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Essere il Migliore

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Che cosa significa essere il migliore?
Significa essere il più forte?
Questo non può essere vero, perché non c’è uno forte che non ne esista uno più forte, un continuo superarsi dato che questo è ciò che fa l’evoluzione: ciò che è l’apice oggi rimarrà indietro rispetto a ciò che sarà domani.
Significa essere il primo?
Anche questo può essere contestato, dato che alle volte la bravura non basta, spesso i meritevoli, coloro che hanno dimostrato capacità, si vedono superati da chi è stato aiutato dalle circostanze, dalle coincidenze, o, purtroppo, anche dalle raccomandazioni.
Significa essere perfetti?
No, perché la perfezione è soltanto un ideale che non troverà mai attuazione in mondi creati e dominati da regole. Ma forse un frammento di verità nel tendere verso qualcosa di così grande c’è: è un anelito che spinge a superare i limiti, qualcosa che pochi possono comprendere e che ancora meno possono intraprendere come cammino nella vita che hanno a disposizione.

Un fruscio sull’erba richiamò la sua attenzione. Tre praticanti, due ragazzi e una ragazza, stavano ritti davanti a lui.
Era la terza volta che li incontrava.
Li aveva visti festeggiare il passaggio di livello e affrontare una prova troppo ardua per la preparazione che avevano, per il puro gusto di essere umiliati. E ora lo stavano fissando.
«Buongiorno signore.» Lo salutò il ragazzo dai capelli castani.
«Le siamo di disturbo?» Aggiunse garbatamente la ragazza.
Il terzo membro rimase un po’ in disparte.
«Nessun disturbo, ma non importa che vi rivolgiate a me con tono formale: non siete di fronte al vostro tutore o a un superiore. Reinor basterà.»
Il ragazzo che aveva parlato dopo un attimo d’esitazione riprese la parola. «D’accordo Reinor. Noi vorremmo chiederle se…»
«Quando ho detto di non usare un tono formale, intendevo in tutti i sensi. Puoi rivolgerti a me alla stessa maniera con cui parleresti ai tuoi amici.» Lo interruppe l’Usufruitore.
«Ma c’è stato insegnato di dimostrare rispetto per i superiori di livello.» Precisò il ragazzo.
«Ti hanno insegnato bene, ma con me non è necessario: non sono un superiore e non ho cariche nell’ateneo. Sono qui per approfondire le mie conoscenze e sviluppare le capacità.» Puntualizzò Reinor.
«Per quello che dobbiamo chiedere lo è.» Sottolineò la ragazza.
«Spiegatemi la vostra richiesta.» Aveva già un’idea di quello che volevano.
«Vorremmo che c’insegnassi a usare il nostro Potere, a controllare le nostre discipline.» Questa volta a parlare era stato il ragazzo rimasto in disparte.
Nei suoi occhi Reinor vide un fuoco che riconobbe all’istante e seppe subito della volontà che li aveva spinti a fare quella richiesta.
«Vorremmo che fossi il nostro tutore e ci svelassi la via per aumentare le nostre capacità.»
«Sapete che ai giovani non è concessa la facoltà di scegliere la propria guida. E’ l’ateneo a sceglierlo e voi ne avete già uno.» Reinor ricordò la regola dell’istituzione.
«Lo sappiamo, ma è troppo poco quello che c’è dato; siamo limitati, sentiamo il bisogno di avere di più. Secondo il nostro tutore quello che ci viene insegnato è più che sufficiente e non vuole darci altro. Da ieri siamo però convinti che non è in grado di darcelo. Per questo ci rivolgiamo a te.» Spiegò rapidamente il giovane che aveva parlato per primo.
Reinor capì quel che volevano, avendolo già provato quando era giovane. «Comprendo la vostra richiesta, ma non posso accoglierla. Non sta a me prendere il posto di chi vi è stato assegnato. Vi posso solo dire di impegnarvi al massimo e non accontentarvi mai di quanto raggiunto: cercate sempre di spingervi oltre. Questa è la chiave di riuscita.»
«Non chiediamo niente di tutto questo.» Intervenne la ragazza. «Vorremmo se possibile che c’insegnassi nel tempo libero, al di fuori delle lezioni.»
«Perché fate questa richiesta proprio a me?»
Fu la ragazza a rispondere. «Non abbiamo mai visto nessuno usare il Potere in quella maniera; lo ha anche ammesso il nostro tutore ed è una cosa che non fa mai. Per questo ti riteniamo la persona adatta.»
«Non è la risposta giusta alla domanda. Perché fate questa richiesta a me?»
«Perché vogliamo diventare i migliori.» Fu il terzo membro del gruppetto a rispondere.
Nella sua voce Reinor non percepì alcuna incertezza.
«Sapete cosa state chiedendo?» Il suo sguardo indagatore non li lasciò un attimo. «Che cosa vi spinge a volerlo diventare?»
Il primo ragazzo che aveva parlato si schiarì la voce. «Vogliamo essere i migliori per dimostrare quello che valiamo veramente, per non avere più nessuno che possa ritenersi superiore a noi.»
«Per chi lo fate?» Proseguì Reinor deciso.
La domanda li spiazzò, inaspettata e incomprensibile.
