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Battle Royale

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Battle RoyaleBattle Royale, romanzo del 1999 di Khousun Takami e tuttora sua unica opera, è stato un successo da milioni di copie vendute sia in Giappone, sia a livello internazionale; da esso sono stati tratti due film (Battle Royale e Battle Royale: Requiem) e due serie manga (Battle Royale e Battle Royale II – Blitz Royale). Da molti è stato apprezzato, ma è stato anche criticato: per la violenza delle vicende che narra, per la sua brutalità, ma anche per il giudizio che ha dato del sistema giapponese. Naturalmente questo non è piaciuto al paese natale dello scrittore, come ben si capisce dalla condanna fatta dalla Dieta Nazionale del Giappone al primo film; in molti paesi è stato censurato. Che cosa ha scatenato tanto clamore? Cosa è stato scritto per essere censurato così duramente da alcuni e osannato da altri come capolavoro?

La storia è ambientata nel 1997 nella Repubblica della Grande Asia dell’Est (una versione totalitaria del Giappone), una nazione governata da un sistema nazionalsocialista guidato da un’autorità esecutiva chiamata il Dittatore (il fascismo vittorioso, come viene definito da uno dei personaggi). Di questo sistema non si sa molto di più, alcuni lo reputano addirittura un’invenzione e che il governo sia diverso da quello mostrato; quello che non è un’invenzione è la repressione verso tutto ciò che non è approvato dal regime. Non esiste una religione di stato. I contatti con le altre nazioni sono estremamente limitati. Molti libri e molta musica (specie il rock) sono vietati: solo quanto approvato dal governo (tutto inneggiante a esso) è accettato. L’accesso alla rete internet è praticamente vietata (la rete dati presente nel paese è solo una parvenza di quella reale). Il sistema è rigido, ma lascia qualche spiraglio per dare l’illusione di libertà.
I protagonisti sono i quarantadue studenti della classe terza B della scuola media dell’istituito Shiroiwa, città di Shiroiwa, provincia di Kagawa. Mentre sono in viaggio in pullman per quella che dovrebbe essere una gita scolastica, vengono narcotizzati e prelevati da uomini in divisa da combattimento. Si risvegliano in un’aula scolastica, dove fanno conoscenza con il nuovo professore Kinpatsu Sakamochi (il loro è stato brutalmente ucciso per essersi opposto a quanto sta per essere fatto ai suoi alunni), che, sorridente, li informa che la loro classe è stata selezionata per il Programma di quell’anno. Il Programma è molto semplice: gli studenti sono costretti a combattere tra loro e a uccidersi finché non rimane un solo sopravvissuto. Se si rifiutano di combattere, vengono tutti uccisi; al loro collo è stato messo un collare che segue i loro spostamenti e che può esplodere se cercano di toglierselo, se fanno qualcosa che non va e se si trovano in zone dove non devono accedere. Se qualcuno non muore entro ventiquattro ore, tutti vengono uccisi. Per costringerli a uccidere, il “gioco” ha un limite di tempo, oltre al fatto che durante il suo svolgimento, con il passare delle ore , alcune aree diventano vietate e sostare o passare in esse fa esplodere il collare. A ognuno è dato uno zaino con una mappa, una bussola, acqua, cibo e un’arma scelta casualmente, per non fare favoritismi: si va dalle armi da fuoco a quelle bianche, a quelle totalmente inutili (come freccette e forchette).
I ragazzi, che scoprono di trovarsi su un’isola, sono catapultati in un incubo che stravolge la loro normale esistenza. Quelli che erano amici e compagni diventano nemici da cui difendersi e da uccidere. Improvvisamente si trovano coinvolti in un gioco disumano architettato da un sistema governato dalla pazzia; un Programma apparentemente senza senso, perché non si riesce a capire che giovamento possa trarre la nazione dalla morte di tanti giovani. Paura e panico s’impossessano di loro: di chi si possono fidare? Conoscono davvero chi gli è stato al fianco per diversi anni? Possono riporre in lui fiducia o verranno colpiti appena abbasseranno la guardia? Questo è il punto fondamentale del gioco, su cui tutto ruota: si cercherà di mantenere la propria umanità o si preferirà la sopravvivenza?
C’è chi cercherà di ribellarsi al sistema, provando a trovare un modo per sfuggire al Programma e salvare il numero più alto di loro; ma c’è anche chi decide di partecipare, eliminando chiunque per poter sopravvivere.
In un frangente letale e brutale, la vera personalità di ogni studente verrà a galla. C’è chi si rivelerà essere uno spietato serial killer, chi un codardo, chi cercherà di proteggere chi ama, chi rinnegherà i legami di amicizia, chi impazzirà, chi deciderà di togliersi la vita prima di conoscere l’orrore e la perdita di chi ama, chi vorrà vendetta contro il governo che ha voluto questo assurdo gioco.

