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Bisogno di Dio

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DioDio con il passare degli anni nella storia dell’uomo ha perso sempre più valore. Con lo sviluppo crescente delle scienze e delle risposte che ha saputo dare, togliendo quel velo di mistero che apparteneva alle cose, la sua presa sull’uomo è diminuita, fino a quando molti hanno ritenuto che non fosse più necessario, che fosse qualcosa di arcaico, appartenente a epoche passate. La gente ha smesso di credere in lui, di ascoltare le sue parole, di leggere i libri sacri, perché lo riteneva qualcosa di superato. In parte questo è vero: l’immagine (che è una proiezione dell’inconscio umano) del vegliardo dalla barba bianca che siede su un trono dorato poteva far presa sugli animi delle persone delle antiche società patriarcali, non in quelle moderne.
Dio è stato chiamato così nel tempo in molte parti del mondo. Il suo nome è stato pronunciato in molte lingue. L’hanno mominato in molti modi, ma tutti volevano indicare la stessa cosa. L’hanno raffigurato in molti modi, gli hanno assegnato ogni ruolo possibile e immaginabile. Ma mai che si sia capito chi era realmente, mai che si cogliesse nel segno; pochi sono riusciti ad avvicinarsi per avere almeno un’idea di ciò che era, perché troppo impegnati a chiedere, ad aver bisogno di qualcosa, concentrandosi solo sulle proprie paure e pretese. Rassicurazioni, favori, giuramenti presto dimenticati, preghiere, invocazioni: sempre ad aspettarsi la risoluzione a qualsiasi problema si verificasse. Un continuo io, io, io che giungeva da tutte le parti, ma mai che ci fosse qualcuno che fosse disposto ad ascoltare quello che aveva da dare in risposta.
Dio è stato considerato un mezzo che va usato a proprio piacimento o capriccio. Un mezzo cui si ricorre perché dotato di grande potere, di capacità che nessuno è in grado di possedere. Un potere che si considera esclusiva di qualche essere unico, di qualche prescelto particolare.
E’ stato inevitabile, con una mentalità del genere, andare incontro a delusioni e a perdere la fede, a credere che non c’è bisogno di Dio.
Quanto invece c’è bisogno di Dio! Soprattutto in periodi, società come queste, c’è bisogno di Dio, perché nella loro stoltezza gli uomini sono andati a ingrassare tutto ciò da cui invece dovevano tenersi alla larga e si sono fatti sfruttare nelle varie lotte per il potere, per la supremazia l’uno sull’altro. Guerre, guerre e ancora guerre: in tutte le epoche questa è stata la costante; agli esseri umani deve fare schifo la pace, la tranquillità, non trovano quiete e soddisfazione nello scoprire e nel far crescere. Sempre in tensione, sempre in ansia, protesi verso qualcosa che non sanno nemmeno definire.
Sbagli si sono accumulati su sbagli.
Nessuno ha capito chi è Dio, che Dio è ed esiste quando c’è Creazione, che la Creazione è Dio e pertanto può esserlo chiunque mentre è impegnato a creare. Perché Dio è la manifestazione più alta dell’Uomo e l’Uomo è la manifestazione più bassa di Dio: i due sono la stessa identica realtà, solo con livelli di consapevolezza diversi.. Occorre questa consapevolezza per ritrovare un senso all’esistenza, per ritrovare equilibrio in un sistema sballato, perché Dio è consapevolezza, quella consapevolezza che tanti hanno dimenticato e sembrano averlo voluto fare apposta.
Io sono in Te e Tu in Me, dice Gesù parlando di Dio e dell’uomo, esortando le persone ad accorgersi di questa realtà: Dio è dentro di noi, perché noi siamo Dio. Realtà che Gesù tiene a sottolineare, ribadendolo in un altro brano del Vangelo “Io ho detto: voi siete dei” (Giovanni 10, 34) (una frase che viene usata e fa da fulcro al romanzo Straniero in Terra Straniera di Robert A. Heinlein, che ben riprende il significato di tale messaggio), perché questo è il modo in cui l’essenza divina aiuta l’uomo a evolvere. E l’uomo, evolvendo, aiuta a sua volta il Dio a crescere e a essere quell’infinito di cui tanto si parla.

