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Reinor. Sottoterra. Parte 5

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Restò piacevolmente sorpreso quando li ritrovò raggruppati nell’attesa di un suo segnale.
“C’è ancora qualcosa che va per il verso giusto” costatò, senza però poter andare oltre questo pensiero.
Un bambino si accoccolò a terra, tenendosi la testa tra le mani e cominciando a piagnucolare. Subito la madre gli fu vicino, prendendolo tra le braccia e consolandolo.
«Mi fa male la testa» gemette il piccolo.
Altri si piegarono sulle ginocchia, riempiendo la caverna di lamenti.
“Un attacco mentale” intuì Reinor, prima d’essere investito da un’ondata di dolore. Una vampata bruciante s’irradiò dalla nuca, espandendosi con mostruosa efficienza al resto del capo. I margini del mondo si fecero annacquati e tremolanti, mentre la forza dell’attacco lo spingeva sempre più verso il terreno, facendolo vacillare a ogni passo. Ma più penetranti del dolore furono le grida di donne e bambini. Una furia a lungo celata lo travolse. “I bambini non devono vivere simili esperienze, non devono soffrire in questa maniera.” Mosse gli occhi alla ricerca delle creature.
Una cinquantina di metri sopra di loro, su un cornicione di pietra dove la volta si alzava, una dozzina di creature perpetrava l’attacco invisibile. Musi privi di mandibola osservavano inespressivi gli umani sofferenti.
Un arco incandescente sgretolò la roccia sotto le zampe d’insetto. Senza emettere un verso, gli esseri formica precipitarono al suolo, seppelliti sotto il peso delle pietre che li seguirono nella caduta.
Le grida si attenuarono, lasciando il posto a tremolanti singhiozzi. Le persone si guardarono spaurite, scuotendosi dall’intontimento quando la marea rossa sciamò dietro di loro.
Reinor si staccò dal gruppo colpendo senza posa.
La terra esplose in più punti, sollevando pietre e le creature che avevano la sfortuna di calpestarla. La formazione compatta che si era riversata nella grotta fu spazzata via.
Lo scontro, repentino com’era cominciato, terminò. Gli esseri formica restarono fermi, in attesa. Lo schieramento si divise in due: dalle retrovie emerse una figura che sovrastava le altre di almeno una testa. Il portamento, la corporatura più massiccia, il colore rossastro: tutto in lui sottolineava che non era come le altre creature. Occhi neri come un pozzo puntarono sull’Usufruitore.
“Un altro nemico da abbattere.” Le braccia di Reinor si protesero in avanti di scatto, lanciando strali di luce incandescente. L’essere barcollò leggermente, il fumo che si dissipava dai semplici graffi che avevano segnato il carapace rossastro, e poi prese ad avanzare con passi aggraziati, delicati.
Reinor attaccò di nuovo e con un’agilità impensabile la creatura evitò la sua raffica di dardi energetici, arrivandogli addosso in un batter d’occhio. Un arto scattò verso la gola, gli artigli che affondavano nella carne.
Gli occhi della creatura si dilatarono per la sorpresa quando l’uomo tremolò fino a scomparire, riapparendo a un metro di distanza. Un dolore straziante esplose all’altezza del petto, mentre pezzi di se stesso volavano in aria.
Gli artigli fendettero l’aria in un attacco veloce e potente: questa volta non c’erano illusioni a eludere il colpo. Un’altra artigliata s’abbatté sull’uomo, ma senza successo. Prevedendo che il colpo sarebbe stato evitato, la creatura si buttò in avanti prendendo in pieno l’uomo con il suo carapace e buttandolo a terra.
Un’esplosione di luce afferrò l’essere formica scagliandolo lontano. Protetto dallo schermo eretto nello stesso istante in cui aveva lanciato il contrattacco, Reinor prese ad avanzare.
La creatura era prona a poca distanza da lui come un cavallo cui era stata spezzata la spina dorsale. Negli occhi neri come il carbone c’era dolore e sofferenza, nei loro guizzi repentini la ricerca di una via di fuga e la muta richiesta di un soccorso.
La furia che si era impadronita di Reinor s’allentò, lasciando posto a un moto di compassione.
“Chi combatte è la causa della morte di un altro, ma non c’è vergogna nel provare pietà per la vita di un nemico che si spegne. Solo un morto può uccidere a sangue freddo e con la tranquillità nel cuore.” Vedendo la distruzione che aveva generato, non poté provare un senso di disgusto e d’ineluttabilità. “Alle volte si deve agire diversamente da ciò che si vuole. Come succede ai burattini.”
Con uno scatto impensabile per un ferito, l’essere formica si rialzò, ghermendogli la gola e sollevandolo da terra.
“È questa la risposta alla pietà?”
Un lampo saettò dalla mano protesa in avanti: un leggero sfrigolio, l’odore di carne bruciata e fu di nuovo libero.
Alla creatura restava solamente una delle due chele della bocca, l’altra asportata insieme a buona parte del lato destro del muso. Un occhio penzolava inerme sul bianco osso che faceva capolino tra il rossastro del carapace e il rosso cupo del sangue che scorreva copioso.