Battle Royale è un romanzo crudo, che non risparmia al lettore violenza e brutalità, ma che in mezzo a tanto orrore è capace di mostrare momenti toccanti e delicati. Molto intenso e coinvolgente, non si compiace della violenza che mostra, ma la propone freddamente. Khousun Takami mostra come la spietatezza degli adulti e del sistema che hanno creato entra nel mondo degli adolescenti e li costringe a fare delle scelte che non vorrebbero prendere, a competere tra loro, a sopraffarsi l’uno con l’altro per far prevalere il migliore: con questo romanzo l’autore denuncia la logica mortalmente competitiva della società giapponese che viene inculcata nella popolazione fin dalla scuola. Battle Royale non è un capolavoro come dichiarato da alcuni e questo non certo per il messaggio che lancia, ma per certe azioni dei protagonisti e per come sono realizzati i personaggi, che possono apparire stereotipati: l’otaku, il personaggio viziato e sprezzante perché di famiglia ricca, il ribelle, il sognatore, l’introverso, l’anima gentile, l’opportunista, l’omosessuale, il playboy, il genio. Lascia un po’ perplessi il fatto che i ragazzi imparino a sparare con le armi da fuoco così velocemente senza averle mai usate prima (è vero che nello zaino ci sono anche le istruzioni su come utilizzarle, però alcune perplessità rimangono). Anche il giocare sui luoghi comuni può far pensare il lettore più navigato: il personaggio ribelle, bello, atletico e sportivo, che suona con la chitarra, di cui un po’ tutte le ragazze sono innamorate; l’antagonista genio, esperto nel combattimento, nelle armi, capace di riuscire benissimo in tutto, ma che è completamente privo di sentimenti; il professore psicopatico che ride anche nelle situazioni più crude, che passa dalla calma all’esplosione di rabbia e violenza in un amen, rimanendo tranquillo anche quando uccide due ragazzi per dare dimostrazione che non si tratta di uno scherzo. Nonostante quelle che per alcuni possono essere delle pecche, l’opera di Takami è qualcosa di notevole, capace di colpire davvero con forza per la denuncia che fa e nel far sentire vicini i personaggi.
Quindi Battle Royale è una storia estrema per fare scalpore e attirare l’attenzione su un sistema che si vuole criticare? Non solo: lancia un messaggio sulla fiducia, dando una logica a un gioco brutale che in apparenza non ha un senso; tutto allora appare sotto una nuova luce, facendo capire lo spietato ragionamento che si nasconde dietro le scelte di un regime e come possa continuare a funzionare senza che nessuno si ribelli a esso. Perché senza la fiducia nei propri simili non ci si può unire e creare un movimento capace di opporsi a una dittatura: se nella gente s’insinua il sospetto che non ci si può fidare di nessuno, allora si è ottenuta una vittoria schiacciante, a cui nessuno mai si opporrà. E per ottenere questo, gli individui vanno spezzati nel momento di maggior vulnerabilità, quando sono giovani, il periodo in cui si hanno maggiori speranze e ideali: se si riescono a eliminare questi elementi, non resta spazio che per rassegnazione, sfiducia, opportunismo ed egoismo. Tutte cose che non vanno a far altro che rafforzare il regime e a mantenere ferrea la presa sulle persone, che non vedono possibilità di cambiare le cose, restando ferme a subire, anche se trovano tutto ingiusto, convinte che nessuna ribellione possa andare a buon fine, che non ci possa essere nessun cambiamento.
Battle Royale è un romanzo distopico diverso da Il Signore delle Mosche (l’opera di William Golding non è qualcosa di ragionato, programmato, ma mostra il risveglio del lato più primitivo e brutale dell’uomo quando si trova a non avere regole) e 1984 (qui la tirannia è molto più sottile e psicologica, meno diretta: la gente sparisce, ma non viene stuprata o uccisa al minimo cenno di ribellione; è un lavoro più meticoloso e inconscio, dove la violenza è presente ma è più psicologica che fisica); a differenza di Hunger Games, non c’è un lieto fine: il regime non è ribaltato, continua con la sua forza, non è indebolito. E chi è sopravvissuto può al momento solo scappare, anche se promette che cercherà di vendicarsi. Come dice la frase finale del romanzo che cita la canzone Born to run di Bruce Springsteen “un giorno, non so quando, raggiungeremo quel luogo in cui davvero vogliamo andare. E cammineremo nella luce del sole, ma fino ad allora, piccola, i vagabondi come noi sono nati per correre, baby we were born to run.” (1)

 

  1. Battle Royale, Oscar Fantastica 2016, pag.613.