso. Magra, la coda abbassata, annusava il terreno. Alzò il muso e lo girò verso la casa. Il Rosso, in piedi sul muretto, la teneva sott’occhio. I loro sguardi si incrociarono. Dal campo, due gatti si avventarono contro di lei e la costrinsero a fuggire.
Il Rosso la osservò saltare oltre il fosso che lambiva il bosco e sparire in una macchia di rovi. I due gatti passeggiarono nervosamente lungo la riva alcuni minuti prima di fare dietrofront e sdraiarsi all’ombra del grande faggio che cresceva in mezzo al campo. Assicuratosi che non ci fossero altri movimenti nelle vicinanze, saltò giù dal muretto e si diresse verso la casa, evitando le pozzanghere del vialetto. Aprì la porta senza far rumore, beandosi della frescura che i grossi muri di pietra mantenevano all’interno della stanza.
«Abbiamo avuto visite» con l’indice della mano destra il Nero indicò l’angolo più lontano della stanza.
«Non ha avuto nemmeno il tempo di gridare» costatò il Rosso non avendo sentito il minimo suono provenire dalla casa.
«Credeva che dormissi: è stato il suo primo errore.»
«E il secondo?»
«Mi ha scambiato per un cane» fece una smorfia di disappunto. «Un cane! Come se solo i cani possono starsene sdraiati davanti al fuoco di un camino.»
«I topi sono furbi, ma non sanno cogliere le sfumature. Non come i gatti» i baffi del Rosso si allungarono mentre sorrideva compiaciuto. Poi emise un sospiro. «Non potevi buttarlo fuori una volta eliminato? Deve venire sicuramente da una fogna: senti che puzza.»
«Certo che potevo» ammise il Nero. «Ma significava rivelare che il loro infiltrato era stato scoperto; in questo modo possono credere che il loro piano sta funzionando.»
«Un’astuzia degna di un lupo» il Rosso si sedette sulla poltrona dirimpetto a quella del Nero. «Sospettano che sia qui: una di loro gironzolava attorno alla casa.»
«Che aspetto aveva questa volta?»
«Una volpe» disse con nonchalance il Rosso. «Come se non fossimo capaci di accorgerci di un travestimento così mal fatto. Ci sarebbe da sentirsi offesi per come ci stanno sottovalutando.»
«Forse vogliono che pensiamo questo» il Nero incrociò le mani davanti al petto. «Forse fa tutto parte dei loro piani. In ogni caso, non fa alcuna differenza.»
«Quando pensi che agiranno?»
«Questa notte, quando il loro potere sarà più forte. Disponi i tuoi intorno alla casa. La sorveglianza deve essere massima.»
Il Rosso fece un cenno d’assenso. «E adesso aspettiamo.»
«E adesso aspettiamo» confermò il Nero.

Scrutò con attenzione l’area sottostante. Quattro gatti passeggiavano sopra il muretto di sassi, uno per lato, lanciando continue occhiate a destra e a sinistra, muovendosi silenziosi; altri quattro se ne stavano nascosti negli anfratti più bui del limitare del bosco, completamente immobili, gli occhi socchiusi ma vigili, per non rivelare la loro presenza.
Si sporse un poco in avanti per avere una visuale migliore della casa, dove la sorveglianza era più stretta: c’erano otto gatti, due per ogni angolo.
Con movimenti furtivi scese dall’albero. Strisciò in mezzo all’erba, evitando foglie e rami secchi. Si fermò vicino al muretto, scrutando la sua sommità; aspettò che il gatto che vi stava camminando sopra la superasse e poi vi si arrampicò sopra, scivolando rapidamente dall’altra parte. S’acquattò vicino a un basso cespuglio, osservando i movimenti dei gatti dinanzi a lei; con cautela prese ad avanzare, appiattendosi il più possibile contro il terreno. S’immobilizzò di scatto quando una cicala prese a frinire a poca distanza da lei; quattro paia d’occhi brillarono nell’oscurità, scrutando con attenzione il giardino. I minuti trascorsero lenti come se fossero ore; respirava appena, timorosa che il minimo movimento potesse farla scoprire. I gatti tornarono a portare la loro attenzione sulla porta e sulle finestre.