Olimpiadi in Brasile

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Nel 2014 in Brasile ci sono stati i Mondiali di calcio. Quello che doveva essere un grande evento in realtà è stato uno spettacolo che è stato creato sulle spalle della gente, con rincari dei prezzi, famiglie a cui sono state distrutte le case per fare posto alle strutture della manifestazione e dare una certa immagine al Brasile. Si era detto che lo si faceva per portare ricchezza e lustro alla nazione, ma pochi si sono davvero arricchiti: i più si sono impoveriti, tanti hanno perso tutto quello che avevano.
Il Brasile ospiterà le olimpiadi del 2016Nel 2016 il Brasile ospiterà le Olimpiadi e il copione si sta ripetendo, o forse sarebbe meglio dire che si sta continuando con quanto è stato fatto finora.
Favela Metró Mangueira di Rio de Janeiro, 28 maggio. Senza alcun preavviso la polizia militare e squadre di demolitori del comune carioca hanno sgomberato intere famiglie della comunità, già decimata in occasione della preparazione dei mondiali di calcio. Diverse abitazioni sono state rase al suolo senza nemmeno dare il tempo agli abitanti di mettere in salvo le loro povere cose, gli elettrodomestici, nulla, persone, famiglie, bambini, che ora si trovano per strada senza sapere dove andare. Il governo tenta dal 2010 di rimuovere gli abitanti da quell’area che dista appena 700 metri dallo Stadio Maracanà, che ospiterà l’apertura dei giochi olimpici l’anno prossimo. La maggior parte delle case sono già state demolite e gli abitanti (circa 600 famiglie) sfrattati lo scorso anno, nell’imminenza della Coppa del Mondo di calcio. Le immagini di quelle demolizioni, delle rimozioni forzate e della resistenza degli abitanti fecero, allora, il giro del mondo.
Ieri, quando si è sparsa la voce delle nuove demolizioni, gruppi di studenti dell’università di Rio, che si trova nelle vicinanze, sono corsi a dare il loro appoggio e la loro solidarietà e sono stati violentemente attaccati e respinti dalla polizia verso la facoltà, dove nel frattempo il rettore ha fatto chiudere le porte. I manifestanti si sono ritrovati da un lato ad essere respinti dagli addetti alla sicurezza dell’università che hanno fatto uso di idranti, e dall’altro dalla polizia. Alcune vetrate dell’università sono andate in frantumi; sarà di queste che i media si occuperanno nelle prossime ore, quando ancora una volta si parlerà di giovani vandali in azione. Ad ogni latitudine ormai, le vetrine valgono enormemente di più della vita delle persone.
(1)
Questa è una delle tante realtà di un governo che si è impegnato in vista di Mondiali e Olimpiadi di “ripulire” il paese, a discapito però dei più poveri con smantellamenti forzati per assicurare parcheggi, ristoranti, alberghi. Soldi pubblici spesi come privati. Violazioni dei diritti umani a livelli inimmaginabili (subito vengono in mente gli Squadroni della Morte).
A questo va aggiunto che dopo i grossi investimenti profusi per realizzare le due manifestazioni, che a detta del governo avrebbero portato ricchezza al paese, per far fronte alle spese fatte, per il Brasile sarà tempo di una politica di austerità, con tagli sulla sanità, l’istruzione, le infrastrutture. Un dietrofront su tutta la linea di sostegno alle politiche sociali che ammonta a 23 miliardi di euro.
Il quadro in Brasile è davvero sconfortante, ma dovrebbe far riflettere sul modo di fare di certi governi che puntano tanto sull’immagine, sulle grandi imprese, sul fare bella figura con gli altri, ma che fanno pagare il tutto alla popolazione (specie ai più poveri) e lo fanno con prezzi elevatissimi. Bisognerebbe diffidare e non avere a che fare con simili governi; purtroppo i più si sono rassegnati e ritengono che contro di essi non si possa fare nulla, dovendo solo subire perché si ha a che fare con un potere troppo grande.
Da questo quadro è facile fare una riflessione anche sul nostro paese. L’Italia si è candidata per le Olimpiadi del 2024: visti gli scandali incorsi per i mondiali di nuoto del 2009 e per il tanto decantato e sopravvalutato Expo, e visti gli ingenti investimenti che occorrerebbe fare per realizzarle, c’è da riflettere se sarebbe un bene se l’assegnazione venisse data all’Italia, correndo il rischio d’incorrere in ulteriori scandali e di pagare dopo la manifestazione con pesanti tagli che toccherebbero (come sempre) la popolazione meno abbiente per coprire le spese e i mancati guadagni dalla manifestazione. La Grecia, per aver fatto le Olimpiadi del 2008, ha pagato, e sta pagando, un prezzo elevatissimo. E visto com’è governata l’Italia da anni, con persone che fanno solo proclami e sparate (oltre a mentire e ad arraffare tutto il possibile), dove c’è mancanza di preparazione, organizzazione e capacità, c’è da sperare che l’assegnazione delle Olimpiadi vada ad altri paesi, per non ritrovarsi poi a versare lacrime e sangue.

1. Le parti in corsivo riportano un brano di un articolo comparso sul numero 48 di Dalla Strada alla Vita. Per chi non lo conoscesse, Padre Renato è fondatore della Casa do Menor in Brasile che da 37 anni si occupa di salvare le vite disperate di bambini e ragazzi di Rio che muoiono quotidianamente per violenza, crack, infezioni, malattie, incidenti, abbandono, omicidi.

Fragments of colors

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fragments of colors

Zoo e Strade Nascoste

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La serie tv di Zoo tratta dal romanzo di James PattersonZoo e Strade Nascoste: che cosa hanno in comune?
Sono entrambe opere di narrativa, ma a parte questo non sembra esserci nessun altro nesso, dato che uno è un fantasy, l’altro un thriller e che il romanzo di James Patterson e Michael Ledwidge è conosciuto a livello internazionale (grazie anche alla serie televisiva da esso tratto), mentre Strade Nascoste…beh, non si può dire lo stesso.
Conoscendole invece si può osservare che abbiano un’idea in comune, anche se poi vengono prese strade differenti. Questo non significa che uno abbia copiato dall’altro (Zoo è stato realizzato nel 2012, Strade Nascoste, anche se pubblicato nel 2015, è stato realizzato tra il 2001 e il 2007, ed è praticamente impossibile che un autore affermato a livello internazionale vada a bazzicare su un piccolo sito italiano), ma semplicemente che persone diverse, in luoghi diversi, senza conoscersi, abbiano praticamente nello stesso tempo la stessa idea (cosa più frequente di quanto si possa pensare, ma qui si andrebbero a toccare punti come l’inconscio collettivo e si finirebbe fuori tema).
Qual è questa idea che accomuna le due storie?
Che a un certo punto gli animali comincino ad attaccare senza motivo gli esseri umani e che lo facciano in maniera organizzata e deliberata, premeditata. Gli uomini, fino a un certo momento la specie dominante, si trovano presto braccati, in pericolo, sotto assedio, uccisi. Sembra che gli animali si siano evoluti, abbiano sviluppato un’intelligenza diversa e non ci stiano più a essere in balia degli umani, decisi a dimostrare chi è che comanda.
Che cosa si nasconde dietro questo modo di comportarsi?
L’unica maniera per scoprirlo, in entrambi i casi, è addentrarsi nella lettura.

