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Asengard chiude i battenti

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Questa è la brutta notizia che da ieri circola nella rete. Ne ha dato comunicato la casa editrice sul suo blog ed è stato riportato su testate come Fantasy Magazine e su siti di scrittori e appassionati: un tam tam che dimostra l’apprezzamento che Asengard ha riscosso in molti, ma che purtroppo non è bastato ad evitarle la chiusura.
Fa tristezza e amarezza vedere come chi si è impegnato a fare un lavoro serio e professionale, seguendo una condotta etica che non ha mai richiesto contributi agli autori; lavoratori onesti che hanno lottato per realizzare un progetto e mantenerlo in vita. Purtroppo nell’esistenza spesso non ci sono lieti fini.
D’accordo, posso essere di parte dato che ho acquistato e apprezzato volumi realizzati da questa casa editrice, ma è un dato di fatto la cura della realizzazione delle copertina, dell’editing, della scelta delle tipologie di storie da pubblicare. Storie che non seguivano la moda o la massa.
La massa.
Proprio questo mi fa riflettere perché se vengono prodotti certi libri di livello molto basso, con stile, tematiche e storie banali e vuote, è dovuto al fatto che le case editrici danno ai lettori quello che loro vogliono. Bisogna affrontare questa realtà: la maggior parte dei lettori vuole letture superficiali, che non fanno riflettere; i libri che leggono sono uno specchio di ciò che sono. Il che non significa che bisogna leggere tomi di filosofia, psicologia o saggistica (che comunque aiutano ad arricchire e non poco), basta trovare buone letture capaci d’intrattenere, ma anche dare tanto a livello di crescita: La Storia Infinita, Per chi suona la campana, Il Gabbiano Jonathan Livingston, Un altro giro di giostra. C’è tantissimo da trovare se solo si cercasse. Ma questo non avviene: i più si sorbiscono ciò che i media, la pubblicità, la grossa distribuzione dice che bisogna comprare spacciandolo per il meglio che c’è in commercio.
C’è molto da riflettere soprattutto su che cosa gli individui siano diventati in questo periodo, perché se tante cose vanno male è responsabilità di tutti, la colpa non ricade solo su alcuni. Occorre darsi da fare, anche se alle volte può capitare di domandarsi se vale davvero la pena spendere impegno in un sistema che fa andare avanti ciò che non ha valore e merito.

Idolatria

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Ieri sera m’è capitato di vedere la puntata di Supernatural trasmessa da Raidue. Conosco questa serie anche se non l’ho seguita con assiduità, specialmente all’inizio; ho tuttavia potuto costatare che la storia e l’intreccio delle vicende si sono evolute in maniera interessante con il passare degli episodi, dando spessore alla trama, specie nel modo in cui vengono affrontate le tematiche che caratterizzano il telefilm.
Nella puntata in questione delle persone sono uccise da quelle che loro considerava i propri idoli: James Dean, Abramo Lincoln. L’assassino si scoprirà essere un’antica divinità pagana di nome Leshy protettrice di una foresta europea distrutta, avente la caratteristica di cibarsi dei propri fedeli e la capacità di assumere la forma di ciò che le persone adorano. Venuto meno il suo luogo di culto, ha vagato raminga per il mondo, accontentandosi delle briciole, ma ora che si sta avvicinando l’Apocalisse ha deciso di farsi un’abbuffata come non faceva da tempo.
Ciò che mi ha colpito è la frase che rivolge a Dean.
“Una volta adoravate gli dei; ora questo.” Dice con fare irrisorio alludendo alle sembianze che ha assunto di Paris Hilton. “Questa è idolatria. Questo è come vi siete ridotti.”
Una costatazione che fa riflettere, dato che rivela una realtà del vivere attuale della società.
Una volta l’uomo ricercava risposte sull’esistenza, sulla vita e per far questo si rivolgeva a entità superiori che credeva essere creatori del mondo; forze che governavano l’esistenza capaci di dare a quanti li adoravano una strada da seguire, scoprire quei misteri che la vita cela. Che ci siano forze superiori all’uomo, che l’hanno creato e che ne fanno parte è indubbio, ma quanto facevano gli uomini d’allora era proiettare all’esterno quelli parti di sé che ancora non conoscevano e che avevano bisogno di mettere all’esterno per arrivare a comprenderle e pertanto evolvere.
Evoluzione, appunto, perché l’uomo era proteso in un’ascesa, cercando di scoprire quanto di più grande c’è nell’esistenza.
Nella società attuale questa spinta si è persa, è come se l’uomo fosse divenuto apatico, privo di stimoli. Alcuni dicono che è colpa della scienza, che riuscendo a spiegare molto ha tolto il gusto del mistero, ma non credo sia una causa, poiché ritengo che scienza e spiritualità possano convivere, anzi, siano di complemento uno dell’altra.
Credo che la ragione principale sia dovuta all’uomo che ha perso se stesso: inseguendo delle chimere ha smarrito la strada, ma ha conservato il bisogno d’appoggiarsi a qualcosa. Ma quel qualcosa è niente, è vuoto, è privo di significato, apparenza senza valore.
Gli idoli delle persone sono individui che hanno popolarità senza meritarla, senza motivo, che durano una stagione e subito dopo si è in cerca di altri cui aggrapparsi: individui diversi, ma con la stessa assenza di capacità.
Questa è l’Era dell’Economia e del Consumismo, un’epoca che dimostra il degrado e lo smarrimento in cui è caduto l’uomo, dove l’insensatezza imperversa idolatrando l’apparenza, l’esteriorità, e ciò che vale, l’interiorità, viene sempre sbattuto nel fango e disprezzato.

