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Cose che non fanno bene all'editoria.

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Innanzitutto la cura con cui viene realizzata un’opera, a partire dalla scelta della copertina: è il mezzo per attirare di primo acchito l’attenzione del lettore, il primo contatto con lui, ciò che serve per instaurare una connessione e comunicare il contenuto del libro. Un primo contatto che deve mantenere quanto comunica, dove il lettore si deve sentire rispettato, la sua intelligenza non offesa né presa in giro. Un esempio di cosa da non fare è quello della Mondatori con La Principessa di Landover, avendo messo in copertina l’immagine di un altro libro che non ha nulla d’attinente con la storia scritta da Terry Brooks (l’Artemide presente in Favole degli Dei di Paolo Barbieri): la protagonista, Mistaya, è un’adolescente con poteri magici, si può dire una strega, non una donna guerriera che usa arco e frecce. Stesso copione ripetuto con l’ultima edizione del ciclo di Gli Eredi di Shannara, sempre di Brooks, dove in copertina c’è un drago, quando nell’intera saga non fa la comparsa nessuna creatura di tale razza.
Questo è l’aspetto più immediato, ma il meno importante, dato che un libro va giudicato dal contenuto e non da come appare; più importante è la cura del testo e, quando si tratta di un romanzo di un autore straniero, della traduzione, che deve essere il più possibile vicina e coerente al testo originale (sempre eclatante il caso della Mondatori quando nella saga di Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco di Martin tradusse cervo con unicorno); non devono esserci refusi, errori di battitura. Certo, qualcuno può sempre sfuggire, possono essercene uno, due, non una decina come è capitato di leggere in Sopravvissuti di Richard K. Morgan pubblicato dalla Gargoyle.
Cosa ancora più importante su cui bisogna fare grande attenzione, che dimostra ancora maggior rispetto per i lettori, è la storia, il suo intreccio, come vengono sviluppati e caratterizzati i personaggi; per anni in ambito fantastico l’editoria italiana, specie pubblicando esordienti (Unika, Bryan di Boscoquieto, saga di Amon), ho dimostrato scarsa conoscenza del genere, sottovalutandolo e sottovalutando i lettori, ritenendo che chi legge questo genere non abbia grandi conoscenze letterarie, fosse un individuo a cui gli si poteva rifilare di tutto perché gli andava bene qualsiasi cosa, dato che a loro avviso non aveva i mezzi per distinguere cosa era valido e cosa di basso livello: un insulto all’intelligenza delle persone e un mancargli di rispetto.
Tutti elementi quelli elencati che non aiutano certo il settore editoriale, visto anche il periodo della crisi economica in cui ci si trova. Ma non è solo questo che non aiuta: ci sono anche le interviste e i comportamenti degli addetti ai lavori di questo settore e degli autori.
Un caso è quello di cui da mesi si sta parlando in rete, ovvero del fatto che Lara Manni sia uno pseudonimo di Loredana Lipperini; al momento sono solamente teorie, ma ci sono indizi, come riportato nell’articolo di Fantasy Magazine, che spingono a propendere per la veridicità di tale ipotesi. Senza contare che finora non ci sono state smentite, prese di posizione, da parte di nessuno, autrici e agenti.
Il punto della discussione non è, se l’ipotesi fosse vera, la scelta di Loredana Lipperini di pubblicare sotto pseudonimo, ma il modo in cui è stata sviluppata la vicenda. Se uno desidera non far conoscere la sua vera identità, rimanendo nell’anonimato, può farlo, così è soltanto l’opera che fa parlare di sé, tenendo al di fuori di tutto l’autore; non è corretto invece creare un’identità che non corrisponde alla realtà, facendo credere alle persone quello che non è vero. Si può creare una finzione, ma non una menzogna. Possono sembrare la stessa cosa, ma tra le due cose esiste una differenza sottile: perché non si può creare l’immagine di un’appassionata di fan writing che ha avuto il colpo di fortuna d’essere individuata da un agente noto nel settore e che l’ha subito lanciata con un casa editrice molto conosciuta che fra parentesi non prende in considerazione esordienti (tempo fa questo era quanto compariva sul sito della Feltrinelli), quando si è già nel giro dell’editoria, si è già conosciuti, con tutto quello che ne consegue. Se è vera la prima ipotesi dell’articolo di FM, ovvero Manni=Lipperini, quanto fatto finora è stata una presa in giro e mancanza di rispetto verso le persone che va a far danno, alimentando i complottisti che vedono la riuscita di pubblicazione solo per raccomandati e chi è dentro un certo giro: già l’editoria non se la sta passando bene con la crisi e con pubblicazioni discutibili, di bassa qualità, se ci si aggiunge questo, non gli si fa certo del bene. Se poi si aggiunge ancora che l’Italia ha l’etichetta del paese dei furbi, dove si va avanti grazie a spinte e conoscenze (nel grande come nel piccolo) e non per meritocrazia, non c’è da meravigliarsi che poi ci sono tanti maligni e spalatori di fango pronti sempre a colpire. Non è niente di positivo e dispiace che questo accada perché siamo sempre nel solito pantano. Di Lara Manni ho letto qualcosa e mi piaceva lo stile e l’approccio, ma se lei è Loredana Lipperini che voleva perseguire una strada diversa da quella che l’ha fatta conoscere e voleva restare anonima non doveva esporsi in questa maniera: si tratta di coerenza. O ci si espone in prima persona e ci si mette la faccia con tutti i pro e contro, oppure se si segue la via dello pseudonimo l’unica cosa che si deve sapere dell’autore è che ha scritto il tal libro e basta.
Per colpa delle scelte di alcuni, poi ci vanno a rimettere anche altri. Continuando così, le cose in questo paese non miglioreranno mai.

