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Rabbia

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Si prova rabbia per un mondo che va allo sfascio. Ma la rabbia non è rivolta per la rovina in sé (che non piace e non fa certo piacere vederla), ma perché non si vuole fare niente per evitarla, quando invece con responsabilità e impegno si potrebbe costruire qualcosa di nuovo che funziona. E’ questo lassismo, questa accidia, questo lasciar andare, che fa rabbia.

Si prova rabbia per la costante mancanza di rispetto a cui l’individuo è sottoposto, non più considerato come persona ma come numero, oggetto atto a dare energie, mezzi, ai grandi gruppi quali sono multinazionali e istituzioni che lo sfruttano finché è utile e poi lo accantonano (quando non lo schiacciano) nel momento in cui non è più utile.

Si prova rabbia nel vedere raccomandati, furbi, truffatori, disonesti passarla sempre liscia, rimanendo impuniti e continuando a fare come hanno sempre fatto, senza mai pagare per le proprie azioni.

Si prova rabbia nel vedere sempre le solite facce nei posti di potere, dove nulla cambia, dove tutto resta uguale anche se viene asserito il contrario. Possono cambiare i nomi (Berlusconi, Renzi, Salvini, Grillo), ma sono tutti uguali, tutto dello stesso stampo, tutti intenti a continuare a prendere in giro la popolazione e a fare solamente il proprio interesse, cercando d’accaparrarsi una poltrona e di mantenerla (leggere questo articolo per approfondire la questione).

Si prova rabbia nel vedere imprenditori, politici, banche, multinazionali, che, dopo aver fatto quello che gli pareva, dopo aver calpestato e usato i lavoratori e i cittadini comuni, dopo essere stati la causa della crisi economica che si sta vivendo, chiedono proprio a quelli che hanno calpestato di aiutarli, di dargli una mano, di trovare idee per risolvere questo stato delle cose. Per fare alcuni esempi dello sbando in cui ci si trova e con che tipo d’individui si ha a che fare, basta pensare a Renzi e al suo chiedere idee per venire fuori da una situazione in cui non sa dove mettere le mani, ritrovandosi poi come al solito a difendere i poteri forti e a fare l’interesse degli imprenditori (emblematiche le parole di uno dei suoi ministri, Poletti, quando asserisce che gli imprenditori devono essere liberi di fare quello che vogliono). Oppure, per restare in ambito letterario dato su Le Strade dei Mondi si parla spesso di libri, del post di Fanucci dove l’editore chiede aiuto ai lettori perché trovino soluzioni per risolvere il problema del calo della vendita di libri e dove si pone la domanda di come mai si è giunti a questa situazione. I casi sono due: o si conosce benissimo la risposta e si cerca di fare quelli aperti e disponibili al dialogo per ingraziarsi i lettori (quindi è una presa in giro e la rabbia è sacrosanta) oppure si è privi d’intelligenza e allora ci si domanda perché si è scelto di fare il lavoro dell’editore se non si è capace di risolvere i problemi legati a esso (e anche qui c’è rabbia perché la legge dell’ignoranza non è più tollerata). In ogni caso, se si vuol capire come si è finiti in questa situazione editoriale, si leggano questi articoli Influenze e deterioramento delle storie e dello stile del Fantasy contemporaneo, Qualche osservazione sulla percezione da parte dei lettori dei romanzi fantasy realizzati in Italia, sta andando l’editoria? e si cominci a usare un po’ la testa e la responsabilità.

Si prova rabbia perché per anni in campo editoriale non si è fatto altro che puntare sul guadagno immediato, sul non investire, sul pubblicare mediocrità, sul non avere capacità ed esperienza, sul puntare sulla moda e su cose (libri è una parola troppo grossa per certe pubblicazioni) semplici che non facessero pensare. E ora che il boomerang sta tornando indietro, dopo aver preso in giro e mancato di rispetto ai lettori, dopo aver fatto come si voleva, si ha il coraggio di chiedere a tali persone di aiutarli, di tirarli fuori dai guai quando nei guai ci si è cacciati da soli, anzi, si è stati i suoi creatori.

Si prova rabbia per un mondo che sempre più usa due pesi due misure, dove chi è al potere, in ruoli di comando e controllo pensa di poter fare quello che gli pare e rimanere impunito: per questo si guardino le trasmissioni di Report, i sempre più numerosi casi di malaffare come Mafia capitale (che però è solo la punta di un iceberg ricopre tutte le istituzioni), ma anche quello che accade in America tra polizia e neri, in India dove gli stupratori sono rilasciati immediatamente e possono tornare liberi a massacrare e ammazzare le donne vittime della loro brutalità e violenza, e in tante altre parti del mondo.

Si prova rabbia per come gli individui si adeguano a un sistema fallito, perdendo la propria libertà, l’onestà intellettuale, la dignità, rendendosi schiavi di un modo di vivere che è solo apparenza e falsità, che impoverisce solamente.

Tanti, istituzioni e potenti in primis, sono così ciechi e ottusi che non si stanno rendendo conto di uno stato d’animo che sta crescendo sempre più, anzi, non fanno altro che agire in un modo che non fa che ingrossarlo. Di questo passo si arriverà al punto di rottura e dopo essere stato compresso tanto a lungo, questo stato non potrà che portare a una grossa esplosione e alle sue disastrose conseguenze: creare e accumulare tensioni, come ha insegnato la storia, non ha mai portato nulla di buono. Le due Guerre Mondiali avrebbero dovuto insegnarlo: si è così ignoranti da voler fare il “non c’è due senza tre”?
C’è da augurarsi che lo stato delle cose cambi nel futuro immediato, che qualcosa di nuovo, di più responsabile, di più valido inizi, ma non si è tanto speranzosi, non tanto per le poche prospettive che si vedono, quanto proprio per la mentalità che tanto è diffusa in un così alto numero di persone. Perché una delle verità è questa: i cambiamenti cominciano sempre dal singolo e se il singolo non ha volontà di rinnovarsi, di cambiare, nulla potrà mutare.

