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Bilanci

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Quando si giunge alla fine di un anno ci si ferma, ci si volta indietro e si guarda quanto è stato.
E’ tempo di bilanci.
Non che i bilanci si debbano fare per forza a fine anno, dato che ogni momento è valido per farli: in qualsiasi istante, stagione, periodo della vita ci si può soffermare a fare una valutazione di quello che si è raggiunto e quello che si è diventati. Ma per l’uomo, così abituato a schematizzare, suddividere, classificare, creare involucri e confini per poter riuscire a spiegare quanto lo circonda, così d’avere sicurezze che rassicurino ansie e paure, che gli diano quella tranquillità, quelle basi che rendano la vita più a sua misura, è più facile agire in questa maniera.

Della vita privata non parlo, dato che sono dell’idea che ci sono cose che si possono condividere con gli altri e altre che non debbano essere messe in piazza. Con l’espandersi della tecnologia, della multimedialità, della rete e dei modi di comunicare, molti si sentono in dovere di esporsi, raccontare tutto di sé, un modo per parlare di sé, ma anche di far parlare di sé. Di farsi ammirare, come scrive Val in questo post.
Tuttavia, tra alti e bassi (ma è la normalità dell’esistenza, fatta di salite e di discese), senza fatti eclatanti, è stato un anno di piccole cose che hanno riempito, cambiato, fatto ritrovare piaceri che hanno dato serenità.
Mi soffermerò invece con più calma su due punti di cui spesso ho parlato: la scrittura e la lettura.
Partiamo dalla scrittura.

