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I Segugi dell'Ombra - Parte Prima

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I segugi dell'ombra - parte primaIl sangue del Dio Morente offre una via di fuga, da tutto quello che conta. (1)
Chi è il Dio Morente di cui scrive Steven Erikson nella prima parte di I Segugi dell’Ombra? Che razza di essere può ispirare un culto che fa sorgere nei campi coltivati schiere di spaventosi spaventapasseri colanti lucori scuri anziché rigogliose messi e dove bere il suo sangue porta alla pazzia, al perdere se stessi?
Un essere che anela certamente al potere e per arrivarci sfrutta le masse, ma per quale motivo lo vuole? Conquista? Vendetta?
E da dove è sorto? E’ sempre esistito o è la creazione degli umani o di un’altra entità sconosciuta?
Come se i pezzi sulla scacchiera non fossero sufficientemente numerosi nell’intricata trama della saga Malazan, nuovi protagonisti vengono gettati nella mischia da Erikson. Senza contare che lo scrittore canadese dà nuova forma a personaggi già incontrati nel lungo percorso che finora in Italia è giunto al suo ottavo capitolo, come succede al Redentore, una nuova divinità, con tanto di relativo culto, che si trova a dover coesistere proprio con quello del Dio Morente all’interno del territorio sotto il governo di Anomander Rake.
Mentre a Corallo Nero tutto appare immutabile perché avvolto nella perenne notte e permeato dalla vita senza sussulti emotivi condotta dai Tiste Andii e dal loro signore, la quotidianità che staziona a Darujhistan dopo gli scontri con l’Impero Malazan narrati in I Giardini della Luna, sta per essere scossa da diversi arrivi. Per Cutter (un tempo Crokus), Rallick Nom e Torval Nom è un ritorno a casa, ma diverse sono le cose che sono cambiate, a partir da loro stessi; per Barathol Mekhar, Scillara è la possibilità di cominciare una nuova vita. Se a questo si aggiunge un gruppo di ex Arsori di Ponti che ha aperto un bar dove un tempo sorgeva il tempio di K’rul (con annessi spiriti di gente dei tempi andati) e una Corporazione di Assassini che sta ristabilendo le proprie gerarchie e riappropriandosi del potere perduto, si può immaginare quale piega possano prendere gli eventi.
La staticità descritta per buona parte del libro è la quiete prima della tempesta: una narrazione lenta dove tanti sono i personaggi che si stanno preparando per entrare in scena, dove le forze soprannaturali che si tengono dietro le quinte stanno macchinando le loro mosse. Personaggi e forze di cui spesso non si riesce a capire l’identità, rendendo a lungo difficile comprendere chi è che sta agendo: questo è il punto debole di I Segugi dell’Ombra, dove ci si trova spaesati e non si capisce chi è in scena, se un nuovo elemento immesso dallo scrittore oppure una figura già incontrata lungo il percorso e che si presenta con una nuova identità. Per chi è abituato a leggere Erikson non è una novità, ma in certi punti è arduo riuscire a raccapezzarsi di chi sta agendo; senza contare che avere memoria di tutte le vicende passate e delle decine e decine di protagonisti che le hanno vissute e realizzate, è un compito non da poco. Se oltre a ciò si aggiungono variazioni di alcuni nomi che possono lasciare sul momento spaesati (Sorella Ripicca diventa Sorella Spite) e che si è potuto leggere solo la metà di un capitolo (ma non per colpa dell’autore, quanto della pubblicazione italiana che spezza in due parti volumi unici) che è solo l’ottavo tassello di un puzzle di dieci pezzi, non ci si deve meravigliare che il quadro generale non sia ancora chiaro.