L'attaco dei giganti, metafora della realtà

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L'attacco dei gigantiL’attacco dei giganti è un manga di Hajime Isayama, la cui pubblicazione in Giappone è iniziata nel settembre del 2009. Dal fumetto è stata tratta una serie televisiva anime, prodotta da Wit Studio in collaborazione con Production I.G, diretta da Tetsurō Araki. Si è in un mondo di stampo medievale, dove le persone vivono all’interno di città circondate da mura alte decine di metri per proteggersi dall’attacco dei giganti. I rapporti con l’esterno sono scarsi, la vita viene vissuta quasi esclusivamente nelle città. Nessuno sa quale sia l’origine dei giganti; quello che si sa è che portano distruzione all’umanità, usandola come cibo. Da cento anni si vive in pace, senza che ci siano stati attacchi, ma essa termina quando fa la sua comparsa un gigante più alto delle mura che apre una breccia per i suoi simili: è il ritorno dell’orrore.
Una storia che ha colpito molto i lettori e che prende ispirazione da varie fonti. La presenza di un “muro di paura” è stata ispirata dall’isolamento tipico della cultura giapponese e dall’infanzia dell’autore: cresciuto in un villaggio circondato da montagne, il suo desiderio era quello di sapere che cosa ci fosse al di là della barriera, proprio come il personaggio principale del manga. La città tedesca di Nördlingen, con le sue architetture medievali e le mura ancora intatte attorno al nucleo storico, costituì una fonte d’ispirazione nella creazione delle mura e dell’ambientazione della serie. Soprattutto, l’idea di base proviene da un episodio occorso ad Isayama all’uscita da un internet point in cui aveva appena lavorato. Quando uno sconosciuto, ubriaco, lo prese per il colletto, l’autore provò «la paura di incontrare una persona con cui non si riesce a comunicare» e si rese conto che «l’essere umano è l’animale più familiare e spaventoso del mondo» (fonte Wikipedia).
Conoscere com’è iniziata la storia porta a fare delle riflessioni sulla vita e sull’uomo, ma dopo aver visto le immagini e conosciuto un poco la trama realizzata da Isayama, viene in mente come L’attacco dei giganti sia una metafora della realtà. Se i protagonisti della storia non sanno nulla dell’origine dei giganti, per i lettori/spettatori può venire subito in mente che cosa i giganti rappresentino: ben presenti da sempre nella storia umana (se ne parla nella Bibbia, nei miti greci, nelle favole), sono archetipo di qualcosa di grande, anche di distruttivo e violento, che schiaccia l’uomo e lo assoggetta ai suoi voleri, proprio come fanno i governi, le multinazionali, le istituzioni.
I giganti, che non sono quelli buoni di certe fiabe, sono i potenti, i politici, gli imprenditori che senza scrupoli calpestano l’umanità e distruggono quanto essa costruisce, la loro esistenza; gli uomini sono per loro semplicemente cibo con cui sostentarsi. Brutali, come se tutto fosse a loro disposizione, avanzano incuranti di quanto travolgono, preoccupati solo di cibarsi. I governi, i grandi gruppi sono così: entrano di prepotenza nelle vite delle persone, violandone la tranquillità, rubandone i sogni, la libertà, facendoli vivere nella paura. Osservando i volti dei giganti, si vede qual è la natura che si nasconde dietro di essi: una fredda, spietata indifferenza, che fa quello che vuole senza scrupoli, perché ha la forza per farlo. Tutte le istituzioni, i grandi gruppi, fanno questo, vogliono inglobare, fagocitare le persone al loro interno per crescere e sostenersi, perché i grandi numeri danno potere: questo è cosa rappresenta il mangiare le persone dei giganti.
Ma l’atto del mangiare non è l’unica somiglianza che si coglie tra i giganti disegnati da Isayama e quelli reali: si osservi il loro sorriso e si veda quanto è duro, spietato e non abbia nulla di umano. Un sorriso che cela la consapevolezza di poter fare della gente quello che si vuole, perché essa è impotente e non può nulla come singolo contro la loro forza.
Gli uomini cercano di difendersi, di costruire mura dietro cui rifugiarsi e trovare tranquillità e sicurezza; per un po’ riescono nel loro intento, ma prima o poi arriva sempre un gigante che spazza via le difese erette e porta di nuovo scompiglio e terrore nella vita, facendo sentire impotenti, in gabbia, senza avere un posto dove trovare riparo.
I giganti possono non avere la forma presentata da miti e favole, ma non sono una semplice invenzione, sono una realtà. Una realtà violenta, crudele, spietata.