E’ stato un periodo in cui le revisioni l’hanno fatta da padrone, il lavoro più meticoloso nel processo di realizzazione di un’opera, ma necessario se si vuol rendere al meglio quanto creato. Una messa a punto che va fatta con metodo perché tutto fili liscio, sia come stile, sia come intreccio. Un lavoro minuzioso e anche stancante (rileggere più e più volte lo stesso scritto può arrivare a essere sfibrante e snervante), ma utile non solo per una migliore resa del libro, ma anche per far evolvere le capacità di scrittura, per comprendere dove si sbaglia e su quali punti si deve concentrare una maggiore attenzione. Un lavoro a cui a un certo punto bisogna anche dire basta, perché uno scrittore è portato a volere il massimo dal proprio lavoro, ma se si lascia prendere la mano entra in un ciclo che lo spinge sempre a intervenire e a ricercare lo stile migliore che faccia risaltare quanto scritto.
Arrivato a questo punto, allo scrittore non rimane che mettersi alla ricerca del modo di arrivare alla pubblicazione. Un lavoro lungo e duro, specie in questo periodo e in questo paese, specie se non si vuole intraprendere la via dell’editoria a pagamento, scelta cui sono sempre stato contrario dato che è l’equivalente di dover pagare per poter lavorare. Continuerò a sottoporre i lavori che ho realizzato a case editrici, anche se non nutro speranze e non perché non creda o sia convinto della bontà di quanto realizzato, ma perché le condizioni di questo particolare periodo non lasciano grandi spazi, specie in ambito fantastico, dove vige la mentalità che sia un genere semplicistico atto a realizzare storielle adatte a bambini e adolescenti, di mero intrattenimento e che non sia in grado di andare in profondità: se un romanzo non rientra in tali canoni, e pertanto si considera che non sia in grado di dare risultati di vendite e profitto, non viene preso in considerazione. Nonostante sia conscio del mercato e delle sue regole, proseguo sulla strada che chi ha seguito le pagine di questo sito conosce: il fantastico è in grado d’insegnare molte cose, di far maturare, è molto più di quello che la mentalità comune e la scarsa conoscenza di questo genere hanno prodotto nell’immaginario collettivo. Pertanto non rimpiango (anzi) di aver realizzato L’Ultimo Potere (l’ultima fatica della tastiera), anche se so già che l’editoria difficilmente prenderà in considerazione una storia che mostra i tempi della Caduta dell’Uomo, del degrado dell’umanità che ha abbandonato ogni morale seguendo i costrutti creati dall’Era dell’Economia e dai Culti dell’Ego, dove Vizi, Demoni, Virtù incontrano Archetipi in un mondo post-apocalittico abitato da Mutantropi, Chimere e Posseduti, dove la civiltà è ricordata solo da macerie e la razza umana non è che l’ombra di quanto è stato.
Come sono soddisfatto di quanto creato con Storie di Asklivion – Strade Nascoste, la prima opera che ho realizzato. Un’opera che s’aggira sulle mille pagine (una limitazione, dato che le pubblicazioni attuali puntano su libri di duecento-trecento pagine per limitare i costi) e a cui ho cominciato da tempo a lavorare sul secondo volume: un continuo, certo, ma anche se si mantengono gli stessi personaggi del primo libro, quest’ultimo può essere considerato come una storia conclusiva, dove gli intrecci creati lungo il cammino trovano risoluzione e non lasciano punti in sospeso. Certo, ci sono delle porte aperte, ma questo perché nel romanzo, come nella vita, non ci sono dei veri arrivi, ma tutti possono essere dei punti di partenza.
Questo è uno dei lavori in corso, ma ce ne sono altri, la cui progettazione è già stata attuata e la cui realizzazione in parte è avviata: due opere di I Tempi della Caduta sono già imbastite e a metà del guado c’è un libro per bambini. Quest’ultimo non è un lavoro lungo (non raggiunge la monumentalità di Strade Nascoste e nemmeno si avvicina lontanamente alla lunghezza di L’Ultimo Potere o a quello di Non Siete Intoccabili), ma richiede un particolare stato d’animo, una leggerezza, un sentore di “buono”, assolutamente necessari per quanto si vuole trasmettere: se ciò non è presente è meglio aspettare che i tempi siano giusti, lasciare che le cose decantino e maturino, come la natura insegna: per le cose buone occorrono i tempi giusti.
Sempre sul lato scrittura c’è la collaborazione con la rivista Fantasy Magazine.
Ormai è più di un anno che collaboro con essa e diverse sono state le recensioni e gli approfondimenti su romanzi di genere fantastico che ho realizzato: un piacere certamente, ma soprattutto un modo per dare il giusto rispetto a un genere che di rispetto ne ha poco e che invece ne meriterebbe molto di più. La decisione a collaborare con la rivista è stata proprio questa: dare un punto di vista diverso dal conosciuto in Italia. Certo, avrei potuto usare il sito che gestisco, ma avrebbe avuto una visibilità minore, un minor seguito di quello che invece necessita se si vuol sperare di dare una direzione diversa da quella attuale. Non ho la presunzione con quello che scrivo di poter cambiare le cose, ma sono convinto che il contributo dato possa servire a qualcuno, a essere un aiuto, un consiglio per chi vuole conoscere approfonditamente un genere che non è solo qualcosa di moda o di consumistico, cercando di far conoscere quanto di buono c’è. Naturalmente sono conscio che come ogni ambito ci sono delle cose che non vanno, dove l’editoria effettua delle scelte puramente commerciali a discapito della qualità, realizzando materiale immaturo, inadatto alla pubblicazione: un sistema sbagliato, che va giudicato e criticato.
Ma c’è modo e modo per farlo (come nei film di satira, a esempio. I primi due film di Fantozzi sono chicche che mostrano la società italiana con le sue grettezze, meschinità, ossessioni, piccolezze, grettezze, vigliaccherie, il suo opportunismo e arrivismo. Un modo intelligente per mettere di fronte a tutti una realtà dove molti si credono chissà cosa, ma che nei fatti rivelano che non sono gran ché. Quelli di Boldi invece sono soltanto pellicole grezze, demenziali e volgari.)
Perché se è vero che è giusto criticare, mostrare i lati che non vanno, fare solamente questo è un errore che non porta da nessuna parte, fa ristagnare la situazione, creando sterili polemiche e facendo compiacere chi le crea e chi vi partecipa, come la politica italiana ha ampiamente dato dimostrazione. Un comportamento cui bisogna fare molta attenzione, perché ad andare con lo zoppo s’impara a zoppicare e ci si ritrova ad accusare gli altri di quanto non hanno fatto o di quanto di sbagliato hanno fatto, ma non si fa mai niente di propositivo e costruttivo per cambiare lo stato delle cose.
Così non si va da nessuna parte.