Hunger Games e il mito di Teseo e del Minotauro

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Hunger gamesQuella che segue è una breve riflessione incentrata, più che sui film o sui romanzi di Hunger Games di Suzanne Collins, sull’idea che sta alla base di questa storia. Una storia che ricorda molto il mito di Teseo e del Minotauro.
Il mito narra che Atene era soggiogata a Creta e che per questo era costretta a sottostare al suo volere: quando Androgeo, figlio di Minosse, morì nei giochi tauromachici, Minosse decise, per vendicarsi della città di Atene, che questa dovesse inviare ogni anno sette fanciulli e sette fanciulle da offrire in pasto al Minotauro. Nel mito classico il Minotauro (creatura dal corpo umanoide e bipede, ma con zoccoli, pelliccia bovina, coda e testa di toro) viene mostrato come selvaggio e feroce, perché la sua mente era completamente dominata dall’istinto animale, avendo la testa, e quindi il cervello, di una bestia, ma è interessante la rilettura che fa Igor Sibaldi in Quando hai perso le ali: di questo se ne parlerà alla fine dell’articolo.
Tèseo, eroe figlio del re ateniese Ègeo, per porre fine a questa brutalità si offrì di far parte dei giovani per sconfiggere il Minotauro. Grazie all’aiuto di Arianna, figlia di Minosse e Pasifae, che si innamorò di lui per poi essere abbandonata dopo aver lasciato l’isola, riuscì nell’impresa. Impresa che viene interpretata come segno di una liberazione dal giogo dell’impero minoico su Atene, che in seguito sarebbe divenuta una nuova potenza marinara.
Osservando, si può vedere la stessa storia in Hunger Games: Capitol City impone il suo giogo ai distretti che si sono ribellati, costringendoli a pagare un tributo: ogni distretto deve inviare un ragazzo e una ragazza agli Hunger Games, un gioco mortale pieno di trappole e nemici dove solo uno può sopravvivere.
Rispetto al mito classico c’è la spettacolarizzazione dell’evento, dove tutto è seguito da telecamere e trasmesso in televisione, ma il concetto rimane lo stesso: i giovani che vengono fagocitati, cannibalizzati dal sistema più forte, il modo per spezzare la resistenza di un popolo e minarla in modo che non ci si ribelli più, perché lo si colpisce nella sua risorsa vitale, perché giovani e bambini sono il futuro di un popolo, il mezzo con il quale esso evolve e sopravvive; se si menoma questa parte, l’intero popolo diviene più sottomesso e controllabile, impedendo che si ribelli. Se la ribellione però viene dai giovani, come dimostrano Teseo e Katniss, allora tutti ritrovano coraggio e forza.
Ma il sacrificio dei giovani, la ribellione che viene da uno di loro, non sono i soli temi ricorrenti. Esempio di Labirinto di Barvaux Durbuy in BelgioC’è l’analogia arena/labirinto, archetipo di morte simbolica dove si rinasce, c’è un cambiamento interiore che porta a crescere, perché “Nel labirinto non ci si perde. Nel labirinto ci si trova. Nel labirinto non si incontra il Minotauro. Nel labirinto si incontra se stessi.” (H. Kern). Il labirinto è una struttura in apparenza caotica, ma in realtà creata appositamente in questo modo per mettere alla prova, per testare le capacità, il modo di affrontare le paure. Un modo anche per coprire gli orrori creati: nel mito, un mostro nato dalle scelte dei genitori; nell’opera di Suzanne Collins, la distopia di un sistema. Un luogo che è l’incarnazione dell’alienazione della coscienza: in un caso di quella di Minosse che non avrebbe potuto distruggere il Minotauro perché sarebbe equivalso a uccidere se stesso, nell’altro della parvenza di governo che in realtà è una dittatura. Un luogo dove regna violenza, dove può esserci collaborazione, alleanza, ma non può esserci amore, almeno non ricambiato: è così per Arianna che non è corrisposta da Teseo e viene solamente usata, è così per Peeta che non è corrisposto da Katniss (almeno all’inizio).
Il labirinto, gli Hunger Games, sono una maschera del nulla, del vuoto. Come il Minotauro, i pericoli dei giochi sono la maschera della brutalità del potere. Maschere che pochi sono in grado d’infrangere: solo chi ha volontà e valori più grandi di quelli cui i più seguono può farlo.
Come accennato in precedenza, il Minotauro ha una connotazione negativa, è il nemico da abbattere e superare per ottenere la ricompensa (la vita). Ma Igor Sibaldi lo pone sotto una luce diversa. Asterios (quello che viene dalle stelle) è il suo vero nome e tutti ne avevano timore perché era diverso, in lui scorrevano i geni del dio da cui discendeva, qualcosa di più gande degli uomini. Asterios è Figlio, ovvero colui che impara ad aver paura di sé perché il padre ne ha paura. E’ chi rifiuta e nasconde, come fosse una colpa inconfessabile, la propria individualità, perché il padre, i padri lo accettino e si salvino e rimangono. Poi diverrà più rapidamente come loro; imparerà a non saper reagire a ciò che di nuovo, di grande e di fragile ancora si manifesterà nei suoi figli. (1)
Il Minotauro non era il demonio divoratore di giovani che tutti credevano, ma piangeva sui resti dei bambini che erano uccisi dalle guardie: queste erano le urla che si udivano. Il labirinto era il monumento all’oblio e in ciò che si vuole dimenticare abitano e crescono gli incubi. Perciò l’infanzia che dimentichi ed escludi può diventare, nella mente dei molti, una minaccia. (2) Un monumento al tradimento del Bambino, dove si segue il rassegnarsi e a collaborare con chi opprime, mentendo agli altri, ma soprattutto a se stessi.
Thésée et le Minotaure, Étienne-Jules Ramey, 1826. Giardino delle Tuileries (Parigi)Asterios, come ogni bambino, era arrivato a credere che gli altri avessero ragione di odiarlo, d’esser davvero la causa degli orrori del labirinto, vivendo in un incubo continuo, fino a quando venne ucciso da Teseo, l’eroe. Come fa notare l’autore, tra i due ci sono analogie. Entrambi figli illegittimi concepiti attraverso l’inganno. Entrambi cresciuti lontano dal padre. Ma mentre Asterios è il Bambino sconfitto, che si rassegna, Teseo è quello che crescendo non cede. E mentre Asterios era odiato, Teseo era amato: è questa la grossa differenza tra i due, che cambia il loro essere; è la mancanza d’amore che può creare mostri, creature squilibrate che vivono male e fanno vivere male. Certo la volontà dell’individuo di non seguire un modello conta, ma conta anche l’ambiente circostante, soprattutto se non si hanno avuto mai davanti esempi che possono aver mostrato che può esserci qualcosa di diverso da quanto conosciuto e che la vita non è solo il mondo in cui si è vissuto.
Asterios e Teseo sono le due possibilità di scelta: il primo a rassegnarsi a obbedire, rispettare i muri creati dagli altri e rinnegare ciò che c’è di diverso. Il secondo elimina tutto ciò che è il primo, sciogliendo legami e costrizioni; certo è duro, faticoso e rischioso, ma è l’unica via per la libertà e il vero vivere, altrimenti è solo schiavitù.
Come scritto da Brandon Sanderson in Parole di Lucetutte le storie sono già state narrate. Le raccontiamo a noi stessi, come hanno fatto tutti gli uomini che siano mai vissuti. E tutti gli uomini che vivranno. Le uniche cose sono i nomi” (3) che cambiano. Adesso si hanno Katniss e Hunger Games, allora si avevano Teseo e Minotauro, in futuro si avrà qualcun altro, ma la storia rimarrà sempre la stessa, con il suo insegnamento da apprendere.