Superati questi scogli, ci si trova come sempre dinanzi a un lavoro dal respiro epico, di una grandezza sconfinata e profonda come lo è la Storia con le sue lezioni, la saggezza che impartisce e la crudezza che elargisce. Un lavoro reso vivo da personaggi granitici nella loro determinazione, grandi anche nella sconfitta, nella perdita, nella morte.
Come sempre, temi centrali della saga Malazan sono l’osservazione, lo svisceramento e la critica delle meccaniche delle istituzioni (sia governative sia religiose), del potere e delle cosiddette società civili, con i loro pesi, le loro catene da appoggiare sulle spalle della gente così da creare ogni genere di schiavitù, da quella più evidente degli schiavi a quella invisibile dei rimpianti, dei sensi di colpa. Una schiavitù che è in silente attesa di un liberatore, di qualcuno che spezzi il giogo; un qualcuno che porta una libertà che per essere realizzata dovrà essere associata alla violenza, alla rovina, alla caduta, come preannuncia Karsa Orlong nel suo implacabile e travolgente cammino.
Una critica contro le società, i governi, la civiltà che è impietosa perché vuol mostrare come le organizzazioni, le moltitudini non fanno altro che calpestare l’individuo perché la prima legge della moltitudine è la conformità. La civiltà è il meccanismo di controllo e di mantenimento di tale moltitudine. Più una nazione è civilizzata, e più conforme risulta la sua popolazione, fino a quando arriva l’ultima fase di quella civiltà, quando la molteplicità dichiara guerra alla conformità. La prima diventa ancora più selvaggia, ancora più disfunzionale nei suoi limiti estremi, mentre la seconda cerca di aumentare la propria capacità di controllo, fino a quando tali sforzi sfociano in una diabolica tirannia.(2)
Una realtà che non è limitata solo a I Segugi dell’Ombra o che va allargata all’ambito dello studio storico (non va dimenticato che Erikson oltre a essere scrittore è anche archeologo e antropologo), ma che rappresenta un meccanismo da tenere sempre presente, che è sempre attuale, se ci si sofferma a osservare il presente in cui si vive. Un fattore che rende ancora più prezioso il lavoro realizzato dallo scrittore canadese.
Di perle del genere il romanzo è ricco: è come essere dentro a uno scavo archeologico che strato dopo strato porta alla luce preziosi reperti in grado di arricchire e dare conoscenza. Non mancano certo i momenti ironici (come non sorridere di fronte ai siparietti tra Mogora e Iskaral Pust o tra quest’ultimo e i suoi seguaci Bhokarala) capaci di alleggerire un’atmosfera che s’addensa sempre di più e che nella parte finale del volume trova la valvola di sfogo per azioni efferate e travolgenti; ma se si ricercano le azioni risolutive occorre attendere l’uscita della seconda parte.
Per chi è giunto fino a questo punto, Erikson continua a essere una garanzia con la sua complessità e profondità. Per chi invece leggendo questa recensione e le altre dedicate alle opere precedenti, facesse un pensiero su iniziare la lettura della saga Malazan, ci pensi bene: il fantasy scritto dallo scrittore canadese non è né semplice, né lineare, né immediato, né nella media delle pubblicazioni commerciali incentrate solo ad attirare il maggior numero di lettori a cui si è abituati nel nostro paese. E’ una lettura adulta e matura, non di semplice intrattenimento, dove occorre attenzione a saper cogliere ogni dettaglio per comprendere la grandezza di questa opera. Chi ricerca una lettura impegnata, intensa, capace di far riflettere, troverà in Erikson una vera miniera; gli altri, si astengano.

