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Il Mercato dei Libri

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Dalla Fiera del Libro di Torino non giungono dati confortanti: c’è un calo nelle vendite dei libri, anche in quei settori che finora non ne avevano risentito.
Questa non è certo una novità: da tempo si parla di crisi dell’editoria. I fattori da prendere in considerazione sono diversi: chi perde il lavoro o è in cassa integrazione spende solo nel necessario, tagliando tutto ciò che non è strettamente legato alla sopravvivenza. Anche chi ha un lavoro, con il continuo crescere del costo della vita, deve effettuare dei tagli e i libri sono tra le cose che vengono tagliate. Se poi si considera che il popolo italiano non è un popolo di lettori, specialmente dopo un periodo dove si ha avuto una classe dirigenziale che ha tagliato sulla cultura, ritenendola superflua, disprezzando tutto ciò che è arte e spunto di riflessione, dando ampio spazio a reality di bassa qualità e intelligenza che ha condizionato il pensiero comune, il quadro è fatto.
Ma c’è anche un’altro fattore che influisce su questo stato delle cose ed è ben evidenziato dal pezzo dell’articolo Fuori catalogo scritto da Elisabetta Bonucci per il numero 5 di quest’anno di LiberEtà.

Finiti i tempi in cui a scegliere che cosa pubblicare erano personaggi come Croce, Pavese, Vittorini, Calvino, Ginzburg, a proporre le novità erano agenti letterari di fama internazionale come il celebre Linder.
Il mercato globalizzato sforna un profluvio di mediocrità creativa, ingessato in un linguaggio standard su cui invano si scagliano critici di valore. Raffaele La Capria nel suo Letteratura e salti mortali paragona il mercato librario d’oggi alle scatolette da mangiare che dà ai suoi gatti. «Sono talmente disgustati, poveri mici, di questo cibo confezionato – dice – che devo continuamente cambiarlo. Tacchino? No? Pesce atlantico o pacifico? Pollo? Neanche. Infine ,per risvegliare i loro veri istinti ho dato loro pesce fresco, filetto di vitello tagliato a pezzetti, alici di paranza. Niente, perfino quello schifavano. Niente di veramente naturale essi riconoscevano più. Capita la metafora? Anche il lettore medio, ormai assuefatto a confezioni letterarie d’ogni tipo, ma tutte artificiali, anzi industriali, non riconosce più la buona letteratura».

I grandi editori sembrano preoccuparsi più della confezione e distribuzione (cy-book, be-book, e-book) che del contenuto dei testi. Che fine faranno i libri? si chiede Francesco A. Cataluccio (Nottetempo, 6 euro), personaggio di grande esperienza editoriale, illustrando appunto le trasformazioni in corso nel mondo della lettura, la filiera produttiva, gli strumenti dell’offerta e della ricezione libraria. Bisognerà che passi qualche generazione per capire il destino del libro. L’ultima fiera per ragazzi tenuta nel marzo scorso a Bologna fa tuttavia sperare: bambini e giovanissimi. dai tre ai tredici anni, i nipotini di Gianni Rodari, sembrano ancora affezionati a pagine ben stampate e disegnate. Anche se le illustrazioni prevalgono oramai sulla scrittura, scivolando in eccessi pericolosi. Il topo Geronimo Stilton della Piemme invade e rosicchia. Ad esempio, i classici per l’infanzia con risultati discutibili. Tutti i famosi “ragazzi della via Paal” indossano la maschera di topi più o meno “geronimi”. Sono novità difficili da digerire anche se fanno vendere tanto, come i cibi in scatola per gatti.

Come sempre, c’è da riflettere. E’ vero che l’editore è un imprenditore e deve far utile, ma si deve ricordare che il libro non è un semplice prodotto, ha anche il compito di creare cultura: occorre un’etica che nella maggior parte delle pubblicazioni odierne risulta mancante. Non si può pensare solamente a far soldi e basta, a discapito della qualità: un modo di fare simile è un boomerang che ritorna indietro, perché si ha guadagno nell’immediato, ma si brucia il mercato per il futuro. Se il cliente, in questo caso il lettore, lo si tratta bene, con rispetto, continuerà ad acquistare; ma se lo si frega, lo si fa solo una volta e poi non lo si vedrà più.

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