«E’ una cosa personale.» Interloquì la giovane. «Lo facciamo per noi stessi.»
«Non è una motivazione sufficiente.» Spiegò con calma Reinor. «La difficoltà per conseguire questo stato è nel riuscire a sopportare il prezzo per il suo conseguimento; ed è un prezzo che può spezzare anche i più forti. Per questo come motivazione occorre qualcosa di più grande della soddisfazione personale, del senso di rivalsa o di te stesso. La motivazione deve essere qualcosa al di sopra di tutto, niente gli deve essere anteposta: tutto deve esservi sacrificare. Deve essere una dedizione speciale.» Si fermò osservando i ragazzi.
«Cosa intendi per sacrificare tutto?» Domandò il ragazzo dai capelli castani.
«Divertimenti, sentimenti, legami, gioie: qualsiasi cosa ostacoli l’obiettivo. Ci deve essere solo quello. Devi capire che ti sarà richiesto molto per perseguire questo scopo. Sarà una vita di sacrifici e non finirà mai perché ci saranno sempre sfide e limiti da superare: è questo il destino cui si va incontro se si vuole essere il migliore. Bisogna esseri pronto a percorrere questo cammino da soli perché nessuno potrà aiutare. Nessuno potrà capire le ragioni dell’intraprendere tale strada: quando sei o vuoi diventare il migliore sei in una dimensione lontana dall’ordinario, dalle sue ragioni, dai suoi bisogni. Sei come un falco: voli alto, al di sopra degli altri. Ti vedono, ma non possono conoscere i tuoi pensieri. E’ così che si diventa intraprendendo questa strada.»
I ragazzi erano turbati, la risposta avuta inaspettata.
Reinor seppe ciò che provavano: non erano molti quelli disposti a fare una tale scelta. «Siete sicuri di quello che chiedete?»
«E’ una scelta difficile.» Disse la ragazza. «E anche molto triste. Perché ci sono state delle persone che hanno preso questa decisione, sapendo qual era il prezzo da pagare? Ne erano consapevoli?»
«Lo erano.» Asserì con calma Reinor.
«E allora perché?» Continuò la ragazza non riuscendo a capire.
Sul volto dell’Usufruitore si dipinse una dolcezza che di solito non lo caratterizzava. «I motivi possono essere differenti. Per alcuni è l’unico modo di vivere, per altri è la loro natura, per altri ancora sono le circostanze a spingerli su questa strada. Come ho già detto, non lo fanno però per se stessi. Anche se non lo capiranno, o non lo ammetteranno quel che fanno è in favore degli altri: per essere una guida o un aiuto. Spesso sono pragmatici, appaiono estranei e insensibili, non si riesce a comprendere quel che fanno. A loro non interessa che la gente li capisca: si sono distaccati dalle cose del mondo, anche dalla comprensione. Sono pronti a tutto pur di raggiungere il fine.»
La rivelazione data aveva avuto un duro impatto sui tre: non erano pronti ad accettare quella verità. Non sarebbe stata la loro strada. Forse se n’erano resi conto anche e questo stava minando la loro sicurezza, quando ancora ne avevano poca.
«Tuttavia questo è un fatto che si rivela solo con il tempo: non è il caso di occuparsene adesso. Guardiamo al presente. Avete ragione sul fatto di volere di più da quello che vi è insegnato e sulla limitatezza dell’istruzione ricevuta. Occorre sopperire e cercare di migliorare le vostre capacità.» Non mancò di notare che in loro stava ricomparendo la voglia che aveva visto all’inizio dell’incontro. «Faremo così: domani, dopo le vostre attività quotidiane, ci ritroveremo all’arena, dove mi mostrerete le vostre capacità. Dopodiché vi darò dei suggerimenti per colmare lacune ed eliminare i difetti. V’insegnerò anche qualcosa di nuovo; poi vi consiglierò la lettura di volumi che riterrò adatti all’inclinazione mostrata. V’indicherò la direzione da prendere, ma toccherà a voi seguirla. Conoscete il detto “ sii l’unico maestro di te stesso?”» Aspettò che facessero cenno di sì. «E’ quello in cui credo e così insegno. E’ duro da seguire all’inizio, ma alla fine è quello che dà maggiori risultati. Vi sembrerà che vi lasci a voi stessi, ma imparerete a capire che vi sto aiutando. Vi può andare bene?»
I ragazzi erano raggianti, la durezza della scoperta avvenuta poc’anzi lasciata alle spalle, i pensieri già rivolti al domani. Reinor rinunciò a contare le volte in cui lo ringraziarono. S’avviarono agli alloggi pieni d’esultanza, lasciandolo di nuovo con i suoi pensieri. Sorrise mentre li vide allontanarsi a passo spedito, ridendo e scherzando, lieto per la loro spensieratezza.
I ragazzi si erano rivolti a lui in seguito alla dimostrazione avuta il giorno precedente e al discorso che aveva sentito proferito. La richiesta che gli avevano fatto era stata rivelatrice: volevano essere i migliori e consideravano che per esserlo occorressero gli insegnamenti del migliore. Per loro era lui.

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