Un tocco di rosso

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Un tocco di rosso

L’ultimo Impero di Brandon Sanderson

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L’ultimo ImperoL’ultimo Impero è il primo volume della trilogia Mistborn realizzata da Brandon Sanderson, seguito da Il Pozzo dell’Ascensione e Il Campione delle Ere. Sanderson mostra un mondo di cenere, avvolto dalle nebbie, diviso in Dominazioni, dove sono i nobili, sotto il pugno di ferro del lord Reggente, a comandare, anzi a spadroneggiare, e la maggior parte delle persone è succube del loro potere; tanti sono gli schiavi, costretti a vivere in condizioni miserevoli, sfruttati e percossi, senza alcuna prospettiva per il futuro, se non quella di lavorare sempre e di morire. Il mondo è stato sull’orlo della fine, ma in un qualche modo è stato salvato, solo che quello che doveva essere l’eroe è diventato il tiranno del nuovo mondo.
Sanderson crea un sistema di poteri fuori dal comune, che attingono la loro forza dai metalli; è questa la novità che immette in L’ultimo Impero, perché la storia che narra è qualcosa che esiste da sempre. Una tirannia che schiaccia le persone e le fa vivere male, dove tutto le è concesso e gli altri non hanno diritti; la popolazione vive rassegnata, ormai abituata, assuefatta alla sottomissione, come se fosse l’unico modo di vivere possibile. Si vive in un mondo grigio, senza speranza, almeno fino a quando non compare un uomo che dice che c’è un altro modo di vivere, che ci si deve ribellare alla tirannia. Il compito che si prende sulle spalle Kelsier sembra improbo, perché oltre a dover lottare contro le forze del lord Reggente (Inquisizione, soldati), deve combattere anche contro la mentalità rassegnata delle persone. Alcuni di questi nobiluomini lontani stanno scoprendo che degli skaa felici lavorano meglio di skaa maltrattati (1), è una delle tante frasi che usa per scuotere le persone schiave, per fargli anelare a una vita diversa. Ma le risposte che ottiene sono di chi è rassegnato alla sua condizione: “I nuovi sapori sono come le nuove idee: più invecchi, più sono difficili da digerire”, “Alcune battaglie non valgono la pena di essere combattute”, “Gli uomini come te predicano il cambiamento, ma io mi domando: questa è davvero una battaglia che possiamo combattere?” (2).
La bellezza e la forza di L’ultimo Impero, più che i poteri soprannaturali e gli scontri, è racchiusa nella sua trama e in Kelsier, vero e proprio fulcro del romanzo, perché esso racconta una storia dell’uomo che tante volte nei secoli si è vista: la ribellione a una tirannia, la lotta per la libertà, per una vita migliore. Perché nella storia c’è sempre qualcuno che si ribella, che dice basta con un sistema iniquo e ingiusto; come ci sono sempre tanti che si rassegnano ad accettare un sistema e una società iniqui, come se non ci si potesse fare nulla. Forse non è un caso che Sanderson abbia scritto un romanzo del genere nel contesto storico che si sta vivendo. Forse non è un caso che il suo romanzo colpisca e attiri l’attenzione con tanta forza, perché esso parla della vita, parla di una mentalità e un modo di vivere molto attuali. Viene subito in mente l’Italia, dove non si ha una tirannia, dove non ci sono schiavi (non in senso legale), ma dove si vive rassegnati, disposti ad accettare di tutto (a esempio nel mondo del lavoro), anche se si vive male, se le condizioni di vita peggiorano, se si perdono ogni giorno che passa i diritti, come se fosse qualcosa cui non si può fare nulla, quando invece si può fare tanto. Per questo, dinanzi a uno scenario quotidiano del genere, figure come Kelsier colpiscono tanto: perché c’è bisogno di esempi del genere, c’è bisogno di qualcuno che mostri che le cose possono essere cambiate e debbano essere cambiate perché sono ingiuste. La vita è molto di più di quella che potenti e governi vogliono far credere.

1- L’ultimo impero. Brandon Sanderson. Fanucci 2009, pag.22
2- L’ultimo impero. Brandon Sanderson. Fanucci 2009, pag.24