1. Quando hai perso le ali – Igor Sibaldi. Frassinelli 2008 pag.62
2. Quando hai perso le ali – Igor Sibaldi. Frassinelli 2008 pag.66
3. Parole di Luce – Brandon Sanderson. Fanucci Editore 2014 pag.809

Poesia per il Bambino

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Questa vorrebbe essere una poesia semplice

Dove di pace si vorrebbe parlare

Ma non lo si può fare

Perché non c’è traccia della pace

 

Nessuno ci vuole avere a che fare nel mondo

E’ stata abbandonata in un angolo profondo

Come tante altre cose buone

Comprensione, giustizia, equità, verità, libertà, compassione

 

Tutti vogliono dimenticare

Ma dimenticare è una maledizione

Un carico che può schiacciare

Perché porta solo oppressione

 

Tutto è cupo nel cuore dell’uomo

E sembra perduto tutto quello che c’è di buono

Dove ciò che ha valore è visto solo come scontento

Non è altro che foglie portate dal vento

 

Ma in questa notte, come in tutte le altre da vivere

Sarebbe bello rammentare del Bambino il nascere

Ma non solo il Bambino che è diventato Salvatore

Ma anche quel Bambino che in ogni individuo è nel cuore

 

Quella piccola fiammella che porta luce e calore

Che dona alla vita un po’ di colore

E la rende una continua scoperta

Accogliendo quanto di buono c’è perché lascia sempre una porta aperta

 