Arriviamo ora alla lettura che oltre a trasmettere molto, a far passare ore piacevoli, è anche uno strumento indispensabile per chi vuole scrivere, perché dal confronto con stili e storie diverse si può apprendere più di quanto si possa immaginare.
Tutto quanto letto durante l’anno ha saputo dare qualcosa e non sono qui per fare una lista dei libri terminati e nemmeno per dire quanti ne sono stati letti: la quantità, i numeri non servono a molto, se non come forma d’ostentazione, di dimostrazione d’essere di più di altri. Spesso ci si sofferma su questi dettagli, persi in una corsa che ricorda il consumismo, il voler usare e accumulare il più possibile come se questo rendesse migliori, un’ansia che spinge sempre a essere in movimento, in cerca di qualcosa di nuovo, senza mai soffermarsi a gustare e recepire appieno quello che si ha avuto la fortuna d’incontrare.
Le letture che ho scelto mi hanno soddisfatto, tutte sono state valide, anche se ce ne sono state alcune che ho sentito più vicine di altre. Una è stata La Casa del Tempo Sospeso, l’altra è 1Q84.
Nell’attesa di poter leggere la conclusione di quest’ultima, altre sono le storie in attesa di essere scoperte. La prima, che sto leggendo in questo periodo, è La Via dei Re di Brandon Sanderson. Ho sempre apprezzato le storie epiche (non è un caso che nella libreria che possiedo ci siano autori come Erikson e Kay), che parlano di eroi, dei e poteri superiori (altro non caso il fatto di avere una predilezione per i miti greci, arturiani e scandinavi) e Sanderson ha saputo cogliere quel genere di racconti che mi piace ascoltare e scrivere.
Il suo ultimo lavoro continua a correre sugli stessi binari e a mantenere il livello di quanto finora dimostrato, anche se devo fare un appunto per la prima volta a questo scrittore. Avendo letto la trilogia Mistborn non mi hanno sorpreso più di tanto i poteri di questo nuovo mondo, ma non è questo il neo a cui mi riferisco, quanto piuttosto al modo di mostrare le cose del prologo del libro uno: con quanto dimostrato finora, Brandon poteva trovare un modo migliore per far conoscere al lettore certi elementi. Anche se mi ripeto, quando si vogliono le cose fatte per bene, ci vuole calma, occorre trovare i momenti giusti per dare informazioni, occorre che avvengano in maniera fluida, naturale. Se necessario, lasciare il lettore con un senso di straniamento, impegnato a chiedersi cosa sta succedendo e perché, un po’ come succede con I Giardini della Luna di Steven Erikson (magari non proprio a questi livelli 😉 ). Tolto questo appunto, la lettura prosegue bene e ci si lascia coinvolgere dal mondo delle Cronache della Folgoluce, un mondo molto più caratterizzato e vivo rispetto a quello incontrato nella saga Mistborn. (Andando oltre il discorso del valore indiscusso dell’opera, ci sarebbe da parlare del prezzo, che ha sollevato da più parti proteste: 30 euro non sono pochi, anche con gli sconti 25 non scherzano. Prendendo in considerazione la lunghezza (1146 pagine), le cartine del mondo realizzate a colori, la presenza di illustrazioni all’interno del tomo, potrebbero giustificare il prezzo, basta vedere certe versioni del Signore degli Anelli che hanno un costo equivalente. Più scandaloso è vedere libri di 200 pagine che costano 20 euro e non s’avvicinano neanche lontanamente alla bontà del romanzo di Sanderson. Tuttavia una domanda è lecito farla: perché all’estero lo stesso libro viene venduto indicativamente a 20 euro? Più che rivolgere critiche a Fanucci, c’è da fare una riflessione su tutto il mondo editoriale italiano, dato che all’orizzonte lo scenario non cambia di molto, anzi alle volte è pure peggio).
Ora, nell’attesa di cambiare numero alla data dell’anno, non resta che continuare nella strada che ognuno ha deciso di intraprendere. E anche se questo è molto più importante di qualsiasi augurio che si possa fare, ugualmente lo faccio perché ci sia sempre la spinta a migliorarsi e a rendere il mondo (magari anche solo il pezzetto in cui si vive) un luogo migliore.