La Torre Nera - I fumetti

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Era il 2007 quando uscì La nascita del pistolero, primo volume a fumetti dedicato ai romanzi di La Torre Nera di Stephen King. Il primo di una serie di trenta, questo secondo il progetto, che vede coinvolta la Marvel e i suoi collaboratori e lo stesso King, che è direttore esecutivo e creativo, com’è logico che sia. In questo grande progetto, oltre allo scrittore americano, sono coinvolte in pianta stabile diverse figure. Robin Furth, responsabile di soggetto e consulenza, grande conoscitrice del mondo della Torre Nera. Peter David, lo sceneggiatore delle storie, veterano della Marvel, famoso per il suo ciclo sull’Incredibile Hulk, diventato una pietra miliare in campo fumettistico, ma anche di altri cicli come quello di X-Factor e Spider-Man 2099. Richard Isanove, l’esperto del colore che ha trasformato i disegni in bianco e nero (affiancando sempre il disegnatore di turno nella loro realizzazione) nelle tavole a colori che i lettori hanno potuto vedere.
Una serie ben realizzata, curata, che in Italia al momento ha visto pubblicati solo i primi otto volumi. L’impressione che si ha è che nel nostro paese la serie non abbia avuto un grande seguito, a differenza degli Stati Uniti, e che il numero di vendite non molto alto abbia fatto decidere di fermare le pubblicazioni all’ottavo volume. Un’impressione che è sorta anche osservando come dai primi quattro volumi, i più corposi, si è passato a volumi sempre più scarni, dove il prezzo è sempre stato mantenuto lo stesso (16.90 E), tranne che nell’ultimo che è stato aumentato (19.50 E): un aumento che avviene, più che per l’inflazione, per compensare l’abbassarsi del numero di volumi venduti vendite. Il fatto che dal 2013 non siano stati fatti uscire in Italia altri volumi (negli Stati Uniti si è già al quattordicesimo, dopo La battaglia di Tull sono stati pubblicati The gunslinger – Way station, The gunslinger – The man in black, legati al romanzo L’ultimo cavaliere, The drawing of the Three – The prisoner, The drawing of the Three – House of cards, The drawing of the Three – The lady of shadows, legati al secondo romanzo La chiamata dei tre), fa pensare che i risultati non siano stati positivi e si sia deciso di fermarsi con la pubblicazione.
Il prodotto, per quanto si è potuto vedere da quanto pubblicato in Italia, è di qualità, curato (si parla dell’aspetto grafico dato dalla realizzazione americana, perché sui volumi italiani editi da Sperling&Kupfer c’è da fare l’appunto che la colla usata è di scarsa qualità, dato che in alcuni volumi, specie gli ultimi, le pagine si scollavano già dopo una sola lettura): si è puntato su disegnatori validi, alcuni più di altri. Al fianco del sempre presente Richard Isanove, si sono alternati svariati autori. Quello più presente è stato Jae Lee (quattro volumi), una garanzia di qualità per il suo tratto e la cura dei dettagli; il suo è un lavoro molto buono, le sue atmosfera cupe, a tratti gotiche, danno una connotazione particolare ai disegni, ma forse non sempre adatta. Se il suo tratto è perfetto (anche se si vorrebbe una maggiore definizione delle linee dei volti) per descrivere il mondo da incubo in cui finisce Roland quando la sua coscienza viene risucchiata dal Pompelmo Rosa e quando sono mostrati la strega Rea, il Mago Marten e il Re Rosso, risulta essere meno efficace, o meglio, meno appropriato, per il resto, dato che si tratta di un’ambientazione, almeno per i primi otto volumi, prevalentemente western. A parte quelle che possono essere considerazioni prevalentemente personali, il suo è un lavoro meritevole di plauso.
Al sesto volume (Il viaggio comincia), ai disegni si ha Sean Phillips: il suo è un lavoro onesto, ma in alcune tavole non particolarmente curato. A questo va aggiunto che il Roland da lui disegnato, come tratti del volto, modo di muoversi, ricorda tanto l’attore John Wayne, il che non è molto appropriato, dato che, come rivelato da King, il pistolero è ispirato a Clint Eastwood.
Nel settimo volume, Le piccole sorelle di Eluria, abbiamo Luke Ross, il miglior disegnatore che la Torre Nera ha avuto in questi otto volumi: il suo è il tratto più appropriato per l’ambientazione western che la serie ha mostrato finora. Cura, attenzione dei dettagli, grande espressività dei volti: è l’autore che sempre si sarebbe voluto avere ai disegni.
Nell’ottavo volume, La Battaglia di Tull, Michael Lark fa un buon lavoro, superiore a quello di Sean Phillips, ma che non raggiuge il livello né di Jae Lee, né tantomeno di Luke Ross. Tuttavia è bravo nel mostrare la durezza di un Roland adulto e la follia che si è impossessata del villaggio di Tull.
Partendo dall’ultima affermazione fatta, quello dei fumetti della Torre Nera è il percorso che mostra la crescita di Roland in ordine cronologico, a differenza dei romanzi dove si comincia con un Roland già adulto e solo nel quarto romanzo (La sfera del buio) viene mostrata la sua giovinezza. Nei vari volumi sono state sviluppate vicende che danno spiegazioni di elementi che nei romanzi risultano oscuri, ma di storie veramente inedite se ne può contare per davvero una (Le piccole sorelle di Eluria), mentre negli altri volumi c’è al massimo qualche novità che aggiunge qualcosa alla storia di Roland senza però stravolgerla o dargli un tocco in più. E ora, volume per volume, tutti i passi della storia che narrano il passato di Roland.

La nascita del pistoleroLa nascita del pistolero. Il primo volume riprende elementi narrati in L’ultimo cavaliere e La sfera del Buio. Roland non è ancora un pistolero, ma dopo aver scoperto il tradimento della madre con il mago Marten, sfida il suo istruttore Cort per avere le pistole: come arma usa il suo falco David, che perisce nello scontro, e vince, divenendo così il più giovane pistolero di sempre. Il padre, guida di Gilead, per salvarlo dalle grinfie di Marten lo invia in missione ad Hambry assieme agli amici Alain e Cuthbert, aspiranti pistoleri, per spiare le mosse del Buono, nemico dell’Affiliazione. Il gruppo scopre i piani del nemico e li sventa, scontrandosi con i Cacciatori della Bara e i soldati del Buono, ma anche con forze oscure più grandi di loro, quali sono quelle del malefico Pompelmo di Maerlyn, che lascerà un segno profondo nella vita di Roland: è proprio la sfera a far scoprire i ragazzi, a far cadere prigioniera Susan (il primo e unico vero amore di Susan) e farla bruciare al rogo nel Charyou Tree. Dopo la costosa vittoria, ai tre ragazzi non resta che intraprendere la via del ritorno.
Volume che ripropone una storia già letta nei romanzi, con qualche taglio, è ottimamente disegnato da Jae Lee e ricco di contenuti extra.

