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L’incolore Tazaki Tsukuru e i suoi anni di pellegrinaggio

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L’incolore Tazaki Tsukuru e i suoi anni di pellegrinaggioL’incolore Tazaki Tsukuru e i suoi anni di pellegrinaggio è un romanzo di Haruki Murakami del 2013. Innanzitutto occorre comprendere la scelta di usare questo titolo per il libro. Con gli “anni di pellegrinaggio” non s’intende il girovagare del protagonista, ma è il titolo di una serie di tre suites per piano solo composte da Franz Liszt che vengono spesso ascoltate da Tsukuru, a cui è molto legato, che gli ricordano un particolare periodo della sua vita che non è mai riuscito a dimenticare e che l’ha profondamente segnato; si può dire che è la colonna sonora della sua vita, la musica che ben rappresenta il suo modo di vivere e l’atmosfera che sempre l’ha pervasa. “L’incolore Tazaki Tsukuru” gioca sul fatto che nel gruppo di amici di cui Tsukuru faceva parte ai tempi del liceo, lui era l’unico che non aveva un colore nel proprio nome; per capire cosa s’intende occorre capire un poco la lingua giapponese e il significato degli ideogrammi che la compongono. Akamatsu, Oumi, Shirame e Kurono: ognuno di loro aveva un colore nel nome e i loro soprannomi erano la forma tronca degli aggettivi akai, aoi, shiroi e kuroi che significano rosso, blu, bianco, nero (come spiega la nota a pag.7 del romanzo). Aka, Ao, Shiro e Kuro prendevano alle volte in giro bonariamente Tsukuru per questa cosa (il suo nome è scritto con l’ideogramma “costruire”), senza cattiveria, ma il non avere un colore nel nome gli dava una certa sensazione di estraneità al gruppo.
Come dice Tsukuru, non esiste nessuna relazione tra il carattere di una persona e il nome che porta, eppure leggendo il romanzo si capisce che i nomi hanno un’importanza più rilevante di quel che si può pensare e in un certo modo rivelano il carattere dei personaggi. Aka è esuberante, estroverso, sportivo, quello che più si mette in mostra, che trascina: elementi ben associati al colore rosso. Ao è più riflessivo, ponderato, attento a osservare le cose, come suggerisce il colore blu. Shiro, legata al bianco, è per la purezza, ma in Giappone il bianco è legato alla morte, al lutto. Kuro, amica intima di Shiro, si può dire che è il suo opposto e insieme vanno a formare il simbolo tanto famoso del Tao: lei ha il colore della notte, profondo, misterioso, in cui si celano segreti e misteri. Tuskuru, che come visto ha l’ideogramma “costruire”, progetta e realizza stazioni ferroviarie, sua passione da sempre: è lì che va quando ha bisogno di pensare, di chiarire le idee, di calmarsi: gli piace osservare l’andare e il venire delle persone e dei treni. In fondo, lui è come una stazione: un punto fermo, statico, che non cambia, quello dove la gente si ferma per un po’ prima di ripartire. Anche se inconsciamente, è così che lui si sente:  un qualcosa dove la gente che lo frequenta vi si ferma per un po’ per poi andarsene. Lui ritiene che questa avvenga perché vuoto, perché non ha niente da dare. Ma avviene anche perché non si espone mai troppo, per non farsi coinvolgere emotivamente e così poter essere ferito: un comportamento sorto dopo un’esperienza del passato che l’ha profondamente segnato, facendo cadere per mesi in depressione e a fargli pensare seriamente alla morte. Dopo una simile esperienza non è più stato lo stesso e solo a trentasei anni, spinto da Sara, la ragazza che sta frequentando, è costretto ad affrontare quella questione a lungo irrisolta del suo passato. Un trauma nato nel secondo anno d’università: per seguire gli studi che gli avrebbero poi permesso di progettare stazioni ferroviarie, si era trasferito a Tokyo, lasciando Nagoya, dove era rimasto il gruppo di amici cui era fortemente legato. Nonostante la distanza, il legame era perdurato, fino a quando, di punto in bianco, gli altri quattro decidono di non voler più avere a che fare con lui. Nessuna spiegazione è data. Talmente è forte è lo choc che nessuna spiegazione è richiesta; purtroppo questa è una cosa che quando si è giovani si fa: se la ferita è profonda, si rimane inermi, non si reagisce, non si cerca di capire le ragioni di certe scelte. Ma è una cosa che ci si porta dietro per anni, rimanendone condizionati.

Murakami con il suo stile delicato accompagna il lettore in un viaggio di scoperta, per ritrovare se stessi e far chiarezza su questioni irrisolte. Un viaggio pieno di malinconia per incomprensioni, cose perdute, per cose che passano, cambiano e non potranno più tornare; un viaggio che mostra come crescendo tante cose ritenute importanti quando si è giovani, specie gli ideali, i legami con le persone, cambiano e si perdono, anche se sono stati forti e importanti. Un viaggio malinconico come lo è Le mal du pays, brano appartenente ad “Anni di pellegrinaggio”, ma anche liberatorio, che aiuta a risanare, come scopre Tsukuru quando uno a uno rincontra gli amici del gruppo cui era tanto legato e scopre la verità che ha portato al suo allontanamento. Una verità choccante, che sembra assurda per come si è verificata, ma che avanzando nella scoperta mostra la complessità dell’anima umano e dei suoi lati oscuri, di cui spesso s’ignora l’esistenza e che se non si viene a patti con essi possono distruggere, sia se stessi, sia gli altri.
L’incolore Tazaki Tsukuru e i suoi anni di pellegrinaggio è un romanzo molto denso e toccante, struggente e delicato; come in altre opere di Murakami, l’elemento onirico è presente e sottilmente s’insinua nella trama, lasciando la sua impronta in modo misterioso e indefinito, ma ben presente. Un romanzo che ha tanto da dare, anche se non dà certezze, ma che spinge alla comprensione, all’accettazione e a capire che la vita e le persone sono davvero tante cose, alle volte buie, alle volte luminose; alle volte morbide, alle volte taglienti. Dure e fragili, capaci di far sanguinare.
Un libro profondo e intimo: L’incolore Tazaki Tsukuru e i suoi anni di pellegrinaggio è davvero qualcosa che merita di essere letto.