Luce

Parole di Luce

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Parole di luceParole di Luce è il secondo volume di Le Cronache della Folgoluce di Brandon Sanderson, un romanzo che supera di poco le milleduecento pagine nella traduzione italiana contro le quasi 1150 del precedente, La Via dei Re . Milleduecento pagine che scorrono piacevolmente, anche se non sono ricchi di eventi eclatanti; da questo punto di vista il ritmo è lento, dove ogni evento è un tassello di preparazione all’arrivo di qualcosa di grosso, una lenta scoperta che fa capire come tutto si stia ammassando, caricando come fa un’altempesta prima di esplodere in tutta la sua forza.
Già dal primo libro si è capito che ci sarà un conflitto di portata mondiale, dove tutti saranno coinvolti. Un conflitto che sarà di dimensioni epiche, che vedrà scendere in campo potenze gigantesche. Ormai si è capito che sta tornando il passato che è stato, che i Radiosi stanno riemergendo e si dovranno combattere i Nichiliferi. Ma come avverrà? Quali saranno gli schieramenti che si affronteranno?
E’ sui misteri da dipanare che Sanderson tiene viva l’attenzione del lettore in Parole di Luce, con una prosa scorrevole, ricca di dettagli, che vengono curati con attenzione senza però scadere nel prolisso. Un lavoro minuzioso e curato, davvero ben fatto se riesce a tenere incollati alle pagine anche se mancano dei veri momenti epici come accaduto nel primo libro (vedasi Dalinar che in Stratopiastra affronta da solo un abissale o Kaladin che va in suo soccorso quando è tradito da Sadeas e lasciato con i suoi uomini ad affrontare l’esercito dei parshendi).
Questo non significa che tutto scorra tranquillo. I combattimenti ci sono, ma non sono presenti in questo romanzo come in La Via dei Re, in buona parte perché, non essendo più pontiere ma guardia del corpo, Kaladin non prende parte alle sortite degli eserciti Alethi sugli Altipiani alla conquista delle cuorgemme: il suo nuovo ruolo lo vede impegnato a organizzare e addestrare chi deve assicurare la protezione di Dalinar e del re. Il loro posto è preso dai duelli in cui è impegnato Adolin per conquistare Strati, portando avanti così la strategia di suo padre nel cercare di costringere gli altri altiprincipi ad appoggiarlo e così rendere unito e saldo il regno. Ma per quanto ben descritti, non si riesce ad avvertire che i personaggi siano di fronte a prove che facciano riecheggiare atmosfere epiche.
Ci sono colpi di scena, anche se alcuni di essi si riescono a capire abbastanza facilmente (attenzione alla lettura dei prossimi brani: contengono spoiler).
Si capisce subito che l’incidente occorso a Re Elhokar sulla terrazza non è un tentativo dell’Assassino in Bianco o di un qualche luminobile che gli è avverso, ma che è causato da Moash (uno degli ex pontieri, ora soldato, sotto il comando di Kaladin) membro di una delle fazioni che vuole una Alethkar guidata da una figura forte, salda e non il fantoccio viziato qual è il figlio del defunto Gavilar (il movente delle sue azioni è la morte dei propri nonni, unica famiglia rimastagli, perché Elhokar ha voluto favorire un luminobile suo conoscente). Non sorprende che alla fine tra Moash e Kaladin ci sia un confronto, con il Folgoeletto che dopo qualche titubanza ritrova la sua via, che è quella di proteggere (proteggerò perfino quelli che odio, purchè sia giusto (1): queste sono le Parole che conferiscono forza ai Radiosi di cui tanto si parla nel libro e che danno anche il titolo al romanzo). Lascia un po’ perplessi invece la decisione presa da Kaladin di dargli la Stratopiastra e la Stratolama concesse a lui, nonostante non sia del tutto convinto del modo di fare della fazione che il compagno appoggia: è vero che è arrivato a comprenderla e a ritenerla quasi necessaria (scoprirà che il luminobile favorito da Elhokar è quello esiliato nella città dove abitava, la causa dell’entrata nell’esercito di suo fratello e della sua successiva morte), anche se non gli piace, ma da lui che era arrivato a essere così diffidente verso tutti, ci si aspettava un discernimento diverso.
Altra perplessità è che ci siano voluti due libri per mostrare il ritorno di due Radiosi e poi nella parte finale del libro comincino a proliferare (di Dalinar ce lo si aspettava, ma Renarin salta fuori all’improvviso). Così come cresce il numero di persone che possono assorbire e usare la Folgoluce; cosa che ricorda un po’ quanto avvenuto in La ruota del Tempo di Robert Jordan con gli asha’man, solo che in quel caso gli uomini capaci d’incanalare erano visti in modo peggiore rispetto ai vincolaflussi.
Non sorprende il colpo di testa di Kaladin, dopo essere andato in soccorso di Adolin e Renarin durante il duello nell’arena contro quattro Stratoguerrieri, di chiedere il Diritto di Sfida contro Amaran per il tradimento perpetrato nei suoi riguardi e per questo fatto arrestare dal re (evento che gli farà prendere coscienza delle ragioni di chi l’ha contattato per togliere di mezzo Elhokar),
Non sorprende che sia Shallan da piccola ad avere ucciso la madre e che il padre si sia assunto la colpa della sua morte (avvenuta per legittima difesa, dato che la madre voleva eliminare la bambina per via della sua natura). Sorprende invece un poco quando Shallan scopre di essere una Vincolaflussi e senza rendersene conto evochi una stratolama. Il che fa capire che è una cosa di famiglia, dato che anche il fratello Helaran ne possedeva una (con sorpresa, si scoprirà che Helaran è lo Stratoguerriero che Kaladin ha ucciso quando era al servizio di Amaram, il luminobile che lo ha tradito e lo ha reso schiavo dopo avergli ucciso tutti i suoi amici e avergli rubato la Stratolama e la Stratopiastra che si era conquistato sul campo di battaglia). Una famiglia piena di segreti che lungo tutto il libro vengono mostrati con capitoli interamente dedicati a raccontare il passato di Shallan e del rapporto con il padre e i fratelli e di come siano finiti a essere legati con i Sanguispettri. Benché sia interessante la scoperta del passato della ragazza, da quando entra nei campi degli Alethi nelle Pianure Infrante assume una facciata che è troppo sopra le righe, divenendo quasi una seconda Arguzia; una facciata, come fa notare anche Kaladin, troppo costruita, che non fa provare quell’empatia, quel “tifare” per lei come avveniva in La Via dei Re.
Sia Shallan, sia Kaladin devono fare i conti con la loro vera natura che sta venendo a galla. In Kaladin era già stata manifestata nel volume precedente e lui deve semplicemente accettarla e affinarla per poter proteggere Dalinar e la sua famiglia, presi di mira dall’Assassino in Bianco e da chi lo manovra, che lo vogliono morto perché vuole riportare in vita i Radiosi e i vecchi codici, così da creare un baluardo contro la tempesta che sta arrivando.
Mentre è in Parole di Luce che in Shallan comincia a prendere veramente forma ciò che lei è (e di cui si era dimenticata, avendo già avuto modo di scoprirlo grazie ad Arguzia, che anche in questo libro torna a fare la sua parte in un miscuglio di saggezza e irriverenza). Una Shallan più spigliata e audace, diversa dalla ragazzina insicura che cercava di aiutare la sua famiglia entrando nelle grazie di Jasnah e che si trova invischiata in qualcosa di più grande di lei. Una spigliatezza dovuta alla consapevolezza che c’è qualcosa di grosso in ballo e che ci siano misteri vitali da svelare (i Nichiliferi e dove trovare la città perduta Urithiru e cosa nasconde), ma anche dalla necessità, dato che rimane sola dopo l’assassinio di Jasnah (ma si ha da subito il presentimento che questa morte non sarà tale e che Jasnah, come si vedrà, tornerà nella storia), costretta a trovare quel coraggio che prima non sapeva di avere. In questa maniera riesce a sopravvivere agli assassini di Jasnah, ad arrivare alle Pianure Infrante, dove l’aspetta il fidanzamento combinato da Jasnah con il cugino Adolin e continuare la ricerca su Urithiru; proprio questa ricerca le farà avere una doppia vita, facendola divenire Veil (grazie al suo essere una Tessiluce, una Vincolaflussi che può cambiare aspetto manipolando luce e suono in tattiche illusorie) e infiltrandola tra le file di chi ha ucciso Jasnah per scoprire i loro piani.
I Dieci Flussi - Le Cronache della FolgoluceCome Kaladin ha Syl, anche lei ora è legata a uno spren: Schema (che però aveva già da bambina e di cui si era dimenticata). Interessante e ben costruito il rapporto tra i due, oltre che divertente, che mostra come la cooperazione tra loro porta a una crescita reciproca: per Shallan la conoscenza del mondo da cui viene lo spren e la consapevolezza delle proprie capacità, per Schema la scoperta delle emozioni e delle interazioni umane.
Molto azzeccata l’idea che gli spren, quando si legano a un umano, possano diventare la sua Stratolama o assumere la forma dell’arma che più si confà all’individuo, come succede con Kaladin che fa mutare in lancia o in scudo Syl (l’idea che le Stratolame siano esseri senzienti che si mutano in armi ricorda quella usata nel manga Soul Eater del 2003 di Atsushi Ohkubo, dove ci sono coppie di giovani, addestrati in una speciale scuola, in cui uno è il Maestro d’Armi che sfrutta i poteri del compagno che si trasforma in Arma) ed essere il mezzo per i Vincolaflussi di attingere alla Folgoluce.