1Q84 - Murakami Haruki

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Non bisogna lasciarsi ingannare dalla copertina e nemmeno dal titolo: 1Q84 di Murakami è un romanzo appartenente al genere fantastico. Una precisazione necessaria, dato che c’è la convinzione nel nostro paese che il fantastico sia un genere adatto solo per bambini e adolescenti: storie semplici in mondi inesistenti dove sono presenti draghi, elfi, nani, tutto permeato di buoni sentimenti, cotte amorose che terminano con il lieto fino come nello stampo ormai conosciuto del paranormal romance.
Una visione limitata e se vogliamo anche offensiva, sia nei riguardi dei romanzi appartenenti al genere, sia verso gli scrittori, sia verso i lettori, perché è un modo per considerare le persone con simili gusti di categoria inferiore, un dare giudizi basandosi su pregiudizi senza fare il minimo sforzo di conoscere l’individuo.
Fatto questo inciso, il romanzo di Haruki Murakami è un’opera densa e profonda, coinvolgente in maniera sottile, ma efficace, che trasporta all’interno del mondo (un mondo reale quello che vede lo svolgersi delle vicende nell’anno 1984) dove il fantastico viene inserito quasi in un sussurro, un battito d’ali di farfalla. Ma si sa che un battito d’ala di farfalla in una parte del mondo può provocare dall’altra un uragano capace di sconvolgere qualsiasi cosa. E’ così che Tengo e Aomane scopriranno come la loro vita sta prendendo un binario inaspettato, trasportandoli in una direzione diversa dal conosciuto.
1Q84 è un ottimo romanzo, forse il migliore pubblicato nel 2011, realizzato in maniera eccellente sia per quanto riguarda lo stile, sia l’intreccio, sia la caratterizzazione dei personaggi e che per questo ho molto apprezzato. Ma non solo.
Capita d’incontrare libri che si sente vicini, quasi fossero propri, una parte di sé. Così è stato per me con 1Q84, specialmente per quanto riguarda Tengo, un personaggio su diversi aspetti molto vicino a lati del mio carattere, tant’è che mi è sorto il sospetto di aver avuto nel passato Murakami nei paraggi a osservarmi.
Battute a parte, ribadisco che si è di fronte un’ottima lettura davvero densa e coinvolgente, con una delicatezza che riesce a catturare il lettore e a trasportarlo all’interno di una storia profonda, come ho avuto modo di spiegare più approfonditamente nella recensione per Fantasy Magazine.

Perché si fotografa?

