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Galaverna

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Ci sono giorni d’inverno in cui la nebbia arriva come un’ondata di marea, turbinando veloce con le sue volute che sembrano bianchi cavalloni, insinuandosi tra le colline come se fosse un drago che le vuole afferrare tra le sue spire, coprendo di un velo d’umidità ogni cosa.

Un mare che con l’avvicinarsi della notte diventa gelato, rendendo la sua presa più stretta mentre s’avvia verso le ore più fredde che precedono l’alba.
Allo spuntare dei primi raggi del sole, un bianco paesaggio si stende davanti agli occhi; un paesaggio di candidi prati e colline che sembrano ricoperte di alberi di cristallo.


L’aria che si respira è pungente, ma nell’inalarla s’avverte la purezza della coltre che s’è posata sulla natura. Una purezza affilata, che racchiude una bellezza che ricorda il nord, con regioni lontane dove solo pochi uomini hanno posato piede su terre selvagge e ancora incontaminate. Per un attimo si può quasi avvertire l’eco di un richiamo distante, quel richiamo della foresta che sussurra un ritorno alla primordialità, a quando la vita era più semplice e intensa, dove si era parte di quella natura che ora quasi non ci si fa più caso, ci si dimentica, chiusi fra le quattro mura di palazzi con finestre che poggiano lo sguardo su grigi pareti e strade asfaltate, dove tutto è noto, niente è scoperta.
Una visione fugace che si fa sempre più lontana con l’incedere della giornata, che si liquefa come il leggero manto bianco quando il sole sale nel cielo a scaldare la temperatura, lasciando sui rami gocce lucenti, che fanno sembrare gli alberi addobbati di minuscoli brillanti.

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