Con Kaladin e Shallan viene mostrato come tra Roshar e Shadesmar ci sia un legame che sta venendo riscoperto. Sanderson mostra questa scoperta in maniera attenta e minuziosa, facendo un buon lavoro; un lavoro che prende spunto da storie che già si conoscono, che affondano nel mito e nelle credenze di molti popoli dove si professava un legame tra mondo materiale e spirituale, come a esempio gli indiani d’America, dove gli Spiriti erano visti come qualcosa d’importante nella vita dell’uomo. In fondo gli spren sono proprio questo: degli spiriti. Spiriti che aiutano l’uomo e che grazie a lui crescono e possono divenire più forti. In questo il lavoro di Sanderson ricorda l’ambientazione Mondo di Tenebra creato dalla Whitewolf, in special modo quanto descritto nel manuale Lupi Mannari – I rinnegati (pubblicato nel 2005). Diverse le similitudini: a esempio che le emozioni umane come rabbia e gioia attirino spren dello stesso tipo (rabbiaspren, gioiaspren), proprio come succede nel Mondo di Tenebra, dove simili emozioni attirano spiriti analoghi; altro esempio è che in entrambe le ambientazioni, nell’antichità c’è stato un tradimento nel mondo degli spiriti che ha cambiato le cose.
Albero della vitaMa questi non sono gli unici elementi da cui Sanderson prende ispirazione per creare la sua ambientazione: l’autore è molto legato alle religioni, dato che spesso nelle sue opere le rende elementi fondamentali. In special modo è ricorrente il tema dell’alterazione da parte di esse dei fatti, dell’operazione di ripulizia della realtà per renderla conforme al proprio credo e ai propri fini. In questo caso la ierocrazia ha cancellato le parti riguardanti i Radiosi perché ritenuti traditori, una macchia da cancellare (ma quale sia la verità, è ancora da scoprire).
Sempre riguardo il tema religione, se si è notato il disegno del precedente volume La via dei Re (in Parole di Luce viene descritto a pag.120), non si può non accorgersi quanto sia somigliante all’Albero della Vita della kabbalah ebraica. E del fatto che i Flussi (le forze fondamentali secondo cui il mondo opera e le abilità base offerte agli Araldi e poi ai Cavalieri Radiosi) siano dieci proprio come le Sephirot (gli attributi divini).

Interessanti due dettagli messi da Sanderson per far capire quanto sarà vasta la sua storia e abbia ancora tanto da dire.
Il primo riguarda la piccola Lift e mostra come i poteri dei Vincolaflussi non dipendano solo dalla Folgoluce, ma possano essere alimentati da altri fonti (in questo caso, il cibo).
Il secondo si riferisce al fatto che ci sia un legame tra le opere di Sanderson. Già lo si era compreso con la presenza di Hoid in diversi romanzi (questo, La Via dei Re, la saga Mistborn, Il Conciliatore), ma ora si ha un indizio in più, anche se per il momento è meglio parlare di sospetto. Dopo il secondo scontro con Kaladin, Szeth muore, ma viene fatto rinascere da Nin (o Nalan o Nale, Araldo della giustizia); essendo morto, il suo legame con l’Onorlama che possedeva è stato spezzato e per poter seguire chi l’ha resuscitato e quanto richiesto da lui, gli viene data una nuova Stratolama. Una lama nera, con un fodero di metallo, che parla nella mente di chi la possiede con un tono che chi ha letto Il Conciliatore non può non riconoscere: si tratta di Sanguinotte.

(Fine degli spoiler)

