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Attaccamento

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L’attaccamento appartiene a una famiglia rognosa di bestie e ce ne sono di diverse specie.
C’è l’attaccamento verso le persone, verso un certo tipo di pensiero, verso il passato.
E c’è l’attaccamento per la roba, come Verga ha ben mostrato in Mastro Don Gesualdo. Un atteggiamento che calpesta qualsiasi valore, sentimento, dove il possesso delle cose materiali è posto al di sopra di tutto: nessun legame di sangue, nessuna dignità viene rispettata; un sacrificare ogni affetto a ragioni strettamente economiche che alla fine fa ritrovare schiacciati e sconfitti dall’aridità di cui ci si è circondati.
Verga ha realizzato una disamina lucida e cruda di questo aspetto della realtà; non per nulla è quanto si prefigge il Verismo.
Naturalmente questo movimento non ha scoperto nulla di nuovo, dato che si tratta di atteggiamenti da sempre presenti nella razza umana: lo è stato nel passato, lo è nel presente. Questa Era dell’Economia ha ampiamente dimostrato come per il profitto, il guadagno, l’accumulare e l’appropriarsi di ricchezze abbia creato un sistema arido che lascia in mano soltanto un vuoto, una disperazione, un voler inutilmente rimediare quando non è più possibile come succede a Mastro Don Gesualdo, che in punto di morte cerca di riscattare il lato umano dei sentimenti che per tutta la vita non ha fatto altro che mettere da parte. In questo caso è stata l’età a spegnere la fiamma della vita del protagonista del romanzo di Verga, ma se non si fa attenzione l’attaccamento fa andare incontro a cose spiacevoli, alle volte anche la morte.
Il problema con l’attaccamento è che gli individui s’identificano nel possesso delle cose, come se fossero esse a rendere più di valore la vita che vivono, a renderli delle persone migliori. Ma le persone non sono le cose che possiedono; come è scritto anche nel Vangelo, “Che cosa è più grande, l’offerta o l’altare che rende sacra l’offerta?” (Matteo 23, 19). Ovvero, le cose sono importanti perché sono le persone a renderle tali, perché senza le persone sarebbero niente. Quindi, ciò che è di valore è l’individuo, la vita che possiede e il modo in cui decide di viverla; il resto è solo un optional.