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Cosa spinge una persona a imbracciare una macchina fotografica e dedicarsi alla raccolta d’immagini?
Certo c’è la volontà di mantenere i ricordi di bei momenti trascorsi insieme alle persone care, di ricordare gite o luoghi che si è visitato una volta e a cui difficilmente si farà ritorno; un modo, se si vuole, di viaggiare nel tempo, di far riemergere dai meandri della memoria l’ombra di emozioni vissute in altri periodi, avendo per alcuni istanti l’illusione di rivivere periodi che sono trascorsi, di riavere la compagnia di persone lontane, che si è perso di vista o che non sono più. Un ripercorrere tappe del cammino che si è fatto e magari capire come si è arrivati a un certo punto, le scelte che si sono effettuate e magari fantasticare su quali percorsi potrebbero essere stati intrapresi se si fossero prese altre direzioni, quali mondi e persone si sarebbero incontrati; un modo per immaginarsi diversi, per lasciarsi andare e scoprire nuovi aspetti di sé. Un breve sguardo su ciò che si poteva essere e non è stato prima di tornare alla quotidianità, una piccola parentesi di tempo sospeso prima d’immergersi di nuovo nel flusso della realtà.
Naturalmente non a tutti fa questo effetto la fotografia; per alcuni è un obbligo, specie quando si va in ferie, un modo per dimostrare dove si è stati, un fare più che altro per gli altri che per se stessi, quasi una costrizione che diventa una seccatura, facendo perdere il piacere di quello che per molti è un hobby.
Per altri è un modo di cogliere aspetti della realtà che spesso sfuggono, un focalizzarsi su dettagli, come se la macchina fotografica fosse un binocolo o un microscopio per analizzare quei lati della vita che sono sotto gli occhi di tutti, ma che se non si possiede la pazienza e l’accortezza di fermarsi a osservare spesso scorrono via come se non esistessero; un modo per cercare di succhiare tutto il midollo della vita, come viene detto nel film L’attimo fuggente.
Per me la fotografia è come i punti uno e tre appena descritti, ma non solo. L’atto del fotografare ha un’azione placante, acquieta una sorta d’istinto predatorio che possiedo. E’ complesso da spiegare, ma il catturare immagini è come andare a caccia, trovare una preda e farla mia: una sorta di conquista di qualcosa di unico, di carpire quell’attimo che mai più si ripeterà. Forse in una vita passata sono stato un predone a capo di una banda, sempre pronto a calare sulle carovane di passaggio per arraffare i preziosi carichi che trasportavano o un conquistatore che avanzava imperterrito per accumulare territori su territori; oppure un cacciatore che s’addentrava nella savana per abbattere animali feroci ed esotici e farne sfoggio al ritorno nel proprio paese dove tali bestie erano una rarità, considerate personaggi di storie, in alcuni casi quasi leggende.
Stringere una macchina fotografica tra le mani, puntando l’obiettivo verso il soggetto, tenendo l’occhio puntato nel mirino, è forse proprio come essere un cacciatore. Solo che in questo caso non si uccide nessun animale, non si distrugge nessuna vita, ma si preserva un ricordo, lo si può condividere e trasmettere agli altri, carpendo quella grazia che appartiene a un particolare momento. Un dare sfogo a un impulso senza causare danno a nessuno, capace anzi di creare qualcosa di bello.
Si tratta di semplici viaggi mentali, fantasticherie per cercare di dare una spiegazione a qualcosa che s’avverte, ma di cui non si riesce a trovare definizione: un impulso onnivoro, sempre presente, che spinge a non fermarsi, a voler sempre cogliere quanto s’incontra, un voler accaparrarsi tutto per non lasciare nulla indietro.
Che sia quanto sta alla base dell’evoluzione, del voler superare i limiti, sapendo che c’è sempre un orizzonte da conquistare, una vetta da scalare, sapendo che ce n’è sempre una più alta cui arrivare?
Quale che sia la verità, la macchina fotografica è pronta in ogni momento a svolgere il compito che ogni giorno c’è ad attenderla.

Sotto l'Albero

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      Sotto l’albero natalizio non ci sono pacchetti colorati e infiocchettati con nastri d’oro e d’argento.

 

      Non desidero cose materiali.

 

      Ciò che voglio non può essere comprato, il denaro non lo può donare.