L’essere formica si lanciò in una carica forsennata. Reinor evitò con facilità il mulinello scomposto d’artigli, rilasciando dalle mani il Potere e mandando il nemico a ruzzolare lontano.
L’essere si rialzò barcollante, la mascella dilaniata trasformata in un ghigno di sfida. A un suo ordine mentale lo schieramento di creature si riversò sul campo dello scontro, pronto a travolgere l’Usufruitore.
I contendenti si fermarono all’improvviso in ascolto, attirati da un’interferenza che non poterono ignorare.
Il tipico zampettare delle creature prese a farsi sentire nuovamente. Reinor alzò lo sguardo e fu colto da un brivido: migliaia di esseri formica stavano scendendo da aperture del soffitto della grotta. Le pareti assunsero una colorazione rossastra, ricoperte fino a non lasciare un solo sprazzo di pietra spoglio. La legione si asserragliò attorno a loro in un anello impossibile da spezzare.
Nonostante la situazione apparisse disperata, Reinor ebbe la sensazione che gli eventi stessero prendendo una piega diversa da quella che appariva.
Le creature con le quali aveva lottato si erano raccolte in formazione serrata: nei loro occhi lesse timore. Non era l’atteggiamento che si aveva all’arrivo di rinforzi.
Ci fu un movimento tra le fila dei nuovi venuti: la nuova schiera si aprì, permettendo la comparsa di quattro figure uguali in tutto e per tutto a quella che aveva fronteggiato. Con incedere marziale si portarono davanti alla macera figura, allineandosi in una rigida postura.
“Capitano Wheidarnix” comunicò mentalmente uno degli esseri con striature nere che intarsiavano la fronte “secondo la legge del nostro popolo e la volontà della regina, tu e tutti quelli che ti hanno seguito dovete rientrare nei confini della nostra nazione, con esecuzione immediata dell’ordine. Sarai sottoposto a giudizio. Sei pronto ad accettarlo?”
Gli uomini e le donne alle spalle di Reinor stavano in un’attesa logorante, non potendo sapere quanto stava accadendo. Gli fece cenno di mantenere la calma.
“No” fu la risposta mentale data.
“Capitano Wheidarnix, comprendi la gravità della tua scelta? Stai infrangendo la legge e andando contro la volontà della regina.”
“Conosco la legge: non l’ho infranta, come non sono venuto meno alla volontà della regina; le mie azioni sono rivolte all’adempimento di quanto lei desidera. Non posso essere considerato un trasgressore. Quindi non posso essere punito.”
“Hai deciso dunque di non rispettare l’ordine?”
“Sì.”
“Quanto stai facendo è alto tradimento. Ritratta le tue parole finché sei in tempo.”
“Non lo farò. Se necessario, in questo luogo scorrerà il sangue del nostro popolo.”
Reinor percepì una forte tensione tra le file delle creature. Muti sussurri carichi di preoccupazione furono scambiati nel linguaggio telepatico.
“Riesci a prevedere le conseguenze del tuo atto? Accetta il giudizio emesso. Accetta la volontà della regina.”
“Vieni a dirmi di accettare la sua volontà, quando la sto già eseguendo?”
“Come puoi affermarlo?”
“La volontà della regina è creare un grande regno, dare lustro al nostro popolo. Siamo esseri evoluti, superiori a molte altre razze, come questi rozzi bipedi. È giusto che ci servano; reclutandoli non ho fatto niente che andasse contro la legge.”
“Non c’è differenza tra reclutare e schiavizzare secondo queste creature” pensò Reinor. “Probabilmente non conoscono neanche il concetto di schiavitù.”
“Non è il modo in cui lei vuole sia messa in atto” sentenziò il nuovo arrivato. “Tu e coloro che ti hanno seguito dovete consegnarvi.” Il tono non accettava repliche.
Il ribelle indietreggiò, portandosi nei pressi del suo contingente. I suoi soldati gli si strinsero attorno come una corazza.
Lo scontro ormai era inevitabile. “Il diversivo che ci serve per metterci in salvo.”
Un’intimazione più forte del ritmico calpestio immobilizzò tutti quanti.
“Fermatevi immediatamente!” ordinò una voce imperiosa che risuonò solamente nelle menti delle creature e di Reinor. Gli uomini continuarono a non sentire nulla, guardandosi attorno sempre più perplessi e impauriti.
Non permetterò che il sangue dei miei figli scorra per mano del proprio fratello.”
All’unisono tutte le creature s’inginocchiarono: un paio delle zampe anteriori si piegarono completamente, mentre quelle posteriori si flessero leggermente con l’acuminato pungiglione che faceva bella mostra di sé. Il tronco del corpo, costretto a seguire la postura della posa, era inclinato in avanti con il muso reclinato sul petto coriaceo.
“Miei fedeli capitani, avete adempiuto al vostro dovere. Ora ritiratevi, finché non avrò bisogno di nuovo di voi.”
“Come comandi, regina” risposero all’unisono le quattro figure allineate poco distante da Reinor.