La struttura del romanzo si mantiene come il precedente volume: suddiviso in parti, con interludi tra una parte e l’altra dove vengono mostrati nuove luoghi e nuovi personaggi. Interessante l’introduzione di Eshonai, una parshendi, e del suo punto di vista che mostra come il suo popolo non sia come lo vedono gli alethi, e non sia quella massa di creature remissive che vengono usate come schiavi e servitori; bella la varietà delle loro forme che possono scegliere di assumere (libidinosa, tediosa, operosa, bellicosa, flessuosa) e delle ricerche di tutte quelle che sono andate perdute. Anche in questo popolo c’è un passato che è andato perduto ed è da riscoprire, soprattutto c’è da capire qual è il legame che c’è con i loro dei da cui si sono allontanati. Tra le altre cose, negli interludi viene mostrato uno Szeth che si ritrova a riflettere sul fatto che gli è stato mentito e che è stato usato, e una nuova figura al momento sconosciuta ma fortemente legata alla giustizia, che si aggira per Roshar eliminando chi presenta la capacità di vincolare i Flussi per cercare di non far tornare (almeno a quanto afferma) la Desolazione nel mondo (belli e in alcuni punti toccanti i capitoli dedicati al vecchio Ym e alla piccola Lift).
Come già si è capito, i protagonisti della vicenda sono Shallan e Kaladin, ma anche Adolin ha un ruolo di primo piano in Parole di Luce, prendendo il posto di suo padre (che qui è più dietro le quinte), cui invece era stata data grande attenzione in La via dei re. Da notare come entrambi i titoli dei romanzi di Sanderson siano i titoli di volumi che nelle due storie hanno un ruolo importante: La via dei re è il tomo cui Dalinar s’ispira per far salvare il regno, Parole di luce è il tomo che Jasnah consegna a Shallan per farle comprendere la natura dei Vincolaflussi.
Il disegno posto all’inizio di ogni capitolo, come nella precedente opera, fa subito comprendere chi sia il personaggio su cui si concentra l’attenzione: per Kaladin si hanno sempre delle lance levate verso un vessillo (a indicare il suo essere soldato e la sua maestria nell’uso della lancia, arma che ha insegnato a usare anche agli altri pontieri), per Shallan lo stilizzazione di Schema, lo spren che l’accompagna (a parte i primi capitoli, quando non l’ha ancora riscoperto, dove ha un sole che sorge sul mare), per Adolin uno Stratoguerriero in posa con una Stratolama, per Dalinar uno stemma che rappresenta uno scudo con sopra una corona e la porta di una fortificazione.
Questo a indicare la cura e la professionalità che le case editrici straniere danno a un’opera, a quanto ci credano e siano disposte a investire.

Parole di luce è un libro molto buono, in alcuni punti ottimo, che incarna l’epica classica (anche se poi ci aggiunge altri elementi, rendendolo qualcosa di più: molto attuale l’immagine degli Altoprincipi di Alethkar persi in lotte di potere tra loro, divisi da egoismi e interessi personali, che se ne fregano del bene del paese e della popolazione, proprio come purtroppo si vede fare dai governanti di casa nostra, per esempio). Dalinar è la guida salda e sicura del regno, che segue ideali e valori. Adolin è il suo campione, che oltre alla maestria nelle armi, ha un gran fascino verso il gentil sesso, ricordando in questo Lancillotto. Gli Stratoguerrieri dipingono le loro armature, rendendole colorate proprio come nelle descrizioni dell’opera di Thomas Malory, Re Artù e i Cavalieri della Tavola Rotonda. Kaladin è l’eroe, l’eletto, che viene dal basso, in cerca di riscatto. C’è la ricerca di qualcosa di prezioso che è andato perduto. C’è riverenza e rispetto da parte degli uomini verso le Stratolame, venendo viste come qualcosa che eleva.
In tutto il romanzo si respira un’atmosfera epica, anche se rispetto a La via dei Re manca di momenti veramente epici come già detto. C’è da dire che a livello di stile non presenta errori come è stato fatto nel prologo Uccidere del precedente volume. Presenta momenti veramente belli, come quando Shallan ritraendo le persone le conferisce un aspetto migliore, più sicuro, più dignitoso e le persone, vedendo come sono raffigurate, cominciano a credere di poter essere così e alla fine diventano davvero in questa maniera, elevandosi dalla condizione in cui erano, diventando individui migliori. Ben fatte e intriganti le visioni che ha Dalinar durante le altempeste e le scritte che compaiono sui muri con il conto alla rovescia che avvisa dell’arrivo di qualcosa di grosso.
Dialoghi, descrizioni, concetti, fluiscono sempre senza stonature, sempre ben integrati nel contesto in cui si trovano. Alcune frasi sono davvero ben riuscite, coma a esempio questa pronunciata da Jasnah: “Usare un viso affascinante per indurre gli uomini a fare ciò che vuoi non è diverso da un uomo che usa i muscoli per costringere una donna a fare come vuole lui. Entrambe le cose sono spregevoli e verranno meno con il passare dell’età.” (2). O questa di Arguzia: “Tutte le storie sono già state narrate. Le raccontiamo a noi stessi, come hanno fatto tutti gli uomini che siano mai vissuti. E tutti gli uomini che vivranno. Le uniche cose sono i nomi” che cambiano. (3)
Ma in alcuni casi ci sono degli scivoloni che stonano con il contesto: certe scelte possono essere state effettuate per alleggerire l’atmosfera, per dare un tocco divertente, ma che Shallan, durante quello che dovrebbe essere il corteggiamento, per stupire chieda ad Adolin se mai se l’è fatta addosso quando indossava la Stratopiastra, è una caduta di stile, un andare verso il basso che si poteva (e doveva) evitare. Anche Bastiano Baldassarre Bucci in La Storia Infinita di Michael Ende fa qualcosa di simile, chiedendo al professore di religione se Gesù andava mai al gabinetto (e ricevendo una nota di biasimo per questo), ma lì è comprensibile, dato che si tratta di un bambino ed è un qualcosa capace di strappare un sorriso, visto che mostra la curiosità, l’innocenza e l’ingenuità dell’età dell’infanzia; in un dialogo tra persone ormai adulte (Adolin ha più di vent’anni, Shallan diciassette), se non si vuole essere scadenti, è qualcosa che non ci si aspetta. D’accordo che nella società attuale si è abituati a discorsi del genere (e anche peggiori), ma proprio per questo, almeno in un libro che vuol essere di un certo stampo, sarebbe stato meglio che non ci fosse stata una cosa del genere: due pagine del genere non aggiungono nulla a un lavoro di milleduecento (anzi, forse lo tolgono) e potevano essere tranquillamente evitate.
A parte le osservazioni su alcuni punti deboli, Parole di Luce è uno di quei libri che si rileggono volentieri perché riecheggiano di epicità, di valori perduti che vengono ritrovati, di grandezza, della ricerca che spinge verso l’alto, che volgono a tirar fuori il meglio che c’è in un animo. Un romanzo che lascia qualcosa di buono, che solleva ed eleva. Un’opera fantasy che si distacca dall’attuale produzione che ha invaso le librerie con storie che si mettono nella scia del lavoro di successo di vendita qual è quello di George R.R. Martin, romanzi prettamente incentrati sulle bassezze umane e di quanto si può sprofondare nel fango e nel sangue (non che il fantasy più cupo sia un male, se qualitativamente valido come quello di Joe Abercrombie è ben accettato, purché non diventi la totalità del genere). Ed è un bene che sia così, perché ci si è saturati di vedere il peggio essere protagonista (chi è in Italia vive costantemente con questa realtà), si ha bisogno di qualcosa di diverso: non il falso ottimismo che tanti ipocritamente elargiscono (politici ed imprenditori in primis), ma la conquista di valori come onore, dignità, giustizia e conoscenza per costruire un mondo migliore, per fare sì che la vita sia meritevole di essere vissuta. Una storia come già detto che è permeata dell’atmosfera di poemi antichi, di cavalieri e dei loro codici, di dei e dei loro patti con gli uomini e che per quello che sa evocare ricorda la trilogia di Fionavar di Guy Gavriel Kay, altro autore capace di realizzare un’opera epica e profonda.