Con circospezione riprese ad avanzare, raggiungendo la parete della casa che non aveva nessuna apertura; vi si arrampicò sopra usando il tubo della grondaia per celare la sua presenza. Raggiunto il tetto, controllò che lì non ci fossero gatti. Assicuratasi d’essere sola, raggiunse il comignolo del camino: non un filo di fumo saliva da esso. Con circospezione lo toccò, sentendo che la pietra ormai era fredda. Scivolò al suo interno, procedendo nel buio più completo per un paio di metri. Sbirciò oltre il bordo dell’architrave: nella stanza non c’era nessuno. Raggiunse il pavimento, spostandosi rasente al muro per arrivare alla porta in fondo alla stanza. Lanciò un ultimo sguardo dietro di sé: c’erano solo la credenza e le due vecchie poltrone. Strisciò sotto la porta, ritrovandosi in un ambiente completamente avvolto dalle tenebre.
“È senza dubbio qui: solo lui può possedere una simile aura.”
Abbandonò le sembianze di lucertola, riassumendo quelle umane. Un cenno della mano e fece comparire una piccola sfera luminosa; con disappunto prese a spazzare via la fuliggine dai capelli biondi.
«Quello dev’essere l’ultimo dei tuoi pensieri» disse una voce alle sue spalle.
Si voltò di scatto, trovandosi dinanzi un uomo dai capelli rossi e uno dai capelli neri. “Non ho percepito la loro presenza…ma com’è possibile…” un sorriso si allargò sul suo viso “Sono dei semplici umani.”
L’uomo dai capelli rossi ricambiò il sorriso. «Oh, guarda Nero…pensa che siamo dei semplici umani.»
Il sorriso sparì dal volto della donna.
Il Nero si staccò dalla parete. «Non è più tempo di giocare al gatto col topo, Rosso.»
L’altro sospirò. «Peccato: era divertente. Almeno per noi» sorrise sornione. «Molto meno per te, strega.»
L’aria nella stanza ondeggiò. Le pareti oscillarono alcuni istanti prima di allontanarsi e innalzarsi; cancelli comparvero in esse, affacciandosi su stanze piene di lame e catene. L’ambiente assunse una cupa colorazione rossastra.
La strega fece un passo indietro, guardandosi attorno allibita. «Ma cosa…»
«Vedi, secoli fa qui sorgeva un castello, un luogo di violenza e tortura. Ora di esso e del suo sadico proprietario non rimane più nulla, ma certe cose lasciano un segno indelebile nel Mondo Spirituale, dando vita a vere e proprie piaghe. O inferni, come dite voi umani» spiegò con calma il Rosso.
La strega volse lo sguardo di nuovo su di loro, solo che al posto dei due uomini c’erano un gatto rosso e un lupo nero. Sbiancò di colpo. «Tu sei uno dei figli dello Spirito del Grande Lupo» deglutì a fatica la strega. «E tu…»
«Io sono un gatto» disse sornione il Rosso. «E tanto basta.»
«Quello che stai cercando non è qui; non lo è mai stato» intervenne il Nero. «Come altre della tua specie sei caduta nella nostra trappola. Come succederà ancora, dato che non avrai possibilità d’avvertire le tue simili.»
I cancelli alle pareti si aprirono. Un tintinnio metallico prese ad aleggiare nel lungo corridoio. Mani uncinate afferrarono le sbarre. Coltelli raschiarono le pareti.
«Sai, quello che anelano di più gli Spiriti è la carne» disse il Rosso prima di varcare l’apertura che il Nero aveva creato nella barriera tra il Mondo Materiale e quello Spirituale.
«Anche questa è fatta» il Rosso si stiracchiò assumendo di nuovo sembianze umane quando furono tornati nella stanza. Poi seguì il Nero fuori dalla casa, raggiungendo il centro del cortile dietro di essa; si fermarono a un paio di metri dalla quercia che vi cresceva. Il Nero volse lo sguardo al cielo: la luna stava per sorgere, la sua luce l’unica capace di dare una possibilità di fuga a quanto rinchiuso nell’albero. La corteccia si contorse, mentre un volto distorto dall’odio premeva contro di essa per uscire. Per ore il Demone mugghiò furioso nei suoi tentativi di fuga, facendo scricchiolò sinistramente il legno; poi tutto tacque quando la luna sparì oltre il bosco.
La quercia aveva resistito ancora una volta. Ma il volto del Demone rimase scolpito sul suo tronco.
Il Rosso e il Nero si scambiarono una lunga occhiata silenziosa, perché non c’era bisogno di parole per esprimere quello che provavano.
Quell’albero faceva davvero paura.

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