Carpe Diem

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La vita è fatta di attimi: ognuno ha la sua importanza, il suo valore. Bisogna saperli riconoscere e cogliere.
E’ come quando si gioca una partita di calcio.
Non c’entra se il campo che si sta calcando è il manto erboso del Bernabeu o del Maracanà o un semplice prato di periferia.
Non conta se si è Messi, E’toò o Rooney o si è dei semplici appassionati, se gli avversari sono dei Maicon, Bale o Robben o gli amici della partita la domenica pomeriggio.
Non conta se le tribune sono stipate di gente o sono deserte.
Conta solo che si sta giocando, che si vuole superare l’avversario e andare dritti in porta e trafiggere il portiere facendo gonfiare la rete.
E’ sudore, è fatica, un continuo rincorrere ed essere rincorsi, difendere e attaccare, un confronto di volontà, non solo di tecnica e fisicità, con l’avversario: un continuo essere protesi a dare il meglio di sè, a scegliere la mossa giusta per dare scacco al difensore, trovare una falla nella sua difesa. Basta un istante per cambiare il risultato.
Ma ci sono dei momenti che sono particolari, che sono unici.
Momenti in cui senti che s’avvererà ciò che pensi, come se per un istante avessi visto avanti nel tempo conoscendo già come andranno le cose e hai la certezza di non sbagliare. In quell’attimo si è un fluire, un essere in sintonia con campo, pallone, porta: si prova una gran calma, la calma di chi è sicuro di ciò che fa, che sa di non poter sbagliare.
Si recupera una palla che sembra persa sulla trequarti avversaria, si corre lungo la fascia e si vede che il difensore non aggredisce, che lascia quei due metri che ti permettono di fare di tutto. Si comincia a sentire dentro qualcosa che monta, come un’onda che sale e s’ingrossa.
“Provaci.” L’onda ti carica, ti incita spingendo le gambe a scattare, portando ad accentrarti verso l’area di rigore.
Il difensore ti segue, ma continua a lasciare due metri di distanza.
Il vertice s’avvicina.
“Non esitare.” Senti l’onda alzarsi sempre di più.
“E’ ora.”
Alzi lo sguardo e vedi l’angolino.
Non devi cercare, non devi pensare: hai già inquadrato il punto, sai già dove la palla deve andare. Non ti preoccupi del portiere perché sai già che non potrà arrivarci.
“Là.”
In un attimo inclini il corpo per permettere alla palla d’alzarsi nella maniera giusta e il piede la colpisce.
Nell’istante in cui parte la sfera vedi la traiettoria del tiro, con lucidità la vedi dipingersi nell’aria, alzarsi in volo per poi abbassarsi al momento giusto, curvando con un effetto a rientrare. Senti il colpo secco della palla contro il palo interno, appena sotto l’incrocio, e il cuoio che sfrega sulle maglie della rete.
Quanto accade attorno a te non ha alcuna importanza. In quel momento allarghi le braccia, i palmi delle mani rivolti verso l’alto e non dici niente, perché sai che non c’è bisogno di dire niente: sai d’aver colto qualcosa di raro, di aver realizzato qualcosa di straordinario, di unico.
E’ più di un goal.
Carpe Diem.
Hai colto l’attimo.
Ed è qualcosa d’indescrivibile: esaltazione e pace allo stesso tempo.
E’ così che ci si sente ogni volta che si fa la cosa giusta al momento giusto e perché questo avvenga bisogna saper ascoltare se stessi, sapersi fidare di quell’istinto che alle volte fa sentire la propria presenza, avvertendo che è arrivato il momento di agire, senza tergiversare, perché l’occasione può non ripresentarsi mai più.
Carpe Diem.