La lunga via del ritornoLa lunga via del ritorno. Roland, Alain e Cuthbert intraprendono la via del ritorno per Gilead, non prima però di aver dato sepoltura al corpo distrutto dalle fiamme di Susan; è in questo frangente che la mente di Roland cade vittima del Pompelmo di Maerlyn e viene imprigionata al suo interno, vivendo in un mondo fatto di visioni e di incubi con Marten e il Re Rosso come protagonisti. Inseguiti dai nemici, per Alain e Cuthbert le cose non sono facili, spesso avendo a che fare con un Roland che quando si risveglia è posseduto dalle visioni che vive nella sfera e non le distingue dalla realtà che lo circonda, mettendo a repentaglio la vita degli amici. Un Roland che sembra perduto per il mondo intero, costretto a soccombere alla forza del Re Rosso, se non fosse per il miracoloso intervento di Sheemie, il ragazzo ritardato salvato nel volume precedente dalle grinfie dei Cacciatori della Bara, che con poteri impensabili strappa il pistolero al nemico.
Volume che approfondisce il ritorno a Gilead, mostrando la possessione del Pompelmo su Roland, come nuovo elemento per il mondo della Torre Nera immette la spiegazione di come Sheemie acquisisce quei poteri che vengono mostrati e che si allacciano agli ultimi romanzi della serie. Importanti rivelazioni del legame che c’è tra il Re Rosso e Roland, discendete di Arthur Eld, e sulle pistole che il pistolero erediterà dal padre, chiavi per aprire la Torre Nera. Ottimo lavoro di Jae Lee, buoni gli extra.

TradimentoTradimento. Il ritorno a Gilead vede Alain e Cuthbert divenire pistoleri, mentre Roland, benché salvato da Sheemie, è sempre sotto l’influenza del malefico Pompelmo e delle sue visioni. Come dice il titolo, nel volume viene mostrato il tradimento perpetrato dalla madre di Roland, da Marten e da chi si è infiltrato all’interno dell’affiliazione, e si conclude con la drammatica scena, già menzionata nei romanzi, di Roland che, sotto l’influsso della sfera, uccide la madre credendola la strega Rhea.
Compaiono nuovi personaggi non presenti nei romanzi, come il nipote di Farson, ma soprattutto viene immessa nella storia Aileen, nipote di Cort e innamorata di Roland, ma soprattutto desiderosa di essere un pistolero, frustrata dal fatto di essere nata donna, ma decisa di raggiungere il suo fine.
Ancora buoni gli extra e la prova ai disegni di Jae Lee.

La caduta di Gilead. Che Gilead fosse caduta lo si sapeva da tempo, almeno per chi ha letto i romanzi, e il modo in cui è avvenuta non è difficile immaginarlo; quindi non è una sorpresa non essere sopresi di quanto accade in questo volume. La caduta di GileadTuttavia si rimane toccati dalla sorte in cui incorrono i difensori di Gilead, c’è qualcosa di grandiosamente epico, drammatico, nel loro fato; probabilmente, nel profondo sono già consapevoli di andare incontro a una fine inevitabile, ma nonostante lo sappiano, nonostante non possono fare nulla per cambiarlo, affrontano il loro destino senza tirarsi mai indietro, sostenendo impavidi i colpi avversi della sorte e i tradimenti da parte di gente di cui non si sospettava nulla.
Dopo l’introduzione dedicata al mago Marten, in cui vengono mostrate le sue origini, il suo legame speciale con il Pompelmo di Maerlyn e i suoi piani contro Gilead (lascia perplessi il fatto che nel volume precedente abbia resuscitato il nipote di Farson e in questo non riesca a resuscitare la madre di Roland), le vicende avanzano con i protettori di Gilead che cadono uno a uno, fino a quando dei pistoleri non rimangono che Roland, Ailenn, Cuthbert, Alain, i loro compagni d’addestramento e poche altre persone adatte a combattere. La popolazione viene messa al sicuro nel rifugio di Gilead, mentre Roland e i suoi, con l’aiuto delle fosse (il sistema di autodifesa realizzato da Arthur Eld), cerca di fermare l’avanzata dell’esercito di John Farson. La difesa è strenua, ma i numeri del nemico sono troppo grandi e la capitolazione alla fine giunge. Ridotti a un esiguo manipolo di superstiti (la popolazione é stata sterminata da elementi di Farson infiltratesi nelle file dell’affiliazione), agli ultimi pistoleri non resta che abbandonare la città caduta per continuare a combattere.
Richard Isanove fa come sempre un buon lavoro con i colori, ma anche con i disegni, dato che in questo volume è solamente lui che si occupa di essi. Gli extra si limitano alle copertine dei singoli albi e alle loro varianti.