“Quanto a te, capitano ribelle” continuò con durezza la voce “tornerai immediatamente, senza creare altri problemi. Perché è questa la mia volontà.”
“Mia regina, io ho sempre seguito la tua volontà…”
L’interruzione giunse immediata. “Non un’altra parola, capitano.” Nella voce si percepiva un’ira a stento celata. “Non riesci a capire gli effetti della tua accecata obbedienza? Non riesci a comprendere che la sopravvivenza del nostro popolo dipende dalla segretezza della nostra esistenza e da come sia ignorata dalle altre razze? Hai rischiato di far scoppiare una guerra con gli abitanti della superficie; una guerra che non possiamo vincere.”
“Mia regina, non sottovalutare il tuo popolo. Le abilità di questi esseri non sono pari…”
“Sono molti più di noi: questo è sufficiente per essere schiacciati. Inoltre, in questa razza esistono individui che non sono privi d’abilità come tu affermi. Ne hai incontrato uno ed è bastato a fermare uno dei nostri battaglioni.” Sottolineò l’ultima frase con forza. “Non rischierò una guerra che non porterà nulla di buono al popolo. Tu e coloro che ti hanno seguito tornerete alla città alveare. Seguirai gli altri capitani e che non debba più intervenire per far rispettare un mio ordine.” L’ultima frase fece presagire conseguenze pesanti per chi avesse trasgredito.
La stretta cerchia si aprì, lasciando un varco davanti al tunnel dal quale erano passati gli umani. I ribelli lasciarono il campo in formazione compatta e ordinata. Quando l’ultima fila scomparve nella tenebra della galleria, un numeroso distaccamento dei nuovi arrivati li seguì.
Al capitano Wheidarnix, rimasto solo, non rimase che incamminarsi a sua volta; ma prima di andarsene, lanciò un’ultima occhiata agli umani, soffermandosi per qualche istante su Reinor. Con zoppicante incedere, sparì nell’oscurità.
I restanti esseri formica si occuparono dei caduti, trascinandoli verso il luogo d’origine.
Presto nella grande caverna ci furono solo i fuggitivi umani e un gruppetto di retroguardia delle strane creature. Uno dei due comandanti rimasti comunicò con Reinor. “Andate creature della superficie, senza temere più nulla dal nostro popolo.”
Poi anche lui, con il resto del seguito, se ne andò.
La gente, muta fino ad allora, d’incanto riacquistò l’uso della parola. «Che è successo?» era la domanda che pioveva da tutte le parti.
«È finita.»
Chi erano quegli esseri? Cosa volevano? Come mai si sono intromessi?
Troppo domande cui rispondere e nessuna voglia di farlo.
Torneranno? Ci daranno di nuovo la caccia?
«Non vi daranno più fastidio.»
Come fai a esserne sicuro? Ci puoi assicurare che niente di questo si ripeterà? Come…
Affrettando il passo s’allontanò dalle tormentose domande. Presto raggiunsero la buca nella quale si era calato per cercarli.
Finalmente furono fuori, lasciandosi alle spalle la stantia aria del sottosuolo, accolti da una fresca brezza e uno scintillante cielo stellato. Nei campi cominciarono a sentirsi calorose pacche sulle spalle, sommesse preghiere di ringraziamento e qualche singhiozzo di commozione.
In disparte dal gruppo, Reinor guardò a oriente la tonalità più chiara del blu della notte, beandosi della brezza. Un rumore di passi lo informò che qualcuno si stava avvicinando.
«Non ho mai visto delle stelle così luminose» esordì Tgwaren quando gli fu appresso. «Non avrei creduto di apprezzare così tanto la bellezza della notte né di ritenerla così preziosa. L’ho sempre data per scontata; non ho mai pensato un giorno di rischiare di non vederla più» disse spaziando lo sguardo tutto intorno. «Reinor, ti siamo debitori, ti dobbiamo tutto. Non potremo mai ringraziarti abbastanza…qualsiasi cosa tu chieda, noi…»
Reinor gli appoggiò una mano sulla spalla. «Siamo stanchi e abbiamo bisogno di riposo. Affronteremo domani questa discussione.» Tagliò corto avviandosi verso il villaggio. «Consiglio anche a voi d’andare a dormire; sarete molto impegnati a dare spiegazioni.»

L’accampamento era avvolto nel sonno, i fuochi spenti da tempo. Cercando di limitare al minimo ogni rumore, Reinor salì sul carro e si sdraiò nel posto riservatogli per dormire, spiegando la coperta e avvolgendosi in essa. Nelle vicinanze sentì un corpo girarsi.
«Dove sei stato tutto questo tempo? Sono due giorni che non ti si vede.» Dal fondo del carro giunse la voce di mastro Cander.
«Ho fatto un’escursione nei dintorni» rispose semplicemente.
«Sei tornato in tempo. I lavori di riparazione sono terminati: si parte all’alba. Se avessi tardato, avresti dovuto trovarti un altro passaggio» terminò il mercante tornando a dormire.
All’ora prestabilita la carovana riprese il viaggio.
Reinor non s’accorse della partenza, immerso in un profondo sonno ristoratore.