Occasione

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“Se c’è una magia nella boxe, è la magia di combattere battaglie al di là di ogni sopportazione, al di là di costole incrinate e reni fatti a pezzi e retine distaccate.
E’ la magia di rischiare tutto per un sogno che nessuno vede, tranne te.”

Queste sono le profonde parole di The Million Dollar Baby, il bellissimo film diretto da Clint Eastwood: in poche frasi si racchiude il significato di cosa significa avere un sogno, inseguirlo, darsi da fare per realizzarlo. Sacrifici, sudore, fatica, incassare colpi capaci di stendere un toro e nonostante questo non mollare mai, tenere duro, continuare per la propria strada, anche se questo significa camminare da soli, essere incompresi, isolati, perché all’orizzonte si riesce a scorgere qualcosa che spinge ad andare avanti per rendere concreto ciò che si sente nella propria anima, nel proprio cuore.
E’ così per qualsiasi individuo che ha un sogno o che prova amore per un’altra persona: tutto il resto del mondo perde importanza, conta solo l’essere protesi verso la meta.
Ma c’è una cosa ancora più importante di realizzare quanto si tiene di più.

“La gente muore ogni giorno Frank, mentre lucida il pavimento o lava i piatti. Sai qual è il loro ultimo pensiero? Non ho mai avuto un’occasione. Invece grazie a te Meggy ce l’ha avuta. E se morisse oggi sai quale sarebbe il suo ultimo pensiero? Ho avuto l’occasione che volevo.”

Un’occasione.
Ecco quello che si vuole più di tutto con un sogno, un desiderio, un amore: avere un’opportunità. Una sola, unica opportunità, avere la possibilità di rendere concreto quello che rende la vita meritevole d’essere vissuta e non una miseria che è solo un trascinarsi avanti giorno per giorno.
Una sola, piccola possibilità da giocarsi per far sì che il sogno diventi realtà, che l’amore sbocci e sia contraccambiato perché è qualcosa di prezioso, di meraviglioso, anche se è piccolo, ma non va svenduto, in nessuna maniera; non bisogna cedere a nessun compromesso, perché altrimenti lo si fa appassire e morire.
Per questo mi sono sempre trovato sulla stessa lunghezza d’onda con Francesco Falconi (e altri come lui) quando afferma di non accettare mai contratti editoriali in cui si chiede di sborsare 1 solo cent. Perché scrivere è un sogno e non bisogna permettere che sia infangato da un mondo che pensa solo ai soldi.

Anonimato e Rete

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Voglio segnalare due interessanti post.
Il primo, scritto da Licia Troisi, analizza la rete e i meccanismi che spingono le persone a scrivere in essa.
Il secondo, scritto da Francesco Falconi, tratta della scelta di usare uno pseudonimo quando si pubblica e di certe pieghe che ha preso la rete.
Saper ascoltare vale molto più del parlare: è una realtà da imparare e alle volte riscoprire.