 

      Non servono preghiere a santi, dei, angeli; nemmeno letterine a vegliardi dalla barba bianca e dalla veste rossa.

 

      E’ qualcosa che non è in nessun luogo, ma che chiunque ha già, lo deve solo riscoprire, farlo rinascere, farlo risorgere.

 

      E’ solo un pensiero, un semplice atto di volontà.

 

      Un atto che può cambiare tutto.

 

      La scelta d’ogni individuo di vivere con dignità e rispetto, verso gli altri e verso se stesso.

 

      Perché ciò che è veramente importante non vada perduto.

 

      Perché ciò che conta non è tanto come si nasce, quanto si vive e come si muore, ma

come si vive.

      Questo va sempre ricordato e vissuto.

 

      Questo va fatto ritornare nella vita di ognuno.

 

      Per questo, se ce ne fosse bisogno, occorre combattere.

 

    E’ il desiderio e l’augurio che faccio a tutti quanti.

Autumn Twilight

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Nebbia d'Autunno

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Wunderkind - Il Regno che Verrà

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Il Potere.
E’ quanto da sempre l’uomo ricerca.
Potere per creare.
Potere per distruggere.
Potere per uccidere.
Potere per salvare.
E’ questo l’elemento su cui fa perno Wunderkind – Il Regno che Verrà di G.L. D’Andrea, quella forza che attraverso la Permuta conferisce la possibilità di fare grandi cose, fino ad arrivare a essere una divinità, a compiere veri e propri miracoli. Ma per avere, occorre anche dare, occorre pagare un prezzo, occorre uno scambio.
Nei tempi antichi per avere potere occorreva sacrificare sangue, sempre altrui: da Caino ad Alessandro Magno a Napoleone, uomini divenuti grandi per la storia per aver sacrificato altre persone, per aver sacrificato la vita.
Ma questo era un prezzo troppo alto e qualcuno decise di cambiare il modo in cui veniva concesso il Potere: se lo si voleva, si doveva sacrificare qualcosa di sé, pagare un tributo personale. E così non fu più vita (che senso ha avere il potere se si giunge a non avere più esistenza?), ma ricordi, la memoria (anche questo però è un grave crimine perché i ricordi sono vivi, esistono a un altro livello di coscienza, sono su un altro piano, un altro mondo, anche se non si riescono a toccare).
Ma se non si ricorda il passato, è come essere un albero a cui sono state tagliate le radici; ci si dimentica un pezzo alla volta delle origini, delle esperienze che hanno portato a essere quello che si è, fino a non sapere più chi si è. E arrivati a questo punto, un’esistenza senza più conoscenza e consapevolezza di sé non ha alcun senso, si è solo una forza insensibile che agisce senza essere cosciente delle conseguenze che le proprie azioni possono portare. Essere privati delle radici, dei legami, dei sentimenti fa perdere una parte importantissima del proprio essere che rende tutto quanto meritevole d’essere vissuto: è la ragione che spinge gli esseri viventi a superare i propri limiti, a compiere vere e proprie imprese. L’affetto, la compassione, il sentire gli altri simili a sé, sembrano piccole cose di fronte a poteri capaci di distruggere e creare mondi, ma sono quelle che li fanno andare avanti, che fanno avere futuro, anche quando non sembra che possa esserci.
Ma per avere futuro, l’elemento imprevedibile e in conoscibile, ciò che sempre è in movimento, che è continuo mutamento, per poter plasmare la realtà, il mondo, che cosa si è disposti a sacrificare? Dove si è disposti a spingersi?
Il Potere è una grande forza, ma anche una grande tentazione e una fonte di grande sofferenza e il suo uso andrebbe limitato a casi eccezionali, perché gli errori e gli orrori commessi non si ripetano, come la storia continua a insegnare, stando attendi a quegli animi che privati di tutto possono giungere a prendere decisioni catastrofiche che portano perdita per tanti.
Proprio la perdita è uno dei protagonisti di questo libro, che accompagna costantemente i personaggi del romanzo lungo tutto il percorso mostrato da quanto scritto. Una lettura che scorre veloce e scorrevole, con uno stile senza fronzoli, che va dritto al punto, come un cecchino: un colpo, un centro. Un viaggio attraverso un mondo crudo che non risparmia nessuno, nemmeno i bambini, che è violento, spietato, ma anche epico, dove riecheggiano le atmosfere nordiche con i suoi miti e le sue leggende: i riferimenti all’Albero della Vita, a Odino, alla conoscenza (e di conseguenza al potere) che giunge dalla condizione d’Impiccato, alla lotta con il drago di Sigfrido (molto bella la frase di Rochelle “Il sangue del drago è magico, non lo sapevi?” che rammenta questa storia) sorgono tra le pagine in maniera fluida, portando a conoscere una legge dell’esistenza conosciuta e tramandata dalla saggezza antica: se si vuole che qualcosa di nuovo sorga, il vecchio deve morire.