1. I Segugi dell’Ombra. Prima parte pag. 549
2. I Segugi dell’Ombra. Prima parte pag. 535

Hawks

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Cose che non cambiano

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Nella vita ci sono cose che cambiano e altre no, che si protraggono nel tempo nonostante il mutamento delle civiltà, dei costumi, delle tradizioni.
Dopo l’avvento della Rivoluzione Industriale e lo sviluppo della scienza e della tecnologia, è cresciuta per una parte delle popolazione mondiale la qualità della vita, i confort cui aveva a disposizione. E più si ha una cosa e più ne si vuole: così si è dovuto aumentare la produzione, arrivando alla serializzazione dei prodotti. Se questo da un lato ha prodotto ricchezza, dall’altro ha causato sfruttamento delle risorse della terra e umane, inquinamento. C’è stato chi ha denunciato tale modo di fare vorace e sbagliato, che portava a mettere il pericolo l’equilibrio delle società e della natura e governi e istituzioni si sono mossi creando regole (spesso raggirate) e cercando di sensibilizzare le persone a moderare i consumi in nome della salvaguardia globale, in nome del bene di tutti. Sensibilizzazione spesso inascoltata, che ha portato sprechi vergognosi di pochi quando molti non avevano neppure di che campare.
Come tutte le cose c’è sempre un prezzo da pagare e il sistema basato sull’Economia è arrivato al suo crollo: molti si sono appoggiati a esso, ne hanno fatto il proprio modo di vivere, il proprio credo, il proprio Dio e quando si sono ritrovati a perderlo o a rischiare di perderlo, stanno facendo di tutto per salvarlo, per non rendere la loro vita vuota e inutile, per non vedersi privare di quello in cui si sono rispecchiati.
E così, proprio gli stessi governi e istituzioni che avevano parlato tanto di moderare e ridurre i consumi, ora si ritrovano a spingere le persone a consumare, perché altrimenti la macchina economica si fermerà e loro si troveranno a perdere tutti i benefici che essa gli ha dato.
Come la storia ha dimostrato, ai potenti preme solo il proprio interesse: soldi e potere per poter stare sopra agli altri, manovrarli e assaporare il senso di superiorità.
Come già detto, nella vita ci sono cose che non cambiano. E in questi casi, non è un bene.

Incontri nel meriggio

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L'importanza dell'inizio

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Quanto è importante l’inizio?
Alle volte vuol dire tutto, alle volte non significa assolutamente nulla. Può essere di aiuto oppure non avere alcuna influenza. Se ha influenza o meno, dipende sempre dall’individuo e da come decide di viverlo.
Di certo partire con il piede giusto aiuta, anche se poi ci vuole altro per mantenere quanto fatto e consolidare quanto di buono le basi hanno gettato: non avere costanza alla distanza può deludere e avere lo stesso risultato di una partenza stentata, forse anche peggiore, perché c’è la delusione delle aspettative.
Un inizio stentato o poco convincente può non far partire affatto. Per continuare, occorre o avere fiducia o avere una dose d’incoscienza (grande o piccola dipende dai casi) e d’arrischiarsi a proseguire in un percorso che non promette bene.
Un discorso questo che vale in qualsiasi ambito: esperienze, persone, rapporti. Anche libri. E non ci si riferisce certo alle prime righe o alle prime pagine di un romanzo, come spesso fanno le case editrici nel selezionare i manoscritti che sono sottoposti alla loro attenzione.
Nella mia esperienza di lettore sono stato fortunato, perché m’è capitato di leggere romanzi ben fatti e coinvolgenti che mi hanno poi permesso di andare avanti nella conoscenza della bibliografia di ottimi scrittori: se così non fosse stato, avrei lasciato perdere.
Se avessi cominciato la lettura di Terry Books con La Spada di Shannara o di Robert Jordan con L’occhio del mondo o di Weis e Hickman con L’ala del drago per quanto riguarda il ciclo di Deathgate, probabilmente non sarei andato avanti con il proseguire con i loro lavori.
Le cose non sono andate così e in questo modo ho potuto avere l’opportunità di avere buone letture. L’ottimo lavoro di Brandon Sanderson per quanto riguarda la conclusione di La Ruota del Tempo (è grazie a lui se mi sono avvicinato alla saga), il fascino del ciclo degli Eredi di Shannara e la cupa e dura atmosfera di Mare di Fuoco hanno permesso che io continuassi nel leggere storie lunghe e articolate, potendo cogliere le loro sfumature, i loro punti di vista e di forza.
Può essere stata una fortuna, ma non sempre la si ha e un autore se non riesce a cogliere l’attenzione del lettore e poi a mantenerla, rischia di bruciarsi e perdere un suo possibile seguito. Pertanto il lavoro in cui si cimenta lo scrittore non è facile, perché deve trovare la giusta miscela capace di coinvolgere: non si può piacere a tutti, ma occorre fare in modo di raggiungere un seguito che sia di un certo numero per poter far sì che il suo lavoro a livello editoriale sopravviva. La fortuna aiuta, certo, ma fino a un certo punto: senza capacità e qualità, non si va da nessuna parte; ne consegue che bisogna lavora bene sempre, mantenendo un livello alto in qualsiasi punto ci si trovi, anche se si è già scrittori affermati. Perché il successo di ieri non è per niente scontato che dia il successo oggi o domani.