La battaglia di Jericho HillLa battaglia di Jericho Hill. Se era stata drammatica la caduta di Gilead, la battaglia di Jericho Hill lo è ancora di più. Roland e i suoi combattono una lotta impari contro le forze di Farson e del Re Rosso, tuttavia riescono a tenergli testa nonostante l’inferiorità numerica e le armi a disposizione. Uno dei Vettori viene spezzato dai nemici e Roland decide allora di raggiungere la Torre Nera per sconfiggere il Re Rosso e far rivivere Gilead, rimettendo così tutto a posto. Ma ancora una volta ci sono tradimenti, perché Farson colpisce nei punti deboli dei pistoleri e fa leva sui sentimenti che provano per i loro cari per spezzarli e farli cadere. Roland e Cuthbert involontariamente uccidono Alain (vicenda accennata nei romanzi) ed è in questo punto che si capisce come sia possibile il finale della Torre Nera, con Roland che si maledice per l’eternità per quanto fatto e la potenza della maledizione lo rende quello che in futuro si vedrà. Con la morte nel cuore, Roland combatte a Jericho Hill l’ultima battaglia assieme a dei compagni, vedendoli cadere uno a uno (di Aileen e Cuthbert sono le morti più strazianti) e cadendo lui stesso, ma solo per poi rialzarsi da quella che sembrava morte certa, salvato (o dannato) dalla maledizione autoimpostosi e così poter andare avanti, alla volta della Torre Nera.
Jae Lee si mantiene sempre sugli alti livelli mostrati negli altri tre volumi e questo di Jericho Hill è il suo ultimo lavoro dedicato alla Torre Nera.

Il viaggio cominciaIl viaggio comincia. Un Roland adulto attraversa il deserto seguendo le tracce dell’uomo nero, Marten. Tracce che il mago lascia appositamente perché il pistolero lo segua. Arriva a un capanno dove vivono un contadino, Brown, e un corvo parlante, Zoltan; con lui condivide cibo e acqua e inizia a raccontare la sua storia. Roland è sopravvissuto a Jericho Hill, ma non è l’unico: anche Aileen è viva, seppure in fin di vita. Per questo gli fa una richiesta: di essere riportata a Gilead e là sepolta, riposando nella tomba di famiglia con i propri cari. Roland vorrebbe continuare il viaggio verso la Torre Nera, ma acconsente a onorare la sua richiesta. Durante il viaggio incontra un bimbolo, che si unisce a lui dopo avergli salvato la vita (viene ripresa l’affermazione di Roland nei romanzi che un tempo ne aveva avuto uno); purtroppo Aileen cade vittima dell’attacco dei non- uomini e a Roland non resta che portare il suo corpo nella defunta Gilead e seppellirla assieme a Cort. Lì rammenta un evento del passato, quando scoprì il tradimento del cuoco e lo consegnò alla giustizia (fatto narrato in L’Ultimo Cavaliere). Dopo la visita a Gilead il viaggio riprende, giungendo in un villaggio dove incontra una ragazza che somiglia incredibilmente a Susan (e si chiama come lei); la salva dopo che è rapita dai non-uomini e nel salvataggio il bimbolo viene ucciso (una scena che è familiare per chi conosce già la storia del Roland adulto). Dopo una notte passata insieme, Roland la lascia, riprendo il viaggio verso la Torre perché spinto da una forza più grande di lui, ma anche per preservarla, dato che tutti quelli che hanno a che fare con lui muoiono.
Volume che riprende parti già accennate nei romanzi e prova ad aggiungere qualcosa di nuovo con l’incontro della sosia di Susan, ma senza creare pathos e avere l’epicità e la drammaticità dei volumi precedenti. Sean Phillips non riesce a mantenere lo stesso livello dato da Jae Lee: discreto lavoro, ma c’è chi ha fatto meglio (o lo farà, come il disegnatore del volume seguente).

Le piccole sorelle di EluriaLe piccole sorelle di Eluria. Volume che come rivela King viene ispirato dal romanzo fantasy Il Talismano scritto assieme all’amico Peter Straub, in special modo dalla visione familiare evocata dalla splendida dimora della Regina Laura nei Territori, Le piccole sorelle di Eluria mostra come perdita e solitudine saranno le assidue compagne di un uomo costantemente in cerca, che può conoscere pace e riposo solo per brevi istanti nella propria vita. Una vita vissuta all’ombra di un sogno che gli farà perdere le cose importanti, non lo farà accorgere che quanto veramente conta è già nel presente e non in un futuro ancora da realizzare. Un capitolo amaro e arido come il deserto in cui si vede Roland cavalcare nella prima scena, avanzando attraverso la feroce calura che secca ogni cosa; un luogo dove ogni cosa è morta, come se si trattasse di una regione dell’aldilà. Così appare Eluria, il villaggio in cui il pistolero entra: senza nessun segno vita, eccetto le macchie di sangue sul legno dei pavimenti, il corpo di un ragazzo in un abbeveratoio per cavalli e un cane inselvatichito che si ciba delle sue carni. E naturalmente i lenti mutanti usciti dall’ombra delle miniere venuti a prenderlo. Per quanto abile e veloce possa essere un figlio di Gilead addestrato all’uso delle pistole, poco può fare contro la brutale e semplice preponderanza numerica, se non andare incontro a un triste destino. Ma il ka ha in serbo un altro fato per l’unico sopravvissuto di Jericho Hill e un aiuto giunge inatteso; un aiuto che ha un suo fine e non è per nulla disinteressato e altruista, non importa se sulle sue vesti c’è il simbolo della Torre Nera: le illusioni alle volte possono essere più forti della realtà. O più semplicemente alle volte occorre tempo alla realtà per essere rivelata, perché non sempre un candido manto è segno di bontà e benevolenza e non sempre una progenie oscura è sinonimo di malvagità e assenza di sentimenti.
Un’esperienza che il pistolero, già segnato da tante vicende, ma pur sempre giovane, dovrà apprendere sacrificando gli ultimi rimasugli d’idealismo di un io che ormai non esiste più: sarà ancora una volta perdita, l’ennesimo pezzo di sé lasciato alle spalle sul sentiero che porta alla Torre Nera. Sarà l’inizio di una lunga lezione.
Una storia densa e toccante, nel pur breve rapporto che c’è tra Roland e la piccola sorella Jenna, disegnata da un ottimo Luke Ross, il cui tratto è il migliore e più appropriato per queste serie a fumetti della Torre Nera; un peccato che abbia lavorato solo su questo volume e non gli sia stato dato più spazio, perché i suoi disegni sono qualcosa davvero di meritevole e solo per essi il volume merita di essere acquistato.