4 comments to Cose che non fanno bene all’editoria

  • Che dire, sono totalmente d’accordo.
    E alle copertine che non c’entrano niente e alle traduzioni sbagliati, aggiungerei anche la traduzione del titolo stesso del libro, per i libri stranieri pubblicati in Italia.

    Nei mesi scorsi ho scoperto con orrore che “Prince of thorns” di Lawrence (titolo che ha una motivazione validissima, essendo le spine ciò che ha salvato la vita al principino quando madre e fratelli sono stati selvaggiamente uccisi, marchiandolo fisicamente e mentalmente in maniera indelebile… e principe di spine può anche essere visto, in seguito, per il suo carattere, per la sua pericolosità, letalità) è diventato “Il principe dei fulmini”.
    Che non c’entra assolutamente niente con la storia.

    Lasciamo perdere poi Manni\Lipperini, anche qui sono d’accordo con te (con l’aggravante che a quanto ho letto in rete, pare che la Lipperini abbia consigliato i libri della Manni. Fosse vero, questo sarebbe gravissimo secondo me…

    • Mi ricordo di Il Principe dei Fulmini: una traduzione che travisa completamente il significato.

      Se quanto dici fosse vero, la questione sarebbe ancora peggiore.

  • Sai che volevo chiedertelo via mail cosa tu pensassi del caso Lippa/Manni? Perché anche tu commentavi sul blog di “Lara”. E dato che il bollino siae mette la parola definitiva sul caso (quindi la Lara a cui noi ci rivolgevamo non è mai esistita), io ci sono rimasta male.

    • Non mi aspettavo una cosa simile: non mi interessava sapere del perché la scrittrice non volesse apparire in pubblico, rispettavo la sua scelta; m’interessava lo scambio che si aveva sul blog in ambito letterario, c’erano spunti interessanti e anche dritte su libri da leggere.
      I fatti avvenuti dopo hanno cambiato la visione delle cose, visto che reputo il rispetto una questione importante.

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