Il cambiamento dei tempi

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Con il passare dei tempi, i costumi, le tradizioni cambiano: è un fatto sintomatico dovuto all’evoluzione, all’andare avanti, all’adattarsi ai vari periodi in cui si vive.
Alle volte succede che per nostalgia o perché si trova un certo fascino per le cose del passato, che si cerca di farle rivivere, di rievocare l’atmosfera di ciò che è stato. Certo non è la stessa cosa, ma per qualche istante si può fingere di essere un’altra persona, di essere in un’altra epoca e vedere l’effetto che fa.
Certo non è come se lo si vivesse per davvero e si devono usare “mezzi sostituivi” invece che gli originali.
Ma non sempre questo è un male.

L'ultima profezia del mondo degli uomini - L'epilogo

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Ultimo libro che conclude la saga iniziata con L’ultimo elfo, L’ultima profezia del mondo degli uomini – L’epilogo è un buon libro, ma non è all’altezza dei precedenti. Ben scritto, dà compimento alla profezia creata nella parte finale di L’ultima profezia del mondo degli uomini, questa volta prendendo come punto di vista quello degli Yurdoni, il popolo al quale appartiene lo stregone che ha lanciato una maledizione che si è persa nelle pieghe del tempo e che è andata ad abbattersi sul mondo. Come ogni ciclo che si ripete, la pace durata a lungo è finita e la guerra si è ripresentata, portata da un popolo bellicoso, che non conosce altro che forza, violenza e brutalità, dove bellezza, gentilezza sono considerate debolezza e quindi deprecabili e perseguitabili.
Di nuovo nel romanzo di Silvana De Mari viene sottolineata l’importanza dell’istruzione e della cultura, del coltivare la conoscenza, della dolcezza e dei rapporti umani capaci di trasmettere valori, insegnamenti.
Temi giusti e importanti, ma il libro non ha la stessa forza di quanti l’hanno preceduto, non ha lo stesso spessore, la stessa epicità. Gli invasori, i protagonisti non hanno la stessa caratterizzazione dei loro predecessori; gli scontri con il nemico non hanno la stessa drammaticità, anzi sembra quasi che i “buoni” debbano vincere perché sono tali, mentre l’avversario è solo grosso e stupido e la mente vince sempre sul corpo, cosa che purtroppo non sempre vale. Non è possibile che un gruppo scalcinato, debilitato e malnutrito fatto di ragazzini e vecchi, mal equipaggiato, senza esperienza e in inferiorità numerica possa avere la meglio su una popolazione che ha fatto della guerra, del combattimento il proprio stile di vita e non fa altro che questo nella propria esistenza.
Più che un romanzo vero e proprio, sembra di avere a che fare con una parte che non si è potuta pubblicare nel precedente volume: certo, i fatti qui narrati avvengono secoli dopo e hanno nuovi protagonisti, ma la sensazione che si ha è questa. Sensazione rafforzata dal titolo scelto dall’editore, non dall’autrice, che avrebbe voluto qualcosa di diverso, più pertinente alla tematica principale del libro (doveva essere L’ultimo giro della spirale, con l’esistenza vista come una spirale che s’allarga); una scelta che invece ha causato confusione nei lettori, facendogli riflettere se si era di fronte a un’edizione rivista (magari con l’aggiunta di un nuovo capitolo o racconto) o di un nuovo romanzo. Purtroppo non stupisce che Fanucci faccia delle scelte poco felici.
In tutti i modi, L’ultima profezia del mondo degli uomini – L’epilogo è la conclusione della saga e chiude un ciclo, anche se non è dello stesso livello delle altre opere che hanno fatto sorridere, commuovere e sognare.