Distruzione, Preservazione, Creazione

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Che Il Campione delle Ere di Brandon Sanderson mi abbia colpito non è un segreto, ne ho parlato qualche giorno fa in un post. Che sia di una bellezza e profondità straordinari, capaci d’insegnare molto sulla vita e quanto vi accade è un dato di fatto: la storia è fatta di cicli e in questo romanzo è arrivato il tempo di Distruzione, una forza che vuole spazzare via ogni cosa, portare rovina nel mondo.
E se ci si ferma e si osserva si può notare che è quello che sta accadendo nel nostro paese, nel grande come nel piccolo. La classe politica che governa ne è un esempio, fa gli interessi per pochi, cercando di distruggere tutto quello che può essere utile alla popolazione: servizi, lavoro, istruzione (ne ho parlato in questo post qualche giorno fa e c’è anche questo articolo di Licia Troisi che mostra questo stato delle cose).
Ogni azione non è mai fine a se stessa, porta sempre delle conseguenze, condiziona e influenza ciò con cui viene a contatto. Perché il modo di fare di certi politici, così presente nella vita della gente grazie al tamtam mediatico che fanno televisioni e giornali, ha portato le persone a prenderli a esempio: non è un caso che i toni dei dialoghi e dei rapporti tra le persone siano sempre più esasperati, dove spesso si alzano i toni e ci sono aggressioni verbali, seguite da un modus operandi che vuole infangare la persona, annichilirla, distruggerla con il metodo della macchina del fango che ben si conosce; un atto che vuole distruggere la dignità della persona, che vuole isolarla. E tutto questo perché si ha il coraggio delle proprie azioni, di dire quello che si pensa.
E’ quanto è accaduto a G.L.D’Andrea e a Lara Manni. La vicenda è iniziata in seguito a una bravata che poteva avere un esito diverso da quello che in realtà è stato; un fatto grave (spacciarsi per un’altra persona è un reato), che in diversi hanno cercato di far passare come una cosa da poco, come se niente fosse, perché tanto così fan tutti, perché in questo paese le regole non vengono rispettate e il rispetto per gli altri non ha alcun valore, perché chi commette l’illegalità viene premiato e va avanti nella vita: questo è l’insegnamento che passa adesso una parte dell’Italia.
Questo è quanto molti vogliono convincere a seguire.
Il tempo di conformarsi a questo sistema deve finire, bisogna levare la voce a dire no a questo svilimento e contrastare questo fenomeno. Loredana Lipperini, Francesco Falconi, Tanabrus (Gabriele Ninci), sono alcune delle voci che non ci stanno ad assecondare questo modo di fare.
Perché in questi ultimi anni si sta verificando tutto questo?
Le ragioni sono tante: decadimento morale dovuto a un benessere nato dal consumismo e dalla materialità, la capacità d’ottenere le cose senza sforzo, senza doversi impegnare, il narcisismo, l’apparire, l’ostentazione, il voler essere per forza protagonisti e avere qualche attimo di notorietà. Tutti fattori che hanno contribuito a costruire una cultura di morte.
Ma c’è anche la noia dietro tutto questo, il fatto di non avere più stimoli capaci di far apprezzare l’esistenza e renderla meritevole d’essere vissuta. Un senso di niente che fa lamentare le persone, facendogli avvertire come se nella loro vita manchino tantissime cose, ma non si sappia cosa siano.
Che cosa cercano allora le persone?
Mi vengono in mente le parole di Igor Sibaldi: un’altra vita, un altro mondo. E ce ne sono tantissimi: mondi, esistenze passati, immaginari capaci di meravigliare e far riscoprire quel senso di scoperta che riaccende la voglia di vivere. Una scoperta che è la scoperta della vita, che è infinita e dalla quale non si finisce mai d’apprendere. Storici, scrittori di qualsiasi genere, aiutano a fare questo; un agire molto bello, che spinge l’immaginazione a raggiungere lidi nuovi, sconosciuti e facendoli scoprire, fa scoprire parti di sé che non si conoscevano.
Una scoperta che svela come creazione e creatività non siano poi tanto lontani tra loro; come forse il segreto della vita non sia poi solo prerogativa di divinità o esseri superiori, ma possa appartenere a tutti.
Per questo occorre preservare chi dà il suo contributo cercando di costruire qualcosa, di dare il proprio personale punto di vista, perché capace d’aiutare gli altri e chissà, se viene permesso, magari di renderli anche migliori.