Per chi non conoscesse ancora le opere di G.L. D’Andrea e fosse incuriosito dal mondo che ha creato, suggerisco le recensioni scritte da Giulia sui due capitoli precedenti di cui Wunderkind – Il Regno che Verrà è l’atto conclusivo:Wunderkind – Una lucida moneta d’argento, wunderkind-2-la-rosa e i tre-chiodi.

Death Gate

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Qual è la parte che deve avere più rilevanza quando si racconta una storia? L’ambientazione o i personaggi che si muovono in essa?
Ogni scrittore, a seconda di quello che vuole raccontare o delle proprie preferenze, dà più spazio all’una o agli altri. Quale che sia la scelta, alle volte capita che entrambe le opzioni siano un mezzo per parlare del lascito di ciò che è stato in tempi andati: il passato, con il suo carico di lezioni ed errori da cui imparare per giungere alla conoscenza e alla consapevolezza necessari al cambiamento nella vita perché tale possa essere considerata.

Questo è l’incipit dell’articolo che ho realizzato per Fantasy Magazine sul Ciclo di Death Gate di Margareth Weis e Tracy Hickman; una saga, quella dei due scrittori famosi soprattutto per i romanzi su Dragonlance, affascinante, che trasporta in un viaggio di scoperta attraverso mondi differenti che sono parte però di uno. Una scoperta che fa affiorare conoscenze perdute e rivelazioni che mostrano come non conoscere la storia di un mondo e dei popoli che lo abitano e il voler mantenere celata la verità perché non vengano alla luce gli errori del passato, mantenendo un’aura di saggezza e perfezione, sia uno dei più grossi errori che l’umanità continua da secoli a perpetrare.
Un modo per far comprendere che per avere un mondo migliore non servano più capi o dei, ma la collaborazione di tutti, perché è riconoscendo i propri limiti e capendo che si può crescere solo vivendo insieme, e non separati, che si può giungere a capire l’armonia che è l’esistenza.

Verità

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La maggior parte delle persone non cerca verità che si possono dimostrare. La verità, in molti casi, come ha detto lei, comporta sofferenza. E quasi nessuno vuole soffrire. Quello di cui le persone hanno bisogno è una storia piacevole, che renda la loro esistenza almeno un pò più significativa. E’ proprio per questo che nascono le religioni.