Mentre erano gettate le ultime palate di terra, quattro figure al riparo dei ruderi erano riunite per prendere una decisione.
«Prima o poi le fiamme si estingueranno e avremo di nuovo addosso quelle furie: dobbiamo muoverci ad abbandonare questo posto.» Disse Reinor appoggiato a una ruota con il rostro spezzato.
«Spero che quando dici noi ti riferisca ai qui presenti e basta.» Periin stava ripulendo le spade dal sangue delle bestie uccise. «Quelli là non abbandoneranno le merci, cercheranno di salvarne quante più possibili: questo li rallenterà, rendendoli un bersaglio facile.»
«E’ comprensibile il loro comportamento: lì c’è la loro vita, tutto quello che hanno creato.» Ariarn osservava gli ultimi mercanti che si allontanavano dalle fosse.
«Se lo faranno non avranno alcuna possibilità.» Ribatté freddamente Periin.
«Allora li lasciamo morire senza fare niente?» Sbottò Lerida.
Periin liquidò con un’occhiata il suo intervento, facendola inviperire.
“Tra i due non scorreva buon sangue.” Osservò Reinor dalla sua posizione. “Se li lasciamo fare, la discussione rischia di andare per le lunghe.”
Ariarn fu più veloce di lui a intervenire. «Certo che no: troveremo il modo di convincerli.»
«Non c’è modo di convincere un mercante quando si tratta della sua merce.» Fu la replica stroncante di Periin.
«Non c’è bisogno di convincerli.» Intervenne Reinor. «Basta che non abbiano niente che li tenga legati.»
«Impossibile.» Commentò scettico Periin.
«No, se si elimina il pomo della discordia.»
L’espressione di Ariarn si fece pensierosa. «Sarà dura da accettare.»
«Ma saranno ancora vivi. Ho un amico mercante: so quant’è dura ragionare con gente simile su questo punto. Se è l’unico modo di dargli la possibilità di salvarsi, non esiterò a metterlo in pratica.» Disse Reinor senza esitazione.
Lerida posò lo sguardo su ognuno di loro. «Non capisco.»
«Vuole distruggere le merci.» Spiegò semplicemente Periin.
La donna rimase senza parole di fronte alla drastica soluzione.
«Andrò a parlare con loro.» Sentenziò Ariarn. «Non possiamo aspettare oltre, dobbiamo sfruttare la presenza delle fiamme per muoverci: avremo una certa protezione per arrivare a Womb Rendin.»
Periin osservò il compagno allontanarsi. «Un buon piano se non finiremo arrostiti.» Aggiunse prima di seguirlo.
Reinor e Lerida rimasero soli.
Era la prima volta che vedeva un Usufruitore all’opera, rimanendone intimorita. Ora era anche spaventata dalla sua determinazione, incurante delle ripercussioni e del prezzo da pagare per le proprie decisioni. Provava timore eppure avvertiva anche ammirazione: avrebbe voluto una parte del suo carattere.
«Lo farai davvero?» Chiese a bassa voce temendo di seccarlo. «Non hai paura del loro giudizio?»»
«Se mi fossi preoccupato del giudizio altrui sarei sempre rimasto fermo.»
Lerida provò lo stesso disagio di quando parlava con Periin e se ne andò, raggiungendo gli altri due.
Malgrado i pazienti sforzi di Ariarn, la posizione dei mercanti non si smosse. Decisi a salvare quanto più possibile, si ostinavano a non voler sentire ragioni. Periin se ne stava in disparte, senza intervenire nella questione.
Lo stallo tra le parti fu rotto dalle grida d’alcuni membri della carovana, quando si accorsero che il fuoco aveva raggiunto i resti dei carri e li stava consumando.
Tutti si lanciarono a soffocare l’incendio. Il forte calore ricacciò indietro gli uomini. Le fiamme dilagarono con estrema velocità, avvolgendo tutto in un gigantesco falò.
Agli inermi mercanti non restò che osservare il lento consumarsi di ciò che avevano avuto. Sconvolti dall’ennesimo colpo del destino, alcuni tentarono di gettarsi nel rogo nel disperato tentativo di salvare i loro averi, fermati dai compagni che gli risparmiarono una fine atroce.
Rattrappita da un senso di vuoto incolmabile, la gente prese ad allontanarsi. Diverse paia d’occhi passarono sul gruppetto che non apparteneva alla carovana, indugiando su una figura in particolare. Un brusio prese a serpeggiare tra i mercanti, un passaparola che si diffuse con gran rapidità. Occhiate cupe saettarono nella stessa direzione. Le semplici proteste si mutarono in invettive cariche di rabbia.
Reinor lasciò che gli insulti rimbalzassero sulla corazza che anni di disciplina avevano forgiato.
L’odio cominciò a varcare il limite e mani cominciarono a stringersi a pugno.
Periin si pose davanti dalla massa urlante.
«Cosa volete?»
Le voci si accavallarono una sull’altra, come cavallette impazzite.
«Dobbiamo fargliela pagare!» Si levò più forte l’urlo di un uomo.
Tutti sottolinearono con alte grida l’idea.
«Per quale motivo?» Li fronteggiò Periin.
Un vecchio dalla barba bianca si fece avanti. «Ha distrutto i nostri beni! Per colpa sua non abbiamo più nulla!»
«Non avete prove che sia causa sua quanto è accaduto.» Disse con calma Periin
La piccola folla esplose.
«Prove? Non è stato lui a incendiare la piana? Lui ha creato il fuoco ed è questo che ci ha portato via quanto avevamo! Senza di lui nulla sarebbe andato distrutto.»
Periin si portò più vicino ai mercanti. «Sareste morti senza il suo intervento, idioti. Siete così accecati dalla roba che possedete che non vedete oltre il vostro naso.» Le parole erano prive di compassione. «Vi state commiserando come se fosse finito il mondo. Imbecilli, se siete ancora vivi potrete ancora vendere delle merci. Chiedete ai vostri amici laggiù se possono dire lo stesso.» Indicò le tombe. «Avreste meritato di fare la stessa fine.» Accompagnò il discorso appoggiando le mani sull’elsa delle spade.
Nonostante la vicinanza delle fiamme, sugli animi scese un gelo penetrante.
Periin non si curò più di loro, seccato da quella storia. Era partito da solo e si era ritrovato a far da balia a una donna convinta che da lei dipendeva il destino del mondo, un uomo pronto a sacrificarsi per chiunque e infine un branco d’incapaci che sarebbero morti per qualche carabattola.
Balzò in sella al cavallo, rivolgendosi ad Ariarn. «Troverò un passaggio tra le fiamme. Chi vorrà seguirmi può farlo; gli altri possono restare a morire.» Partì al trotto senza aspettare nessuno.
Ariarn, seguito da Lerida, andò a liberare i cavalli ancora imbrigliati nelle imbracature dei carri.
Reinor rimase al limitare della zona ancora verde, attento a un’eventuale, quanto improbabile, attacco dei mercanti.
«Dobbiamo muoverci.» Disse Ariarn quando furono pronti con le cavalcature. «L’incendio si sta estinguendo e se questo agevola il passaggio, dall’altro ci priva della protezione dalle bestie.»
Reinor e Lerida, saliti sui cavalli, si avviarono nella direzione di Periin. I mercanti si fissarono l’un l’altro indecisi; più di una testa si voltò a guardare gli ultimi guizzi della pira delle loro merci.
Ariarn provò compassione per loro. «Non c’è più nulla che vi trattenga qui. Siete ancora vivi e, anche se con fatica, potrete ricominciare: è questo quel che conta.» Con un gesto della mano li invitò a seguirlo, avviandosi alla loro testa.

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