Alcune note sull’edizione italiana.
Sono state mantenute le illustrazioni all’interno del volume e la copertina originale.
Per una scelta editoriale (forse di costi) è stata omessa l’immagine di Shallan che dipinge presente invece nell’edizione originale; ci si domanda se invece non era possibile metterla al posto di una delle mappe presenti nel volume italiano, dato che per tre volte è riportata sempre la stessa immagine (due a colori e una in bianco e nero).
Per quanto non come nei volumi di La Ruota del Tempo di Robert Jordan, qualche refuso è presente. Oltre a ciò, si nota a pag. 433 un grosso errore: non si sa se anche nell’opera originale è presente questa svista, ma Shallan viene sostituita con Jasnah nel dialogo/scontro con Tyn, quando Jasnah non è presente sulla scena (è morta centinaia di pagine prima).
La copia in possesso (un regalo, come è stato per La Via dei Re, che altrimenti non si sarebbe avuta a causa del prezzo), oltre a presentare la rilegatura nel dorso incompleta (il pezzo che è stato usato non ricopre tutto il blocco di pagine, ma ne lascia fuori un buon centimetro), ne presenta una parte non incollata.
Ultima nota, il prezzo. Non ci si può aspettare che un volume del genere venga venduto per una ventina di euro o meno come prima edizione, visto quanto è lungo e com’è realizzato: ci sono i costi di traduzione, i diritti per l’autore, l’alto numero di pagine e le illustrazioni. Tutto questo ha un costo, che deve però essere adeguato: già 30 E per La via dei re era sopra le righe (qualche euro in meno avrebbe reso il prezzo più equo), ma 35 E per un romanzo dello stesso stampo è un prezzo che presenta un rialzo eccessivo (se però si pensa che Elantris, dello stesso autore, con quasi metà delle pagine, nessuna illustrazione e in edizione economica, viene venduto a 30 E, si capisce dove si poteva arrivare con un volume come Parole di luce). Se le vendite del romanzo non saranno soddisfacenti come preventivato, non si deve ricercare il motivo nella qualità dell’opera, che è ottima, o sul fatto che non trovi riscontro d’interesse da parte dei lettori (che c’è), ma proprio sul costo, che disincentiva l’acquisto. Se il prezzo aumenta di cinque euro a volume, si può immaginare quanto si verrà a pagare l’ultimo capitolo della saga. E questo non trova giustificazione, qualsiasi cosa dica la casa editrice che lo pubblica o chi la difende.
Shallan - Parole di Luce

1. pag. 1127

2. pag. 255

3. pag. 809

Altempeste

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Altempeste

La forma di queste nubi mi ha fatto venire in mente le altempeste di Roshar, il mondo dove si svolgono le vicende delle Cronache della Folgoluce di Brandon Sanderson.