Andare per la propria strada

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Qualche tempo fa ho voluto fare un esperimento: mettere a confronto due incipit senza dire chi è l’autore e vedere che giudizio saltava fuori. Come riportato sul post di Writer’s Magazine dove l’ho proposto, stavo facendo una riflessione su come vengono giudicati lo stile, la tecnica di scrittura usata e l’approccio per proporre una storia. Entrambi gli incipit appartengono allo stesso genere letterario ed entrambi utilizzano lo stesso approccio, ovvero non dare un nome, un’identità precisa ai personaggi in scena, dando al lettore un certo senso di spaesamento, non dandogli certezze, ma lasciando che solo con l’avanzare della lettura le cose si chiariscono.
Un incipit è di I Segugi dell’Ombra di Steven Erikson, l’altro di L’Ultimo Potere, opera che ho realizzato. Non è stato un volermi confrontare o paragonare al lavoro di Erikson, ma osservare le reazioni dei lettori senza avere pregiudizi, un confronto basato solo sul valore delle opere.
I giudizi sono stati tra i più disparati, perché ognuno ha il proprio punto di vista, il proprio modo di vedere e intendere la scrittura: da tutti si può trarre spunto per migliorare. Ma una volta presa visione di quanto letto, occorre proseguire per la propria strada, non farsi condizionare dal giudizio di tutti perché altrimenti ci si bloccherà, perché non si può accontentare né piacere a tutti. Se si crede nel proprio lavoro, occorre proseguire per la propria strada, senza tentennamenti, portando avanti la storia che si vuole raccontare e l’idea di come la si vuole mostrare.

Visto che ho parlato di L’Ultimo Potere, quello di domenica è stato l’ultimo capitolo del romanzo che ho scritto. Il cammino è stato lungo, ha fatto il suo percorso ed è giunto alla tappa prefissata. Non la tappa finale, perché una storia se si vuole non finisce mai: nella nostra mente, anche dopo l’ultima pagina, si può continuare a immaginare nuove avventure per i protagonisti, perché quanto visto non è altro che una parte di vicende che lo scrittore ha voluto far vedere: il resto è un infinito crocevia di possibilità, dove ognuno volendo può vederci quello che vuole.
A fronte di ciò non si può dire che è stata la fine, ma è stata comunque una fine.
Tuttavia, di tappe ce ne sono altre, perché dei quesiti necessitano ancora di una risposta. Personaggi già incontrati hanno ancora una parte da recitare, nuovi devono entrare in scena per portare avanti la trama dei Tempi della Caduta: ci sono ancora dei Demoni da affrontare, dei lati oscuri da portare alla luce.
Ancora una volta, lo scrittore s’incammina, scoprendo strada facendo dove lo conduce il cammino che sta percorrendo, accorgendosi cosa il percorso gli ha tenuto in serbo. Certo, sa da dove è partito e dove vuole arrivare, ma cosa incontrerà nel viaggio è una sorpresa anche per lui: alle volte sa quello che accade perché lo va a cercare. Altre volte invece è lui a essere trovato e non può fare altro che raccontare cosa ha visto e vissuto. Ma alla fine del viaggio, avrà vissuto un’esperienza che lo ha cambiato, magari maturato: di certo gli ha conferito uno sguardo diverso sul mondo.
Ecco come sono ora: di nuovo in cammino per tornare a raccontare di quello che non si è potuto conoscere in L’Ultimo Potere.