1Q84 – Haruki Murakami

La verità è sempre stata un argomento molto discusso, da sempre l’uomo l’ha ricercata e soltanto in pochi sono riusciti a comprenderla, dato che nella sua semplicità è molto elusiva.
Da questo stato delle cose sono sorte filosofie, psicologie, religioni, spesso in lotta fra loro per dimostrare chi aveva ragione, chi era il migliore. Questo ha portato divisione e confusione tra gli uomini, fratture che hanno allontanato gli uni dagli altri, che hanno portato alla chiusura. E questo con il tempo ha portato all’acuirsi dell’incomprensione, facendo sorgere liti, scontri, violenza psicologica, verbale, fisica. Chi non è della stessa linea di pensiero viene isolato, gli si creano dei muri intorno perché viene visto come un nemico, come qualcosa di pericoloso che va reso inoffensivo, eliminato per salvaguardare la propria incolumità, specialmente psicologica. Perché chi la pensa e vive in maniera diversa può scuotere le fondamenta delle certezze che si hanno, può far sorgere dei dubbi e questi portare a modificare il punto di vista e il modo di vivere; porta, in poche parole, il cambiamento, una delle cose che fa più paura, dato che toglie le certezze, mentre l’uomo vuole la sicurezza che fa vivere tranquilli, senza pensieri, senza patemi.
Tutte le istituzioni, per attirare il maggior numero di persone dalla propria parte (i numeri sono potere), puntano proprio su questo: dare alle persone elementi che rassicurino, facendoli passare per verità.
Ma questa non è verità (come spesso dicono loro, LA Verità), perché verità è qualcosa di sottile, mutevole, in costante evoluzione, che va sempre più in profondità, sempre in crescendo, fino ad arrivare al centro di ogni cosa; quanto vogliono far passare per verità, non sono che filtri, schermi, anestetici, per placare le ansie, le paure delle persone, dare rassicurazioni e chetare quella parte insoddisfatta di sé e della vita.
Da secoli è chiara questa realtà, eppure continua a essere perpetra anche se non dà quello che si cerca, ma solo un’illusione di essa.
E seguendola, le persone non fanno altro che allontanarsi da quanto è veramente importante.

«Vai a pregare?» Giunse inaspettata la domanda.
«Sì, è la mia intenzione.» Rispose sorpreso, non riuscendo a comprendere la stonatura che aveva avvertito nel tono dell’altro.
Periin lo guardò in modo strano. «Non riuscirò mai a comprendere perché la gente vuole rimanere legata a luoghi e sistemi che sanno dare solo obblighi e costrizioni. Soprattutto non capisco perché c’è bisogno d’appoggiarsi a entità effimere e lontane.» Costatò freddamente.
Ghendor non riuscì a capire il significato delle parole. «Il tempio è un luogo dove la gente può trovare pace e serenità, un supporto per i momenti di difficoltà, un rifugio per animi in crisi. Il tempo impiegato a pregare non è speso inutilmente: la preghiera può dare una grande forza a chi crede.»
«La forza non è data da colonne o muri affrescati, non è un luogo considerato sacro a dartela. Sei tu a creartela.» Lo apostrofò duramente Periin. «Il Tempio che tu segui tanto non fa altro che sfruttare il bisogno della gente, facendo credere d’essere indispensabile come aiuto. La condiziona sfruttando le sue debolezze, per tenerla legata a sé, facendole credere che da sola non può farcela. Cerca di tenerlo a mente e non cadere nella ragnatela di questo sistema corrotto: può solo addossarti fardelli da portare.» Gli voltò le spalle, allontanandosi dalla zona del Tempio.
Ghendor rimase perplesso dal veloce scambio di battute avuto con il compagno, avviandosi verso l’imponente porta dell’edificio. Varcata la soglia andò a cercare un angolo lontano dalla piccola folla seduta sulle panche.
Né il religioso silenzio né gli ornamenti sacri furono d’aiuto per raggiungere la tranquillità che stava cercando. I pensieri tornarono alla discussione avuta con Periin.
Come era possibile avere una concezione simile di quel luogo? Tanta gente era stata confortata dal Tempio e l’Ordine era sempre pronto a dare un aiuto a chi lo richiedeva. Come si poteva vedere lati negativi nell’Ordine?
Ma la risposta la conosceva già. Non era l’Ordine ad avere qualcosa che non andava: erano gli uomini al suo interno a macchiarne l’immagine.