La battaglia di Tull.La battaglia di Tull Come dice il titolo, tutta l’attenzione è concentrata sugli eventi che si verificano nel macilento villaggio di Tull, piccolo centro abitato che sorge in una terra arida, inospitale; una terra di passaggio dove nessuno sano di mente vi metterebbe radici. I fatti mostrati riguardano la prima parte del primo romanzo, L’ultimo cavaliere (si fa riferimento all’edizione del 1982, non a quella rieditata successivamente), solo che non sono introdotti dal racconto che Roland fa al colono Brown quando si ferma per una notte nella sua casa (questa parte è usata come mezzo nel sesto volume a fumetti Il viaggio comincia per raccontare gli avvenimenti accaduti dopo la battaglia di Jericho Hill): la trama, per il resto, è seguita fedelmente tranne alcune piccole digressioni per voler mettere un legame con quanto accaduto a Susan Delgado, la ragazza amata da Roland e bruciata al rogo per averlo aiutato nella sua missione a Hambry, e il famoso numero diciannove che tanto ricorre nella saga. Identica cosa succede con i dialoghi, che sono gli stessi letti nel libro.
La penna di Micheal Lark ben rappresenta lo scenario arido e fatiscente di Tull, mostrando lo sfacelo e il decadimento del villaggio e dei suoi abitanti: un tratto adatto al Medio Mondo, più di quello che per molti volumi si era visto con Jae Lee, ma non al suo livello di cura dei dettagli di quest’ultimo. Uno dei volumi a fumetti più brevi pubblicati finora sulla Torre Nera e più cari; assieme a Il viaggio comincia (il peggiore della serie), è quello che lascia un po’ un senso di delusione.

In definitiva, la serie a fumetti della Torre Nera è buona, nel complesso ben realizzata e curata, ma che può però essere davvero apprezzata da chi ha già conosciuto la storia di Roland attraverso i romanzi di King.

Moon Knight: Il Fondo

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Moon Knight: Il Fondo“Qualcuno deve farlo.” E’ con questa frase che inizia Moon Knight: Il Fondo, sceneggiato da Charlie Houston e disegnato da David Finch, dando subito l’impronta dello spirito che pervade un volume denso di atmosfere cupe, come ben si vede fin dalle prime tavole. Mark Spector, alias il Cavaliere della Luna, è riuscito a sconfiggere la sua nemesi, Bushman, la causa della sua morte e anche della sua rinascita per intercessione di Khonshu, Dio egizio della Luna, ma anche della vendetta. Ma lo scontro ha avuto il suo prezzo da pagare: Mark Spector ha subito gravi ferite fisiche, non riesce quasi più a camminare, costretto su una sedia a rotelle e a prendere medicine per lenire il dolore delle gambe rotte, sviluppando una dipendenza a alcool e medicinali. Non sono solo le sue gambe a essere spezzate: lo è anche il suo spirito. Caduto in una profonda e cupa depressione, allontana da sé le persone che gli sono più vicine, scivolando in un abisso di ira e follia. Isolatosi da tutti, con la sola compagnia del fedele maggiordomo, Spector si ritrova arrabbiato e disperato a imprecare contro il suo dio, ma anche a implorarlo di dargli un’altra possibilità di essere un eroe.
E mentre Mark cerca di ritrovare se stesso, qualcuno sta lavorando alle sue spalle: il Nuovo Comitato, deciso di avere vendetta per quanto Moon Knight ha fatto ai propri padri con un machiavellico piano.

Moon Knight: Il Fondo è una storia densa, cupa, violenta, che va a sviscerare i lati più bui di Mark, allontanandosi dalla sue origini misticheggianti di messo della giustizia divina e spingendosi verso la brutalità di vigilante mascherato. Il giallista Charlie Houston fa un ottimo lavoro sul personaggio, mostrando la caduta di quello che è stato un eroe, del conflitto interiore che lo tormenta, della follia che s’impossessa di lui fino a toccare il fondo. Con un’analisi lucida e coinvolgente, Houston mostra un interessante viaggio introspettivo, facendo interrogare il lettore sulla natura di certi odi, sulle verità che non vogliono essere viste, sulle scuse cui ci si attacca per non agire, sul lasciarsi andare, sulla disperazione, sul bisogno di avere qualcosa cui aggrapparsi per non sprofondare in un abisso senza fine.
Se a questo ci si aggiungono i magnifici e spettacolari disegni di David Finch, creatore di tavole dettagliate ed evocative, non si può non convenire che si è dinanzi a un ottimo volume, spettacolo sia per gli occhi sia per la mente.