Mistborn-Il Campione delle Ere di Brandon Sanderson

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“Questo è il romanzo che avrei voluto scrivere.”
Così inizia la recensione che ho scritto per Il Campione delle Ere di Brandon Sanderson.
Non starò a dilungarmi per parlare di questo libro: l’ho ampiamente fatto sulle pagine di Fantasy Magazine.
A chi avesse voglia e curiosità di conoscere questa serie o volesse leggere qualcosa di valido, la consiglio caldamente: tre romanzi appassionanti e profondi, capaci di trasmettere tanto.

Tagli, precariato, perdita

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La sparata di Brunetta su come i precari siano la rovina dell’Italia ha fatto il giro della nazione, facendo levare polemiche e innescando una serie di reazioni che si conoscono bene. Al ministro gli si potrebbe obiettare che se ci si trova in questa situazione la colpa è della legge Biagi, voluta e sponsorizzata dal governo cui appartiene, e del voler puntare sulle società interinali, creando instabilità e sfruttamento, non flessibilità e arricchimento.
Un sistema che ha rovinato, non migliorato, il mondo del lavoro, ma soprattutto ha colpito le persone, impoverendole (salari bassi, minimi e minor contributi pensionistici) e angustiandole (il proprio valore è nullo, si è solo numeri che possono essere sostituiti e accantonati in qualsiasi momento, ricattabili in quanto se non si obbedisce completamente al volere della ditta non si viene riconfermati). Con un tale modo di lavorare l’individuo non ha modo di fare alcun tipo di progetti, gli sono precluse molte strade, tra le quali anche quella dei sentimenti; sgradevole a dirsi, ma in questa società, privi di soldi, si è preclusi alla vita sociale e alla possibilità di creare una famiglia, anche solo stare insieme a un’altra persona.
Disagi molto gravi dei quali i politici se ne fregano, dato che il loro conto in banca è ben alimentato proprio dalle persone che tanto denigrano, disprezzano. Politici che sono dimentichi di come sia la popolazione a mantenerli in una certa posizione e non sia certo per merito loro.
Queste uscite dei ministri scelti dal governo sono solo parole che servono a distogliere l’attenzione dai fatti importanti: perché mentre infervora la polemica, pochi sanno che 1800 lavoratori interinali sono stati licenziati dall’INPS per effetto dell’ultima legge finanziaria; un numero ingente di posti di lavoro persi a causa dei tagli alla pubblica amministrazione imposti da Tremonti. Questo non comporterà solamente un maggior numero di persone cui lo stato si dovrà far carico con l’indennità di disoccupazione, ma significa impantanare il sistema che l’ente gestisce, perché nessuno prenderà il posto delle persone licenziate. E anche se questo avvenisse ci sarà una perdita qualitativa del servizio, dato che tali lavoratori avevano acquisito un’esperienza pari a quella dei dipendenti stabili.
Privati di questa forza lavoro ci saranno rallentamenti e peggioramenti nell’erogazione del servizio, perché non ci saranno più le persone preposte a occuparsi delle pratiche d’invalidità civile o alle indennità di disoccupazione.
Di fronte a questo stato delle cose, il governo non fa niente e non mantiene, come ormai d’abitudine,le promesse e gli impegni di cui si era fatto carico. Un governo che fa tagli credendo che così si possa risparmiare non dovendo più pagare stipendi a un certo numero di persone; ma quello che crede essere un guadagno è in realtà una rimessa, dato che grazie all’operato dei licenziati nelle casse dell’INPS erano confluiti 250 milioni di euro in due anni e che senza di loro non si verificherà più, anzi le uscite aumenteranno visto che si è costretti a pagare la disoccupazione a persone che non potranno più creare un utile.
Inutile dire che con questo andazzo l’istituto andrà in perdita.
Ogni giorno che passa, ogni azione del governo, porta rovina al paese: quante prove occorrono ancora per far aprire gli occhi e spingere la gente a volere il cambiamento?

Eclissi Lunare

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