La via dei re

L'assassinio dei bambini

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La cronaca di questi giorni è purtroppo tristemente ricca di bambini che vengono uccisi dai propri genitori. E’ allucinante e allarmante quanti piccoli in questi ultimi anni sono stati ammazzati proprio dalle persone a loro più vicine, coloro che gli hanno dato la vita. Neonati che appena venuti alla luce vengono buttati nella spazzatura, messi in lavatrice, abbandonati sul bordo della strada. Se non si vuole un bambino, ci sono tanti metodi di contraccezione per evitare il concepimento (c’è l’imbarazzo della scelta: dal preservativo alla pillola, alla spirale, solo per citarne alcuni); oggigiorno, con tutti i mezzi che ci sono, non ci si può attaccare all’ignoranza, al non sapere le cose. Eppure succede anche questo; ci sono persone che agiscono senza pensare, senza essere consapevoli delle loro azioni, delle conseguenze che possono portare. E va a finire che sono sempre altri a pagare per il loro modo di fare, spesso i più deboli, chi non ha colpa, perché un bambino non chiede di venire al mondo, non è una sua scelta quella di nascere, ma di individui che dovrebbero essere adulti, consci di cosa stanno facendo.
Purtroppo il mondo sta diventando carente di persone responsabili e invece è ricco di persone in cerca semplicemente del divertimento di un momento, d’individui egoisti che pensano solo ai loro capricci, che se ne fregano degli altri. A causa loro si hanno spesso bambini abbandonati a se stessi, che si devono arrangiare, che crescono come possono perché non hanno una guida, divenendo alle volte individui viziati, capricciosi, irresponsabili, privi di valori e soprattutto privi di rispetto verso gli altri, perché è questo che hanno appreso dai genitori.
Alle volte però succede che scatta qualcosa dentro ai genitori che inspiegabilmente li porta a uccidere il proprio stesso sangue. Disperazione, depressione, patologie psicologiche: le cause possono essere tante e alle volte non si riesce a dare spiegazione, non si riesce a capire qual è la molla che scatta e fa portare a compiere un gesto efferato. Si può provare a ricercare la causa nella fragilità umana, nelle conseguenze del vivere in un sistema alienante che ha minato l’animo umano, ma rimane sempre e solo una parola per descrivere quanto accade: follia.
Molto individui stanno impazzendo, si sono spezzati per un vivere che non è più vivere e il simbolo di questa follia è l’assassinio dei bambini: non c’è cosa peggiore che uccidere qualcosa di piccolo e indifeso, che ha tutta una vita davanti, un mare di sogni e potenziale cui dare realizzazione. Uccidere un bambino è uno dei crimini peggiori che possano esserci, perché non solo si spegne una vita, ma si spezza quello che esso rappresenta: la speranza, i desideri, la capacità di sognare, immaginare.
Una società che non difende i bambini, ma che li uccide, è una società che non ha prospettive, è destinata a creare un futuro d’inferno. Nel momento in cui un bimbo dice che non ci si deve preoccupare dei mostri, ma delle mamme, occorre riflettere seriamente sul punto in cui si è arrivati.
Quando Go Nagai nel 1972 creò il manga Devilman, spiegò che la sua nascita era dovuta a un periodo in cui provava un grande senso di sfiducia e rancore nei confronti della società che l’aveva duramente criticato per Harenchi Gakuen. La sua opera, così dura, cruda, è riuscita a fare una spietata analisi di una civiltà che sta decadendo, lasciandosi andare ai suoi istinti più bestiali, divenendo più dei diavoli che degli esseri umani. Per comprendere quanto sia stato ben fatto e d’impatto il lavoro di Go Nagai, si osservino alcune tavole prese dal terzo volume di Devilman – Definitive Edition edito dalla Dynamic nel 2004 .

Devilman, la morte dei bambini

Devilman, la morte dei bambini

Devilman, la morte dei bambini

Devilman, la morte dei bambini

Colori d'autunno

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Colori d'autunno

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La nascita della dittatura

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Si sta vivendo in un periodo per nulla positivo. E non riguarda solo la crisi economica che si stringe sempre di più, per governi che sono sempre più lontani dai cittadini facendo solo il proprio interesse e quello dei poteri forti, per una corruzione e un malaffare che sono sempre più diffusi (quanto è stato scoperto è solo la punta di un iceberg), ma il modo di vivere e comportarsi delle persone, sempre più irrispettoso della vita, sempre più sprezzante degli altri, sempre più intollerante. I casi di individui che uccidono i propri coniugi, i propri figli, i propri genitori sono all’ordine del giorno; gente che viene ammazzata per una discussione, o anche senza motivo, è ormai quotidianità. Le persone muoiono senza motivo, alle volte per le disattenzioni altrui, altre volte perché non si rispettano regole (è il caso dei cosiddetti incidenti stradali e delle “catastrofi” ambientali, che non ci sarebbero se solo si facesse manutenzione, cosa che non avviene più).
In tutto questo contesto, c’è una carica d’odio, di rabbia sempre più crescente nelle persone. A influire è stato il fatto di non poter più avere il tenore di vita che si faceva qualche anno fa a causa della crisi economica: la gente, abituata al consumismo, a permettersi viaggi durante le ferie, fa fatica ad accettare la perdita di privilegi e a non avere più un certo tenore di vita. Perse quelle che per lei erano divenute certezze, ha smarrito l’equilibrio, trovandosi spaesata, riempiendo il vuoto creatosi con un’insofferenza che va via via trasformandosi in rabbia e poi in odio. E’ così che si cominciano a vedere gli altri come la causa della propria condizione e si inizia a prendere di mira gruppi di persone, spesso di etnie diverse. E’ così che rom, extracomunitari, musulmani, tedeschi, chiunque sia diverso, sono additati come responsabili del proprio malessere, della propria condizione.
Non si riesce a capire che il problema è stata la creazione di un sistema sbagliato dove tutto si basa sull’economia e sul denaro, che non poteva essere a lungo sostenibile, dato che sarebbe arrivato il punto in cui si sarebbe giunti a saturazione e la crescita avrebbe avuto un arresto, portando a una regressione della condizione raggiunta. Hitler e Mussolini, individui che hanno creato una dittaturaLa perdita delle sicurezze acquisite ha creato un disorientamento che può essere sfruttato da alcuni individui per portare avanti il proprio interesse. Se si è studiato la storia, è così che è accaduto nel periodo precedente la Prima Guerra Mondiale: alla Belle Époque (oltre che allo sfarzo quest’epoca è stata contraddistinta da una mancanza di valori, dove tutto si viveva con frivolezza) è seguito un crollo che ha portato a uno dei conflitti più sanguinosi. Storia che si è ripetuta con la Seconda Guerra Mondiale dove un individuo come Hitler ha saputo sfruttare il desiderio di rivalsa del proprio popolo per dare vita ad anni di devastazione, orrore e morte.
E’ in periodi come questi, dove regna la confusione e l’incertezza, che le persone anelano ad avere una guida forte, sicura, che gli dia tranquillità. Ed è così che spesso si affidano a individui che creano sistemi ferrei, dove la libertà è la prima cosa a essere sacrificata e il primo diktat imposto è l’obbedienza, dove l’individuo si deve annullare in favore dell’unità del partito, della nazione.
E’ così che nasce la dittatura.

Alba d'autunno

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